Monsignor Paolo Bertoli
Un Cardinale che ha ricoperto importanti incarichi, restando vicino alla propria terra ed ai suoi valori più profondi

In questi giorni di cambiamento per la Chiesa, la figura di Monsignor Paolo Bertoli ritengo metta bene in luce la complessità del ruolo cardinalizio, che contempla al suo interno le ragioni di Stato e le ragioni della fede. Complessità che, nel caso dell’alto prelato, il quale ha attraversato tutto il XX secolo, si è accompagnata ad una capacità ragionata nel gestire le spinose situazioni che la Chiesa Cattolica ha dovuto affrontare in quel periodo, nella consapevolezza che la fede doveva restare al centro di ogni prospettiva.

Il suo percorso religioso ha come elemento centrale la profonda amicizia con Monsignor Angelo Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII. I due diplomatici furono in corrispondenza anche in momenti burrascosi della nostra storia recente, e come riporta la rivista francese «Notre Vie Eudiste» del 1° gennaio 1969, anno in cui Monsignor Bertoli divenne Nunzio Apostolico a Parigi, il futuro Pontefice scrisse al nostro da Istanbul, durante la Seconda Guerra Mondiale, il 17 marzo 1940 ed il 9 febbraio 1941. Trascrivo parzialmente i contenuti della corrispondenza.

«Istanbul, 17 marzo 1940 – [trattando dell’esperienza vissuta in Oriente] …Per me, io mi permetto di poter dire che l’acqua della mia povera fontana ha inseguito il suo zampillare onesto e benefico su ciascuno. […] tutto non è luminoso; ma egli [non è chiaro il riferimento, potrebbe trattarsi di autorità politica e religiosa del luogo] dava sufficienti garanzie per incoraggiare ad essere almeno amabili verso di lui. Esistono dei tratti di bontà che non sono mai perduti, anche quando sembra che taluno ne abusi…».

Allorché l’allora Nunzio Apostolico in Francia, Monsignor Valerio Valeri, dovette ripiegare su Vichy, l’Uditore, il diplomatico Monsignor Bertoli, restò da solo a Parigi fino al 10 giugno 1941: in questa data, come avvenne per altri diplomatici allora a Parigi, egli fu costretto dalle autorità tedesche a lasciare la zona occupata. L’amico fraterno Monsignor Roncalli, così lo sosteneva in quei difficili momenti…

«Istanbul, 9 febbraio 1941 – [Sappi] che di fede io ragiono spiritualmente con il mio caro don Paolo; e vi immaginavo sulle rive della Senna. Ma io non pensavo che voi vi trovaste da solo nella vasta dimora diplomatica di Avenue Wilson. Approfitterò d’un momento di libertà per incaricarvi di qualche ricerca presso i rivenditori di libri antichi parigini: ciò potrà procurarvi qualche piacevole distrazione…».

Monsignor Paolo Bertoli nacque a Poggio, nel comune di Camporgiano, in provincia di Lucca, il 1° febbraio 1908, quinto ed ultimo figlio di Carlo Bertoli ed Aride Poli. La famiglia piccolo borghese aveva visto al suo interno alcuni ecclesiastici, tra i quali don Bartolomeo Bertoli, insigne predicatore, ed il Canonico Luigi Bertoli, medaglia d’argento della Sanità, meritata per distinzioni durante il colera del 1884[1]. Il futuro Monsignor Paolo Bertoli fece studi ginnasiali e liceali nel Seminario Arcivescovile di Lucca e da questo nel 1925 passò al Pontificio Ateneo del Laterano a Roma per gli studi teologici. Nel 1929 conseguì la laurea in Sacra Teologia e il 15 agosto dell’anno successivo venne ordinato Sacerdote nella Cappella del Seminario di Massa dal Vescovo della cittadina toscana, Monsignor Giuseppe Bertazzoni.

Fino al 1932 don Paolo frequentò il Pontificio Ateneo Romano dell’Apollinare, conseguendo la laurea di Diritto Ecclesiastico e Civile, entrando subito nella Diplomazia Pontificia quale segretario della Nunziatura Apostolica di Belgrado, della quale era titolare Monsignor Ermenegildo Pellegrinetti, anche lui lucchese di origine. Quando poi questi venne elevato alla porpora cardinalizia, Monsignor Bertoli diresse in qualità di reggente la Nunziatura di Belgrado, dando prova di diplomazia in quella sede assai difficoltosa per essere dislocata in uno dei punti nevralgici d’Europa. Nel 1938 passò da Belgrado alla Nunziatura di Francia, e fu accanto, come già accennato, al Cardinale Valeri, in momenti difficilissimi. L’occupazione tedesca lo trovò, infatti, nel 1940 a Parigi, dove dovette rimanere ancora un anno, raggiungendo solo nel 1941 il Nunzio Apostolico a Vichy, sede del governo nazionale. Il 7 giugno 1942 lasciò la Francia per raggiungere le Antille in qualità di Incaricato di Affari della Santa Sede presso la Repubblica di Haiti e di San Domingo.

In quattro anni ha svolto presso quei governi una intelligente opera diplomatica, conclusasi con la nomina del titolare di quella Nunziatura. Nell’agosto 1946 lo troviamo presso la Nunziatura Svizzera di Berna quale primo consigliere e collaboratore del Nunzio, Monsignor Bernardini. Durante i sei anni successivi, nevralgici per la ricostruzione geopolitica complessiva, anni trascorsi dal nostro a Berna, egli fu al centro di numerose vicende politiche come incaricato di speciali missioni diplomatiche. Nel 1947 lo troviamo incaricato di studiare, a nome della Santa Sede, le possibilità di emigrazione dei «profughi senza patria» nei Paesi dell’America Centrale; nel 1948 fece parte della Delegazione della Santa Sede alla Conferenza Internazionale della Croce Rossa, che si tenne a Stoccolma; nel 1949 fu membro di Alta Delegazione Pontificia alla Conferenza diplomatica di revisione delle convenzioni internazionali della Croce Rossa, tenutasi a Ginevra.

Sempre nel 1949 ebbe la nomina di Incaricato di Affari della Santa Sede a Praga, in Cecoslovacchia, in un momento trepido per le sorti della Chiesa, in quella Nazione dove avrebbe dovuto rimpiazzare il Nunzio, Monsignor Ritter. Non potette però andare a raggiungere quella sede, alla quale il Papa lo aveva nominato, per la opposizione del governo comunista, presieduto da Gotwild. Le esperienze di vita di Monsignor Bertoli tracciano meglio di qualunque altro ragionamento l’energico intervento politico che la Chiesa Cattolica ha sostenuto, in particolare nel XX secolo, e quanto tale intervento sia stato nevralgico in alcuni momenti della nostra storia. Il religioso tuttavia mai perse i contatti col mondo contadino che aveva conosciuto da ragazzo e con le vicende della sua terra d’origine, a conferma della statura del personaggio e della sua consapevole missione.

Lasciata la sede di Berna, raggiunse Roma dove nella chiesa di Santa Maria in Compitelli ricevette la consacrazione episcopale dal Cardinale Eugenio Tisserant. Contemporaneamente il Pontefice Pio XII lo nominò Delegato Apostolico in Turchia, elevandolo alla dignità episcopale con il titolo di Arcivescovo «in partibus» di Nicodemia.

Egli dunque, nell’agosto di quello stesso anno raggiunse la sua nuova destinazione ad Istanbul, la chiave dell’Oriente, dove gli giovarono sia la conoscenza delle lingue che la competenza diplomatica acquisita. Dopo un anno circa fu nominato Nunzio Apostolico in Colombia, dove rimase fino al 1959. Qui egli costituì il CELAM, Consiglio Episcopale Latino Americano. Quando salì al soglio pontificio il Cardinale Roncalli, che lo aveva avuto come collaboratore nei Balcani, e più volte ospitato a Sofia e a Costantinopoli, lo trasferì dalla Nunziatura della Colombia a quella del Libano e nel 1960 a quella di Parigi, della quale era stato Nunzio lo stesso Giovanni XXIII. Qui rimase fino al 1969, quando Papa Paolo VI lo elevò al rango di Cardinale nel Concistoro del 28 aprile 1969 con il titolo di San Girolamo della Carità, nominandolo in pari tempo prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, ufficio mantenuto fino al 1973.

Nel 1979, alla morte del Cardinale Jean Marie Villot, assunse il titolo della Sede Suburbica di Frascati. Morì l’8 novembre 2001, all’età di 93 anni. È stato sepolto, su sua richiesta, nel cimitero di Poggio.

Leggere la vita di questo uomo di Chiesa ci aiuta a riflettere sul ruolo della Chiesa stessa, apparentemente, visto il suo curriculum, più politico che religioso. In realtà il personaggio, proprio perché assunse un ruolo politico, riuscì nello stesso tempo a rimanere don Paolo. E questo glielo riconoscono soprattutto i suoi conterranei, che ne apprezzarono l’impegno quando li sostenne nelle difficoltà seguite alla Seconda Guerra Mondiale, e nella sua scelta finale di ritrovarsi a riposare nella cappelletta di famiglia, sita nel cimitero di Poggio.

Monsignor Bertoli rimase un uomo concreto, come concreta è la sua terra d’origine, di antico stampo canossiano. La sua figura invita a riflettere sui bisogni della Chiesa di oggi, di un energico intervento politico sempre mirato a non dimenticare il ruolo guida della fede. Sul piano storico ritengo Monsignor Bertoli, di cui conosco il retroterra culturale, motivo di riflessione e di analisi nelle scelte della Chiesa del XXI secolo. Il suo peregrinare offre la dimensione reale della difficile congiuntura politica della globalizzazione, là dove ogni organismo internazionale, e la Chiesa Cattolica forse «in primis», deve confrontarsi. Ritrovare sempre le proprie radici, mantenere ben salde le motivazioni iniziali che spingono ogni uomo ad un certo percorso di vita. Ciò rappresentò per il nostro una ricetta vecchia sì, ma sempre nuova, di analisi e confronto.


Nota

1 Domenico Santini, Un Cardinale, un alto prelato e dieci Vescovi Garfagnini, Bari, edizioni Paoline, 1964.

(maggio 2013)

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