Le mura di Lucca
Un monumento unico, che a cinquecento anni dalla sua edificazione ci suggerisce una qualche riflessione sulla nostra storia…

«Oggi possiamo tranquillamente affermare che Lucca si è salvata, almeno quale eccezionale complesso urbano, grazie alla presenza e alla protezione delle sue mura. Non sarebbero bastati né la volontà di pochi né l’amore di molti; non sarebbero bastate le leggi né l’inerzia demografica della città. Si sarebbero verificate tangenze, infiltrazioni, sostituzioni, ammodernamenti; si sarebbero avuti sventramenti e “correzioni” viarie in un tempo in cui per malintesa modernità sembrò ad alcuni indilazionabile la immissione del traffico motorizzato attraverso la serrata maglia dei percorsi medievali. Ma la prima condizione perché tali “interventi” potessero apparire in qualche modo giustificabili e materialmente possibili era l’abbattimento delle mura. E fino a tanto non si arrivò. Le mura rimasero a distinguere l’ordine e la bellezza del centro storico dal disordine e dalle battute degli immediati dintorni: dentro, l’armonia; fuori la confusione e l’impotenza».[1]

Quando si arriva a Lucca, la prima immagine che ci colpisce è quella delle sue mura. Non ne esistono di eguali per ampiezza ed imponenza, fatta eccezione per Carcassonne e pochi altri esempi, peraltro di differente impatto.

Panoramica di Lucca

Lucca con le sue mura

Le mura lucchesi, per una circonferenza di metri 4.195 racchiudono al loro interno l’antica città, rimasta indipendente fino al 1847. Non si sa con esattezza quanti mattoni furono necessari per costruire l’imponente fortificazione, ma nell’Archivio di Stato di Lucca sono custoditi documenti che riportano le cifre delle più importanti forniture: la prima di complessivi 250.000 mattoni; la seconda di 100.000; la terza di 50.000; la quarta di 35.000 ed infine una fornitura di 3.000 mattoni.

Queste ed altre notizie si possono ricavare nel bel volume dal titolo Le Mura del Cinquecento di Roberta Martinelli e Giuliana Puccinelli, edito nel 1983 per conto della Cassa di Risparmio di Lucca, che contiene un’affettuosa presentazione di Mario Tobino, il quale ad un certo punto scrive: «Ma io amo anche le mura viste dal fuori, dall’esterno. Non c’è volta che rientri a Lucca o dall’autostrada, da Montecatini, dalla Garfagnana, da Viareggio, che le mura – cortine, baluardi, i bianchi cartigli con le date – non mi accolgano, non mi sorridano benevolmente».

Quei bastioni rotondi, che si vedono guardando le mura si chiamano orecchioni ed è proprio sopra di essi che si trovano i baluardi, un tempo attrezzati con cannoniere e fucilerie.

Orecchioni1

Uno dei bastioni rotondi, detti orecchioni

Orecchioni2

Panoramica di uno dei bastioni di Lucca

All’interno degli orecchioni varie gallerie, ancora presenti e alcune perfino aperte ai visitatori, costituivano il deposito delle munizioni e delle armi, nonché l’alloggiamento di soldati e di cavalli. Il tratto dritto che unisce tra loro due orecchioni si chiama cortina. All’esterno delle mura, che conservano fra l’altro una parte di mura medievali[2], si vedono gli spalti, terrapieni a forma di cuneo anch’essi predisposti per una prima difesa. Gli spalti restano solo in un punto; gli altri furono distrutti per la costruzione della circonvallazione e dell’area extraurbana.

La costruzione della cinta muraria del Cinquecento andò avanti per oltre un secolo, essendo iniziata nel 1514 e terminata nel 1650. La sua altezza è di 12 metri. La spesa complessiva fu di circa 900.000 scudi.

A tale proposito si ricorda come le varie casate cittadine si fossero svenate economicamente per recuperare una simile somma. In realtà gli «amici» ginevrini, Lucchesi di origine, convertitisi al calvinismo e che, pur essendosi trasferiti in via definitiva in Svizzera, continuarono a mantenere strettissimi legami con la madrepatria, contribuirono non poco a particolari partite di giro con gli ambienti cittadini.

Il professor Guglielmo Lera, nelle sue numerose pubblicazioni, ricorda questi stretti legami, anche familiari, che ancora in epoca risorgimentale e fino ai nostri giorni sono rimasti inalterati. Egli fa intendere, tra le righe, che certamente tali legami, in qualche modo, contribuirono alla realizzazione dell’imponente opera. Il depauperamento cittadino in ogni caso ci fu ed era soprattutto già in atto, in quel periodo. In molti fuggirono all’estero, soprattutto in Svizzera, dopo aver aderito alla Riforma protestante. Tale adesione rispose anche, verosimilmente, al bisogno di emigrare, trovando nuove opportunità di crescita. E i capitali uscirono con loro. Ma non per questo si interruppero quei legami che avrebbero consentito di mantenere in vita la Repubblica. Insomma si trattò di rimesse, non sempre visibili alla luce del sole. Del resto i legami di questo ceto cittadino oligarchico, che da sempre costituiva nella città la sua ossatura politica, con l’Europa, ormai in gran parte protestante, erano sin dal Medioevo forti e coesi. Depauperamento non significava, in ultima analisi, frattura. Semmai, crisi d’identità.

L’Italia tutta in quel periodo visse una forte crisi di identità. Ma restò in Europa, anzi, volle restarci, talvolta a fatica, non con la forza del denaro, ma della cultura e del pensiero. Questo il reale significato e messaggio delle mura cittadine lucchesi, costruite in quel periodo.

Tale cinta muraria, che teoricamente avrebbe dovuto preservare la città da fantomatici attacchi nemici, assolutamente improbabili, altro non fu che un éscamotage per auto-dichiararsi indipendenti dai poteri forti nazionali, almeno in via ufficiosa. Preservare l’indipendenza politica, almeno sulla carta, divenne basilare per l’impianto oligarchico e repubblicano lucchese.

L’Italia tutta, da quel momento in poi, e l’esempio lucchese è sintomatico, divenne parte integrate dell’Europa solo a patto di preservare la sua divisione interna, i suoi particolarismi.

Forza o debolezza? Istintivamente diremmo debolezza. Riflettendo, fu entrambe le cose. Perché rappresentò anche la capacità di tutelare le proprie identità particolari e dunque di rafforzare una sua storia interna che non aveva mai visto sino a quel momento, né mai vedrà, un’unità nazionale, fino al 1861. Unità per cui mancarono in quei secoli le premesse essenziali per una sua realizzazione.

Sappiamo che storicamente Lucca non ebbe mai un vero e proprio esercito e riuscì a mantenere intatta nel tempo la sua indipendenza grazie anche al rapporto privilegiato instaurato con quei poteri forti nazionali ed esteri che la «rispettarono».

In altro modo la sopravvivenza cittadina non sarebbe spiegabile, vista la sua non più florida condizione economica, a partire dal Cinquecento.

Le mura cittadine rappresentano dunque anche tutto questo: sebbene edificate per difendere la libertà dei Lucchesi, non fronteggiarono alcuna guerra. Sempre il professor Guglielmo Lera[3] descrive in una sua pubblicazione che l’unico assedio importante della città, andato fallito, fu quello ad opera dei Fiorentini nel 1430. Su progetto di Francesco Brunelleschi l’esercito di Firenze tentò per l’occasione di affogare la città con le stesse acque del fiume Serchio.

In diverse circostanze, e non solo per ragioni d’assedio, effettivamente la chiusura delle porte cittadine e l’imponente cinta muraria contribuirono a preservare il nucleo urbano dalle frequenti esondazioni del fiume, fino a quando il percorso dello stesso venne deviato con un’energica azione di canalizzazione. Ancora nel 1812, comunque, si presentò il problema delle esondazioni. Ed anche in quella circostanza, chiudendo tutte le porte della cinta muraria, il pericolo di una distruzione certa del vecchio nucleo urbano fu scongiurato. A tal proposito si racconta come la sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi, che reggeva l’allora Principato, fosse stata tirata su per le mura con un argano – era il 18 novembre 1812 – onde poter rientrare in città, circondata com’era Lucca dalle acque del fiume.

Elisa volle ardentemente trasformare le mura cittadine in luogo di svago e passeggio per i suoi sudditi. Così possiamo a tutt’oggi ammirare l’alberatura delle mura da lei voluta, oltre ad una via panoramica che permette un ampio passeggio. Vi troviamo una grande varietà di piante: platani, olmi, ontani, lecci, tigli, magnolie, ippocastani ed altro ancora. Ciò costituisce, assieme ai prati che circondano le stesse mura, un polmone verde difficilmente riscontrabile nelle nostre città.

Attualmente le porte della cinta muraria sono sei. Porta San Pietro è del 1566; Porta Santa Maria del 1593; Porta San Donato del 1629. Queste tre sono le più antiche. Porta Elisa, la quarta porta, fu fatta costruire da Elisa Baciocchi nel 1811; Porta Vittorio Emanuele è del 1911 e Porta San Iacopo del 1931. Per impedire[4] l’apertura di Porta Vittorio Emanuele intervennero, ma ovviamente senza successo, sia Giovanni Pascoli che Gabriele D’Annunzio.

La descrizione che ritroviamo di alcuni episodi storici legati al ruolo che le mura svolsero per la città costituisce motivo di analisi di come un’opera architettonica possa talvolta interagire in modo diretto con gli stessi processi storici.

Che la città fosse priva da sempre di ogni effettiva ed organica difesa lo prova, ad esempio, la descrizione che fece il professor Augusto Mancini dell’arrivo di Lord Bentick in città nel 1813[5]: «Il 10 dicembre 1813 Lord Bentick sbarcava a Viareggio per riprendere il controllo a seguito della cacciata dei Francesi invasori. Lucca non aveva che qualche centinaio di soldati e non si pensò alla difesa: un colpo di cannone – l’unico cannone della colonna e l’unico colpo che provassero le mura – forò la Porta San Donato».

Soltanto con la Seconda Guerra Mondiale la città fu sottoposta al cannoneggiamento da parte dei Tedeschi che si ritiravano dalla Valle del Serchio, al momento della formazione della Linea Gotica. Molti tetti furono colpiti, e perfino la Cattedrale.

Un episodio legato a questo bombardamento ci riporta con la mente ad epoche più recenti di quelle sin qui descritte, ma altrettanto significative[6]: «Una vicenda che ricordo ancora con particolare dolore, avvenne sopra la Porta di Santa Maria, dove io [lo scrittore partigiano Valerio Giorgi] mi trovavo con una pattuglia della quale faceva parte anche Braschi. Era un uomo più grande di me di qualche anno, già sposato, che si era volontariamente unito alla Formazione [partigiana] Bonacchi per dare anche il suo personale contributo. I Tedeschi che si trovavano nella Val di Serchio,[7] sparavano col cannone e con dei mortai verso Lucca. Ricordo che, verso l’una o le due di notte, un proiettile colpì un albero vicino a noi e che una scheggia piccolissima s’infilò alla gola del Braschi. Era di sentinella, seduto sopra il muro. Rimase immobile e sul primo momento non ci accorgemmo che era morto. Il segno della ferita era minutissimo».

Possiamo calcolare quanto sono profonde le ferite che il tempo ha scavato come un solco nella nostra storia recente e più remota? Le mura sono anche questo, un solco. I nostri monumenti aiutano ad osservare ed interpretare questi solchi. Come immagini al fotofinish.


Note

1 Pier Carlo Santini: Ci difenderanno ancora, in «La fiera letteraria», 20 luglio 1967.

2 Diverse le cinte murarie cittadine, appartenute ad epoche diverse. Quella medievale è anch’essa ben conservata.

3 Guglielmo Lera, Lucca, città da scoprire, Maria Pacini Fazzi editore, 1975.

4 Ricorre quest’anno il settantesimo della liberazione dalla dominazione nazifascista, il 5 di settembre p.v.

5 Augusto Mancini, Storia di Lucca, Sansoni editore, 1930 e ristampa anastatica di Maria Pacini Fazzi, 1975, capitolo XVII.

6 Valerio Giorgi, Ricordi di guerra e di pace, volume I, pagina 322, dalla raccolta curata dallo storico lucchese Carlo Gabrieli Rosi.

7 Qui era l’avamposto della Linea Gotica in quel periodo.

(giugno 2014)

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