Un incendio, una storia. La chiesa della Madonna del Carmine a Napoli
La fede, la tradizione e la storia del popolo napoletano nella storia del santuario della Madonna del Carmine

A Napoli ogni 16 luglio in onore alla Madonna del Carmine viene «incendiato» il campanile della chiesa a Lei dedicata.

L’origine di questa festa è molto antica e s’intreccia con molti avvenimenti storici e religiosi che nel tempo coinvolsero i Napoletani e la grande piazza antistante alla Basilica Maggiore, ed è anche il pretesto per raccontarvi la storia della Piazza e della Chiesa del Carmine.

È importante dire una cosa, per il Napoletano la Madonna del Pio Monte del Carmelo, detta semplicemente Madonna del Carmine, è così venerata che viene affettuosamente chiamata «Mamma d’o Carmene» o «Mamma Schiavona», a riprova di ciò ci sono i numerosissimi ex voto conservati nella chiesa i quali testimoniano la forte fede che il Napoletano ha sempre riposto verso la sua «mamma» protettrice.

Sicuramente tra tutte le manifestazione d’affetto quella più caratteristica è, appunto, «l’incendio» del campanile dell’omonima basilica, sita in Piazza Mercato. Esso viene ricoperto per quasi tutti i suoi 75 metri (è il campanile più alto della città) da pirotecnici fuochi d’artificio per simulare un incendio che viene «spento» solo quando arriva il quadro della Madonna del Carmine per ricordare sia un evento storico sia la particolare religiosità e la devozione napoletana.


Piazza Mercato, affascinate quinta teatrale

Prima di entrare nel vivo del racconto va detto che Piazza Mercato si trova in una zona poco turistica ma molto particolare di Napoli e ha una lunghissima storia da raccontare; chiamata prima del 1500 Campo del Moricino, è stata per secoli silenziosa protagonista di alcuni degli avvenimenti religiosi, civili ed economici più importanti della storia di Napoli e dalla prima metà del XII secolo ospitò una piccola comunità di eremiti provenienti dal Monte del Carmelo in Palestina, che, scappati dall’invasione saracena, ottennero in questa parte della città ospitalità e un piccolo pezzo di terra.

Nel 1217 i frati fondarono una piccola chiesetta non appena ricevettero la regola da Papa Onorio III e la dedicarono, appunto, alla Beata Vergine del Monte Carmelo perché si erano portati dalla Palestina la miracolosa immagine della Madonna Bruna che, secondo la tradizione, faceva parte di una serie d’immagini dipinte direttamente dall’Apostolo Luca, in realtà studi più approfonditi la fanno risalire al XIII secolo ad opera di un artista di scuola toscana. Oggi questa immagine è conservata dietro l’altare maggiore.

La chiesa sorge in una zona molto ampia la quale, situata a poca distanza dal porto, divenne un naturale punto d’incontro dei vari mercanti provenienti da tutte le parti del Sud e del Mediterraneo. Ben presto si trasformò nel principale mercato della città tanto da spingere Re Carlo I d’Angiò a chiudere quello del foro antico, situato sul decumano maggiore in prossimità della chiesa di San Lorenzo Maggiore, trasferendo tutte le attività in quest’area indicandola come «Foro Magno»; si terrà per secoli il lunedì e il venerdì e ancora oggi ci stanno un grande mercato e numerose botteghe.

Oltre al mercato e alla chiesetta, la zona si popolò ben presto di botteghe e di case tanto che sempre Carlo I d’Angiò nel 1270 ampliò il tracciato delle mura includendo il mercato e garantì, così, una migliore difesa e controllo sia di questa zona economica sia del porto.

Fu realizzata una nuova porta chiamata in principio Portanuova, ma ben presto i Napoletani iniziarono ad indicarla come Porta del Carmine.

Risale al 1484 un nuovo ampliamento e rafforzamento della zona ad opera di Ferdinando I d’Aragona. Tali lavori coinvolsero prevalentemente le mura e la chiesa del Carmine: la chiesa fu ampliata secondo lo stile dell’epoca, le uniche tracce sono visibili nel chiostro, il monastero, invece, fu in parte inglobato nelle nuove mura difensive ricostruite in piperno e travertino. Nacque l’embrione di quel castello chiamato in seguito del Carmine.

Essendo una zona vicino al mare, furono costruite nuove torri e nuove porte, secondo fonti storiche ben 12 solo per garantire l’accesso pedonale alla città, ma l’unica parzialmente sopravvissuta è la porta principale chiamata Torre Spinella, dal nome di Francesco Spinello nominato dal Re commissario della nuova fabbrica, che si può ammirare quando si attraversa Via Marina andando verso il Maschio Angioino. Nonostante la sua dimensione mutilata, rimane una torre imponente che fa intuire l’importanza strategica di questa parte della città come avamposto di difesa e di controllo del porto.

Risalgono a dopo i moti di Masaniello gli ultimi e decisivi interventi sul monastero/castello durante i quali fu trasformata parte del convento dei Carmelitani in dormitorio e piazza d’armi. La decisione provocò l’irritazione dei frati per evidenti differenze di stili di vita e le loro proteste arrivarono fino alla Corte a Madrid così, nel 1662, l’esercito spagnolo fu definitivamente spostato da questa zona. Fu deciso anche un riordino della piazza con una parziale demolizione della caserma e di molte botteghe, fu eretto un bel muro di separazione e il convento fu ristrutturato. Alla fine dei lavori la piazza si presentò così come oggi noi la vediamo.

Accanto al suo ruolo di piazza commerciale, Piazza Mercato fu una quinta teatrale per molti decisivi avvenimenti storici. Il primo grande evento fu la decapitazione di Corradino di Svevia e dei suoi compagni su ordine di Carlo d’Angiò. Secondo la tradizione, la madre di Corradino, Elisabetta di Baviera, provò a pagare un ingente riscatto pur di salvare la vita al proprio figlio, ma quando arrivò la testa del figlio era stata già separata dal resto del corpo e decise così di dargli degna sepoltura nella vicina chiesa del Carmine e donò parte del riscatto per ampliarla e seppellire il suo amato figliolo.

In realtà Elisabetta di Baviera non venne mai a Napoli e l’ampliamento di questo complesso fu possibile grazie ad una donazione da parte di Margherita di Borgogna, la seconda moglie di Carlo d’Angiò, ma, nonostante la verità storica differisca dalla tradizione, lo sfortunato Corradino fu effettivamente sepolto nella chiesa e tutt’oggi si può ammirare il suo monumento funebre.

Monumento funebre di Corradino di Svevia

Il monumento funebre di Corradino di Svevia, chiesa della Madonna del Carmine, Napoli (Italia); fotografia di Annalaura Uccella, 2015

Dopo questa donazione, da un punto di vista architettonico, la chiesa si ampliò fino a diventare una delle basiliche più grandi della città: i lavori iniziarono nel 1283 e furono portati avanti per tutto il Trecento, ma nel 1631 fu drasticamente modificata. Nel 1622 fu terminato il campanile, chiamato dai Napoletani «il pero» per l’originale forma della cuspide maiolicata, disegnata dal Carmelitano Fra’ Giuseppe Nuvolo, mentre la struttura architettonica è opera del Conforto. Fu terminato nel 1745 con la sfera e la croce. Altre incisive trasformazioni avvennero tra il 1755 e il 1766 ad opera dell’architetto Nicola Tagliacozzi Canale che invertì l’ingresso di 180°, per capirci, oggi si entra lì dove in origine si trovava l’abside. Trasformazioni che coinvolsero anche l’annesso convento.

Non solo Corradino di Svevia ebbe la peggio in questa piazza che si prestava molto bene alle insurrezioni e alle condanne a morte collettive, infatti altri due eventi civili si svilupparono in Piazza del Carmine e nella basilica antistante e furono: l’insurrezione di Masaniello che scoppiò proprio durante la festa del Campanile e si concluse con la sua morte nel monastero carmelitano per mano di sicari nascosti al suo interno e la conseguente condanna a morte in piazza di tutti i suoi sostenitori; in piazza furono condannati a morte tutti i rivoluzionari che fondarono la Repubblica Napoletana del 1799.

Insomma, la piazza offriva ampio spazio per eseguire collettive condanne a morte con annessi cortei umilianti che partivano dal vicino castello del Carmine (l’unica parte sopravvissuta è nella caserma Sani).

La piazza fu sfruttata anche come spazio per accogliere le vittime e gli sfollati dei vari terremoti del 1538, 1688 e 1707, dell’eruzione del Vesuvio del 1631 e delle varie epidemie di peste. Tali eventi catastrofici fecero accrescere ulteriormente la devozione verso la Madonna Bruna che veniva portata in processione per chiedere la fine dei vari flagelli, non mancavano prodigi e miracoli dopo la sua uscita.


Gli avvenimenti religiosi e l’origine dell’incendio del Campanile

Accanto a questi eventi civili la piazza e la basilica, secondo varie fonti storiche, furono protagoniste anche di eventi prodigiosi.

Prima però di descriverli è opportuno dire che i protagonisti di questa parte della storia sono un crocifisso di legno e l’immagine della Madonna del Carmine, entrambi conservati nella chiesa.

Le prime testimonianze di tali prodigi risalgono al 1500 in seguito al pellegrinaggio che la confraternita dei cuoiai fece con l’immagine della Madonna Bruna, nome dato dal colore mediterraneo della sua pelle, in occasione del Giubileo indetto nel 1500 da Papa Alessandro VI per ottenere indulgenza e perdono dei peccati; già durante il cammino verso Roma, grazie al dipinto, avvennero le prime prodigiose guarigioni e conversioni. Arrivati in città, il 13 aprile, la venerazione e il rispetto verso la Sua immagine erano già così forti che rimase esposta alla devozione dei fedeli nella Basilica Vaticana dove fu omaggiata anche dallo stesso Pontefice. Tale fama l’accompagnò anche durante il suo rientro a Napoli e, dopo averla deposta dietro l’altare maggiore, divenne meta di pellegrinaggio e di prodigi.

L’altro prodigio risale all’anno 1439 quando iniziò l’assedio da parte di Alfonso d’Aragona, rappresentato da suo figlio Ferdinando, contro i d’Angiò per la conquista della città. L’assedio si concentrò prevalentemente nella zona mercato/porto e tra le varie cannonate sparate una colpì la chiesa del Carmine. Questa cannonata passò per la tribuna e colpì il crocifisso ligneo, datato XIV secolo, che, secondo la tradizione, schivò il colpo abbassando la testa e l’unico danno che riportò fu la perdita della corona di spine. Tutt’oggi si vede sia il colpo sia il capo privo di spine. Non ci furono altri danni. Il giorno dopo la guerra finì.

Invece, l’evento che sta all’origine del tradizionale incendio del campanile riguarda un altro assedio che si concluse con la Battaglia della Goletta contro i Turchi e la conseguente vittoria dei Cristiani sugl’infedeli. Questa importante impresa, ogni anno, veniva ricordata e celebrata a Napoli con la costruzione in Piazza Mercato di un fortino di legno a cui si dava fuoco. Con il tempo il fortino fu sostituito dal campanile. Essendo una vittoria cristiana, i Napoletani si preparavano a questa celebrazione con una settimana di preghiere che si concludeva con la processione, a cui partecipavano autorità civili, militari e religiose, dell’immagine della Vergine Bruna. Prima di entrare in chiesa veniva portata davanti al campanile «incendiato» che veniva spento non appena la Sua immagine si avvicinava all’edificio, ciò simboleggiava che la Vergine Bruna sarebbe sempre venuta in soccorso ai Napoletani e li avrebbe sempre protetti.

A questo evento bellico s’intrecciavano i vari prodigi religiosi strettamente legati all’intercessione della Madonna del Carmine i quali finirono per essere gli unici eventi celebrati il 16 luglio soprattutto dopo la rivolta nel 1647 di Masaniello che colse l’occasione dei fuochi e della confusione per le celebrazioni per iniziare le sue proteste. Una volta spenta ogni velleità di rivolta e per evitare altre sommosse popolari, le autorità civili e religiose spogliarono tale ricorrenza da ogni aspetto civile e politico sostenendo unicamente il suo aspetto religioso e devozionale, che, comunque, il Napoletano aveva sempre nutrito verso la Vergine Bruna. Furono mantenute la settimana di preghiera e l’incendio pirotecnico del campanile.

Per concludere il racconto, accenno brevemente alle ricchezze artistiche presenti nella chiesa: oltre al citato monumento di Corradino di Svevia, troviamo opere del Solimena, di Mattia Preti, Luca Giordano.

Il bel soffitto fu ricostruito dopo un incendio, per volere del Cardinale Filomarino, con un ricco cassettonato ligneo con al centro la statua lignea della Madonna del Carmine, opera dell’intagliatore Giovanni Conte detto «il nano».

Interno della chiesa della Madonna del Carmine

L'interno della chiesa della Madonna del Carmine, Napoli (Italia); fotografia di Annalaura Uccella, 2015

Gli affreschi delle lunette degli archi sono opere di Luigi Siciliano che, in realtà, doveva affrescare tutta la chiesa, ma il suo maestro Belisario Corenzio, geloso e invidioso dell’apprezzata bravura del suo discepolo, lo fece ammazzare, nonostante ciò al Corenzio non fu commissionato nessun lavoro dentro la chiesa. La sagrestia è stata rinnovata nel 1738.

Identiche celebrazioni, ma in misura più ridotta, si svolgono in tutte le chiese a Lei dedicate e anche nella piccola chiesa costruita da Luca Giordano.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(dicembre 2017)

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