Aspetti storici della fauna siciliana
L’uomo e gli animali: una convivenza proficua, a volte difficile, sempre possibile

Avia ’nu sciccareddu
ma veru sapuritu
a mia mi l’ammazzaru,
poveru sceccu miu.
Chi bedda vuci avia,
pareva un gran tenuri
sciccareddu di lu me cori
comu iu t’haiu a scurdari.
E quannu cantava facia:
I-ha, i-ha, i-ha,
sciccareddu di lu me cori
comu iu t’haiu a scurdari.
Quannu ’ncuntrava un cumpagnu
subito lu ciarava,
e doppu l’arraspava
cu granni cariti.
Portannulu a bivirari
virennu l’erba vagnata,
lu mussu ’nzuccaratu
di ’ntera ’celu spincia.

(Avevo un asinello
ma veramente simpatico
adesso me l’hanno ammazzato,
povero asino mio.
Che bella voce aveva,
pareva un gran tenore
asinello del mio cuore
come ti potrò mai scordare.
E quando cantava faceva:
Iha, iha, iha,
asinello del mio cuore
come ti potrò mai scordare.
Quando incontrava un compagno
subito lo odorava,
e dopo lo grattava
con grande carità.
Portandolo a bere
vedendo l’erba bagnata,
il muso inzaccherato
rifletteva l’intero cielo.

Quando ci si avvicina alla fauna siciliana la mente e il cuore corrono subito all’immagine dello Sciccareddu, cioè dell’asino. Il fatto è significativo perché, per un lungo periodo di tempo, questo animale trasportava carichi, faceva ruotare macine o trainava gli aratri. Tale fatto spiega perché un autore ignoto abbia voluto scrivere una canzone dedicata solo all’asino. Ma c’è di più. Se si studiano i versi ci si accorge subito di una tenerezza dell’autore verso lo Sciccareddu. È un qualcosa che si trasforma in poesia. E che insegna molte cose sul rapporto tra i Siciliani e la fauna locale. Per questo motivo, può essere utile offrire qualche pennellata di storia della fauna dell’Isola.[1]


Asini alla riscossa. A Ragusa

Asini

Asini Ragusani

«Siamo rimasti in tre. Tre somari e tre briganti sulla strada longa longa di Girgenti». Iniziava così una canzone di Domenico Modugno. Fu inserita nella commedia musicale Rinaldo in campo (1961).[2] Nella rappresentazione teatrale, il brigante Rinaldo Dragonera (attivo nella Sicilia Orientale, zona di Catania), decide a un certo punto di unirsi a Garibaldi. Inizia così un cammino di avvicinamento alle «camicie rosse». In questo tragitto, Rinaldo ha come mezzo di trasporto tre somari. Il riferimento non è occasionale. Nella storia siciliana «lu Sciccareddu» ha sempre ricoperto un ruolo di particolare utilità per l’uomo. In tale contesto, oggi, una razza da tutelare è quella dell’asino ragusano.

Le sue zone di origine sono i territori dei Comuni Siciliani di Ragusa, Modica, Scicli e Santa Croce Camerina (Santa Cruci). Questa razza è stata riconosciuta a livello ufficiale nel 1953. In quell’anno, l’Istituto di Incremento Ippico di Catania[3] arrivò a fissare alcune caratteristiche tipo (mantello, conformazione, temperamento). Sul piano storico, gli asini presenti da sempre in Sicilia erano riconducibili: 1) a quello di Pantelleria (razza «pantesca»), diffuso in provincia di Trapani, e 2) alla razza «siciliana» (comunemente detta), estesa all’intero territorio insulare. Le due razze incrociate tra di loro e con l’asino di Martina Franca (Taranto), con qualche insanguamento dell’Asino Catalano, diedero (seguendo incroci a più vie) alcuni prodotti molto validi.

A seguito di questi incroci, specie nella provincia di Ragusa, vennero individuati soggetti con buone caratteristiche di sviluppo e di conformazione. Si lavorò su di loro con incroci in stretta consanguineità. L’obiettivo era di fissare in modo abbastanza rapido il complesso dei caratteri pregevoli. L’asino ragusano ha una particolare attitudine alla soma, al tiro e alla produzione mulina. La testa ha una bella espressione. Ha occhi grandi cerchiati di pelo bianco, muso grigio a peli rasati; criniera e coda nere; l’unghia dura e nera. Il suo mantello è baio scuro, con ventre «di biscia o di cervo». Il temperamento è vivace, ma rimane comunque docile. I bambini ne sono attratti e lo accarezzano. Questo avviene perché il manto è morbido. Inoltre, il carattere dell’animale è paziente ed empatico (sembra gradire le attenzioni). L’asino ragusano si adatta con facilità ai climi rigidi e i suoi muli furono utilizzati con successo dalle truppe alpine italiane nei due conflitti mondiali.[4] L’asino è molto più longevo del cavallo: può raggiungere anche i 45 anni.

Statua mulo

Monumento dedicato al mulo dell’Asino Ragusano, usato in guerra, Villa Borghese, Roma (Italia)

L’asino ragusano è stato, in un certo senso, «riscoperto» in tempi recenti. La meccanizzazione dell’agricoltura aveva reso inutile il suo lavoro nei campi (la soma e il tiro). Nel tempo, però, sono state individuate altre doti. Ad esempio, le sue asine producono un ottimo latte. Quest’ultimo è indicato nelle diete dei neonati allergici o intolleranti alle proteine del latte vaccino. Ha un contenuto medio di caseina e albumine simile a quello del latte umano, ed è gradevole, perché è ricco di lattosio (che favorisce anche l’assorbimento intestinale del calcio, stimolando la mineralizzazione ossea nei primi mesi di vita).

Dal latte d’asina si ricavano poi tutta una serie di derivati, in particolare cosmetici e saponi.[5] Inoltre, l’asino ragusano è particolarmente adatto ad attività come le escursioni e il «trekking», e per la «pet therapy». Inoltre, questo animale continua a essere protagonista del folclore locale e delle festività tradizionali. Lo si trova a Natale nei presepi viventi, o nelle feste patronali (tira il carretto nelle sfilate storiche, e viene utilizzato per giochi e gare).


Salvata dall’estinzione: la Capra Girgentana

Capre

Capre Girgentane

Il suo nome deriva da Girgenti (l’attuale Agrigento). La si riconosce per le lunghissime corna a spirale (o a turacciolo).[6] Il pelo e le corna ricordano soggetti asiatici ancora viventi allo stato selvatico. Secondo alcuni studiosi, la sua origine va ricercata tra le capre del Tibet (zona dell’Himalaya). Altri la ricollegano alla Mark-hor, detta anche Falconeri, dal nome di Falconer[7], il naturalista inglese che la notò nell’Afghanistan Settentrionale e nel Belucistan. L’importazione dei primi soggetti asiatici è attribuita agli Arabi. Quest’ultimi, approdarono nel porto di Marsala nell’800 dopo Cristo. Proseguirono poi in direzione del versante sud-occidentale della Sicilia.

La Capra Girgentana è di taglia media. Il pelo è lungo, folto e bianco. Talvolta maculato. Sul mento ha una barbetta e, sulla fronte, un ciuffo folto, che gli allevatori tagliano «a frangetta» (con l’eccezione del caprone). Viene allevata al pascolo (con l’integrazione di fave, orzo, avena, carrubo). Nelle ore serali è ricoverata in stalla e legata. Questo animale era ormai in via di estinzione. In tutto il territorio siciliano ne erano rimasti solo quattro esemplari. Una svolta si è avuta grazie all’intervento di un metalmeccanico emigrato in Germania, Giacomo Gatì (nato a Campobello di Licata nel 1952). Quest’ultimo, decise a un certo punto di tornare nella sua Sicilia.

Il primo a produrre i caprini di Girgentana (1980) è stato proprio Gatì. Dopo sperimentazioni e ricerche, è stato possibile trarre un reddito dall’allevamento.[8] Nel frattempo, aumenta il numero degli allevatori. I formaggi di Capra Girgentana sono per la maggior parte a latte crudo. Tra questi ci sono: il «ficu» (avvolto nelle foglie di fico), la «mbriaca» (che viene fatta «ubriacare» nel «Nero d’Avola»), il «cinniri» (che riposa nella cenere di mandorlo), il «trubbu» (stagionato nella marna calcarea) e la «tuma ammucciata» (sagomata nel gesso). Alcuni dei formaggi di Capra Girgentana, inoltre, sono definiti «magici», perché non hanno bisogno di caglio (la ricetta, ovviamente, è segreta).

Attualmente ci sono circa 1.000 capre girgentine nel territorio dell’Agrigentino. A rendere la Capra Girgentana diversa dalle altre sono più caratteristiche. È vivace. Intelligente. Ha un aspetto subito riconoscibile. Oggi si cerca di favorire questa specie così pregiata. Il suo latte di qualità (noto per un equilibrio ottimale tra grasso e proteine) viene da sempre destinato al consumo diretto. In tempi trascorsi, gli allevatori passavano di casa in casa, vendendolo direttamente. In pratica si mungeva porta a porta. Si trattava di allevamenti spesso in purezza[9], situati in periferia o all’interno dello stesso agglomerato urbano.


Per favore, non fatelo arrabbiare: «u Puorcu Niuro»

Suini

Il Suino Nero dei Nebrodi

È chiamato anche Suino Nero Siciliano o Suino Nero dell’Etna. Si tratta di una razza suina autoctona. Il suo territorio comprende la catena dei Monti Nebrodi che va dal crinale dei Monti Peloritani fino alla località di Finale di Pollina: Ucria, Montalbano Elicona, Basicò, Floresta, Tortorici, Sant’Angelo di Brolo, Raccuia, Librizzi, Galati Mamertino, Alcara Li Fusi, Roccella Valdemone, Tripi, Mirto, Longi, Castell’Umberto (Messina), San Salvatore di Fitalia, Sant’Agata di Militello, San Teodoro, Naso, San Fratello, Caronia, Cesarò, Capizzi, Mistretta, San Marco d’Alunzio, Militello Rosmarino, Santa Domenica Vittoria, Santo Stefano di Camastra, Tusa, Pettineo, Motta d’Affermo, Castel di Lucio (Messina), Maniace, Randazzo, Cerami e tutti i comuni dei Nebrodi con territori ricadenti nella fascia montana.

Questi animali, che assomigliano a cinghiali selvaggi (per fattezze e abitudini), sono allevati allo stato semibrado e brado in ampie zone adibite a pascolo.[10] Non hanno nulla di mansueto e di domestico. Sono di taglia piccola. Il mantello è scuro. Il Suino Nero dei Nebrodi è un animale frugale. Resistente. Nel recente periodo, il numero dei capi di questa razza si è ridotto. E in modo accentuato. Alcuni studiosi valutano una presenza (presunta) di circa 2.000 animali. Gli allevatori utilizzano delle aziende molto piccole. In gran parte dei casi sono anche trasformatori. I loro prodotti, tuttavia, poche volte raggiungono il mercato. Sono destinati, infatti, soprattutto al consumo familiare. Talvolta sono oggetto di piccoli scambi locali.

In periodi trascorsi, le specialità norcine della Sicilia erano prodotte con il Suino Nero, nella zona dei Nebrodi (area nord-orientale dell’Isola).[11] Attualmente, la situazione è più fluida. Molti norcini, infatti, sono costretti a rifornirsi di suini ibridi dagli allevamenti industriali. Malgrado ciò, le degustazioni comparate provano che i prodotti realizzati a partire dalla carne di Suino Nero allevato brado esprimono un’intensità aromatica superiore. Possiedono inoltre una maggiore attitudine alle lunghe stagionature.[12]


Attenti alla lupara. Firmato: il Lupo Siciliano

Lupo

Lupo Siciliano. Museo di Zoologia dell’Università di Palermo (Italia)

A inizio Novecento, anche in Sicilia ci si poteva imbattere in un lupo. Dai Nebrodi fino gli Iblei, quest’ultimo si aggirava in terre che ben conosceva. Dagli anni Venti-Trenta del ’900 non si ha più traccia di questo animale. L’unica foto di un lupo siciliano tenuto alla catena risale a una immagine di fine Ottocento (Migneco, 1897). Il motivo è noto. Gli venne data la caccia perché attaccava gli allevamenti e i pascoli dopo che le sue prede selvatiche (cervi, daini e caprioli) si erano estinte nell’Isola. All’inizio del XX secolo operavano ancora i lupari. Quest’ultimi erano assoldati e pagati da contadini e allevatori. Mettevano una taglia per uccidere i lupi che rappresentavano un rischio per il bestiame. Una volta ucciso, il lupo veniva portato come in trionfo per le vie del paese. Il termine lupara, il fucile a canne mozze tipico di queste terre, deriva proprio dalla caccia al lupo.

A differenza dell’Appennino, dove la caccia li aveva decimati (la popolazione è comunque ricresciuta grazie alla protezione degli ultimi decenni), i lupi siciliani sono rimasti isolati tra 35.000 e 18.000 anni fa, quando è venuto a mancare il ponte tra l’Isola e l’area continentale. E il lupo siciliano si è differenziato, diventando un «cugino» di quello appenninico. In precedenza si era convinti che fossero uguali. In realtà, l’isolamento ha generato abitudini alimentari e di caccia differenti. Più variegate.

Il lupo siciliano è diventato più piccolo.[13] Aveva un cranio molto più piccolo, era più basso e più leggero. Pelo più chiaro. E la caratteristica striscia sulla zampa anteriore, che contraddistingue i lupi, quasi assente. Gli zoologi hanno analizzato l’aspetto del lupo siciliano. Lo hanno fatto esaminando alcuni esemplari conservati in musei non solo siciliani. Nell’ambito di tali ricerche, presso il Museo di Storia Naturale «La Specola» (Firenze), è stato studiato un esemplare. Da questo, è stato estratto il DNA indicativo del nuovo «taxon». Lo si è prelevato dalla parte interna del dente. Sono stati poi raccolti altri campioni da pelo e ossa del cranio di altri individui. Il risultato: il Lupo Siciliano è stato riconosciuto come sottospecie del «Canis lupus» (il «lupo grigio»), distinto da quello «italicus», cioè da quello appenninico.[14]

La sottospecie siciliana ha preso il nome scientifico di «Canis lupus cristaldii», suggerito dal «team» guidato da Francesco Maria Angelici (zoologo), in onore del Professor Mauro Cristaldi (1947-2016), docente di Anatomia Comparata all’Università «La Sapienza» (nato a Roma ma di origine siciliana).[15]


Il prof. e lo studente. L’ape nera sicula

Ape

L'Ape Nera Sicula

Le api non sono tutte gialle e nere. La livrea che di norma viene associata all’ape è in realtà tipica dell’ape ligustica.[16] Quest’ultima, è molto diffusa nel nostro Paese (tanto da essere indicata come ape italiana). In realtà, esistono nella Penisola anche api scure, grigie, o molto nere (simili morfologicamente a quelle africane[17]). Nel DNA hanno un miotipo genetico africano. L’ape nera sicula[18] ha l’addome scurissimo e una peluria giallastra. Le ali sono più piccole. Per millenni ha popolato la Sicilia. Negli anni Settanta (XX secolo) venne abbandonata. Gli apicoltori siciliani sostituirono i bugni di legno di ferula[19], e iniziarono a importare api ligustiche dal Nord Italia. L’ape sicula rischiò l’estinzione. L’evento negativo fu evitato per merito di un entomologo siciliano, Pietro Genduso.[20]

Questi studiò l’ape nera sicula per un lungo periodo di tempo.[21] In seguito, l’attività di ricerca è proseguita grazie all’impegno di un suo studente, Carlo Amodeo. Gli ultimi bugni di api nere sicule furono ritrovati in un baglio di Carini (Palermo). Qui, un vecchio massaro apicoltore produceva miele con quel sistema antico. I bugni contenevano alcune famiglie di api che Amodeo[22], dopo aver deciso di praticare l’apicoltura professionale, volle conservare in isolamento sulle isole di Vulcano e Filicudi.

L’ape nera sicula è molto docile[23]. Produttiva[24]. Sopporta bene gli sbalzi di temperatura. Queste, sono delle utili caratteristiche per produzioni in aree ove il clima è molto caldo. Ci sono inoltre altri aspetti significativi. La nera sicula sviluppa precocemente la covata[25], evitando quindi il blocco della covata invernale (comune alle altre specie), e consuma meno miele delle altre api. Il miele di ape nera sicula non è invece diverso, dal punto di vista organolettico, da quello prodotto con le api di altre razze.

Nel gennaio del 2012 ha avuto inizio il «Progetto di reintroduzione e di conservazione della sottospecie a rischio di estinzione “Apis mellifera siciliana”». Tale programma, finanziato dalla Regione Sicilia, è seguito dal CRA-API di Bologna (il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Unità di Ricerca di Apicoltura) in collaborazione con l’Università di Catania e di Palermo, l’Istituto Zooprofilattico della Sicilia, la «Soat» di Collesano, «Apicoltura Amodeo» e «Slow Food».


Una frase poco gentile: «Sì’un can’i mànnara»

Cane

Un cane di mànnara

Il cane di mànnara è da sempre adibito alla guardia delle greggi («mànnara»: «mandria») e della masseria. Un antenato di questo cane era presente in Sicilia fin dall’Età del Bronzo. Lo dimostra il ritrovamento di reperti ossei in siti archeologici a chiara economia agricolo-pastorale. Venne introdotto dai Fenici nel I millennio avanti Cristo nel corso dei loro frequenti commerci lungo le rotte del Mediterraneo. Lo si ritiene diretto discendente del Molosso d’Epiro.[26] Nel tempo, ha subito l’influsso dei cani nordafricani dei pastori berberi nomadi.[27] Nell’Isola esistono anche altre due razze di cani da pastore: lo Spino degli Iblei[28] e il più raro Branchiero Siciliano (zona ovest della Sicilia e nel Trapanese).[29] La pronuncia siciliana è: «can’i mànnara». L’espressione è talvolta usata per descrivere l’aggressività di un individuo (per esempio: «Sì’un can’i mànnara», ovvero: «Sei aggressivo come un cane di mànnara»).

Il cane di mànnara ha una mole medio-grande. Il suo aspetto è rustico ma non grossolano. Fortemente costruito ma ben proporzionato, e mai pesante. È molto legato all’uomo, riservato ma non indipendente, diffidente nei confronti degli estranei che tiene costantemente d’occhio, girando loro intorno con una snervante azione di minaccia. Di notte, specie se in branco, diventa pericoloso per gli intrusi che dovessero avvicinarsi all’ovile o alla proprietà. Possiede in forma inalterata tutti i comportamenti sociali della specie. Resistente alle malattie e agli sbalzi termici tipici della Sicilia, perfettamente adattato alla vita delle campagne siciliane. Questa razza è stata riconosciuta nel 2017.


Amico degli dèi. Il Cirneco, cane dell’Etna

Cirneco

Il Cirneco dell'Etna

Secondo il racconto di alcuni storici, sulle pendici dell’Etna sorgeva un tempio. Era situato nei pressi dell’odierna Paternò. Al suo interno, c’era una statua. Raffigurava il dio Adranos. Questi, era armato con una lancia.[30] I Greci, vollero poi associare il dio oltre che alla guerra, anche al fuoco.[31] Secondo l’opinione dello storico Adolf Holm[32], a uno stesso nume furono attribuite notizie che riguardavano due differenti divinità. Ciò spiega, secondo lo studioso, perché Adranos riunì in sé sia il carattere di dio della guerra (indicato dalla lancia), che quello di dio del fuoco (proprio di Efesto). Nel trascorrere del tempo, la gente, da più località dell’Isola, si recava al tempio di Adranos.[33] Il luogo sacro era sorvegliato da numerosi cani.[34] Di essi fa riferimento il filosofo e scrittore latino (che però scriveva in lingua greca) Claudio Eliano (165/170 circa-235 avanti Cristo). In una sua opera, dal titolo Περι ζώων ιδιοτητος (De natura animalium), scrive che in Sicilia esisteva un tempio dedicato ad Adranos, custodito da «non meno di 1.000 cani» (animali sacri al dio). Questo autore descrive in modo molto simile i cani di Adranos e quelli di Efesto. Si riportano due passi.

1) I cani di Adranos erano così intelligenti da distinguere i buoni visitatori dai cattivi. Questi, «superano in grandezza e bellezza i cani molossi». Quali servi e ministri del dio Adranos presso il suo tempio, in numero non inferiore al migliaio, di giorno accolgono festosamente i visitati del tempio o del vicino boschetto sacro «senza fare alcuna distinzione tra stranieri o persone del luogo. Diverso è il loro comportamento durante la notte, quando essi accompagnano con grande benevolenza, a guisa di guida e scorta, quelli già ubriachi e coloro che non si reggono in piedi lungo il cammino, riconducendoli ciascuno alla propria casa. Fanno però espiare il giusto castigo a coloro che, nell’ubriachezza, commettono empietà: difatti li assalgono e lacerano la loro veste, e a tal punto li fanno rinsavire. Ma sbranano in maniera crudelissima coloro che provano a rubare».[35]

2) Lo stesso autore, con riferimento a Efesto, scrive: «Nella città di Aitna (Etna), in Sicilia, è oggetto di culto particolare un tempio dedicato a Efesto. Qui si trovano un recinto, alberi sacri e un fuoco inestinguibile, mai spento. Intorno al tempio e al bosco ci sono segugi sacri che accolgono festosamente e scodinzolando coloro che accedono al tempio e al bosco sacro con animo umile e aspetto rispettabile. Come se li conoscessero, essi si mostrano benigni nei loro confronti; se invece entra qualcuno empio e con le mani macchiate da azioni esecrabili, lo mordono e lo dilaniano; si limitano invece a scacciare e a inseguire coloro che si siano contaminati con atti di libidine».[36]

Questi cani, che custodivano il fuoco, vengono però descritti da altri autori come statue d’oro e non come animali in carne e ossa.

A questo punto, l’interrogativo che si pone è: di che razza erano i cani che custodivano il luogo sacro ad Adranos (e a Efesto)? La tradizione (e taluni studi) risponde che a difendere il tempio c’erano numerosi cirnechi, cani da caccia tipici dell’Etna. La razza derivava dai cani dei Faraoni Egiziani. Occorre qui ricordare che nell’Antico Egitto il dio Anubis era sovente raffigurato come canide integrale e accucciato.[37]

È interessante rilevare infine un dato. A distanza di secoli permane un’espressione siciliana: «chi ti pozzanu manciari li cani». Si tratta di un’imprecazione diretta verso colui che compie un qualcosa di malvagio. Trae origine proprio dai cani del tempio di Adranos.

Attualmente gli studiosi delle razze mediterranee seguono più tesi.

1) Per alcuni rimane il fatto che il Cirneco trae origine da antichi cani da caccia allevati in età faraonica nella Valle del Nilo e diffusi in Sicilia dai Fenici.

2) Altri ricercatori, al contrario, sono dell’avviso che il Cirneco sia una razza autoctona della Sicilia (regione Etnea).

Monete e incisioni attestano comunque che il Cirneco esisteva nella zona Etnea molti secoli prima della venuta di Cristo. In particolare, in più monete di quel periodo, esposte nei musei (specie in quello di Adrano), si osserva sul «recto» la testa di un guerriero con elmo corinzio e cimiero, e sul «verso» il cane cirneco.

Moneta con Cirneco

In questa moneta si osserva sul recto la testa di un guerriero, e sul verso il cane cirneco

Un cavallo con parenti famosi. Il sanfratellano dei Nebrodi

Sanfratellano

Il cavallo Sanfratellano

È una razza equina autoctona della zona di Messina, nel territorio comunale di San Fratello. Per alcuni, le sue origini derivano dai cavalli siciliani («equus sicanus») famosi nell’antichità (citati dai Greci e dai Romani).[38] Altri ritengono che quelli dei Nebrodi discendano dai cavalli che i Lombardi avevano lasciato al seguito della Regina Adelaide di Casale Monferrato[39] (terza moglie di Ruggero I). Quest’ultimi, rimasero nell’antica San Filadelfio (l’attuale San Fratello) da cui ha origine anche il nome.

Il cavallo sanfratellano può essere descritto come un animale maestoso. Rustico. Docile. Fiero. Nel tempo, è vissuto libero e brado nei boschi. Ha sopportato inverni rigidi e lunghi. Ha affrontato le estati calde e assolate. Si è arrangiato con quel poco che offriva la natura.

Tutto ciò, ha provocato una selezione naturale della specie. Questa, ha permesso solo agli animali più forti e sani di sopravvivere e di riprodursi. Bellezza, robustezza e adattabilità hanno poi attirato l’interesse degli appassionati e degli studiosi. Sono stati favoriti più incroci con cavalli arabi e maremmani. In tal modo si è arrivati a ottenere un animale resistente alla fatica, adattabile a diverse attitudini. Il cavallo sanfratellano ha, tra i tratti caratteristici, il mantello dal colore uniforme (varietà morello, baio e baio castano). Oggi viene impegnato per attività di «trekking», per lo sport e per l’ippoterapia.


Un canto dedicato al cavallo siciliano

Ogni anno, per la festa di Sant’Alfio, si riuniscono presso l’omonimo santuario a Trecastagni (vicino a Catania) i carrettieri siciliani. Questi sono noti perché guidano cavalli bardati a festa e carretti con le pitture che narrano le gesta dei paladini di Francia. Circa un secolo fa, un ignoto autore volle diffondere un canto ove si racconta di un carrettiere innamorato che fa la corte alla sua amata pavoneggiandosi con il suo carretto e il cavallo con il quale sembra avere un’intesa perfetta e complicità. Si riporta qui di seguito la Canzone di Sant’Alfio.

Prima strofa

Voce solista
Acchià pudditru miu
’nciancianiddatu ah
di nastri e di pinnacchi
si vistutu, ah
la prima vota ca
a sant’Affiu a statu
a li megghiu cavaddi ha straburutu
Coro con ritornello (indecifrabile)
Voce
…acchià pudditru miu ’nciancianiddatu,
mureddu ca turnasti arrinisciutu
si ripete

Seconda strofa

Voce solista
Ammaschiti pudditru
’nta sta strata ah
acchià ca s’affacciatu
la me zita ah
ca ll’haiu ntra lu cori ’ntrinsicata
e no la scippu no duranti vita
Coro con ritornello (indecifrabile)
Voce
…ca notti e ghiornu passu ’nta sta strata
e ti l’arrobbu sta rama sciurita
(il fiore della tua bellezza)

(Prima strofa

Voce solista
Forza mio puledro
pieno di sonagli scampanellanti
di nastri e di pennacchi
sei vestito
la prima volta che
sei stato a Sant’Alfio
ha «stracciato» i migliori cavalli
Coro con ritornello [indecifrabile]
Voce
forza mio puledro scampanellante
morello [cavallo nero] che sei ritornato vittorioso
si ripete

Seconda strofa

Voce solista
Impettisciti puledro
in questa strada
forza perché si è affacciata
la mia amata [o fidanzata]
che ce l’ho compenetrata nel cuore
e non ve la strapperò per tutta la vita
Coro con ritornello [indecifrabile]
Voce
…perché notte giorno passerò da questa strada
e ti ruberò questo ramo fiorito
[il fiore della tua bellezza])


Ha suoi ritratti nei musei più importanti. La «Siciliana»

Siciliana

La Siciliana

È una razza di pollo particolarmente rara, con una provenienza di tipo mediterraneo. La cresta identifica e distingue la gallina siciliana dalle altre razze. Si presenta con una tessitura fine e rossa. All’estremità termina a coppa ben arrotondata (proprio per questa caratteristica viene definita «cresta a coppa»). La razza Siciliana produce un pollo campagnolo, leggero. Le uova della gallina sono bianche.

Le sue origini sono antiche. La documentazione parte dai mosaici e dalle rappresentazioni su vaso in epoca greca e poi romana. L’iconografia sui vasi è di aiuto perché in modo visivo si comincia a notare il carattere della cresta. Il gallo coronato è rappresentato nel periodo greco in molte monete coniate dai Greci Sicilioti. Esistono inoltre riproduzioni della razza Siciliana che risalgono al XVI secolo. Si possono ammirare nei Musei Vaticani, nella Galleria Borghese, nella Galleria d’Arte di Firenze e nel Museo Chiaramonti (Giavarini, 1983).

Moneta con Siciliana

Gallo coronato rappresentato su una moneta coniata dai Greci sicilioti (III secolo avanti Cristo)

Secondo l’opinione di alcuni studiosi, la razza si sarebbe originata da accoppiamenti tra polli locali e polli provenienti dall’Africa Settentrionale. La razza nordafricana chiamata Tripolina, oltre a un ciuffo di penne, presenta pure una cresta a coppa proprio come la Siciliana. Per altri ricercatori, però, la Tripolina è una razza che ha poco a che vedere con la Siciliana per i caratteri troppo difformi. Probabilmente, si afferma, sono stati i Romani a portare in Libia questi polli dalla Sicilia.

La storia prosegue. Nel 1850 un certo capitano Daves, prima di salpare con il suo veliero per Boston, acquistò a Palermo un notevole numero di esemplari della razza Siciliana. L’equipaggio aveva così uova e carne. Le galline dimostrarono di essere ottime ovaiole. Per questo motivo, un gruppo di Siciliane venne salvato, e protetto nel Nuovo Continente. Gli esemplari furono allevati anche da un avvocato, Cough, e dal reverendo Brown (Giavarini, 1983). Si decise di indicare la razza con un altro nome: «Flower Bird» (per la forma della cresta). In seguito, Sir Loring importò i polli dalla Sicilia in Inghilterra. In questo Paese furono chiamati «Sicilian Buttercup». Nel 1913, il «The New York Times» scrisse della presenza della «Sicilian Buttercup» tra le nuove razze avicole presentate al «Palace Poultry Show».

In tale contesto, può comunque essere utile ricordare che la Siciliana degli allevatori USA è diversa da quella originale (è più pesante, con orecchioni bianchi). La Siciliana originale è andata progressivamente scomparendo. Fortunatamente alcuni allevatori italiani (per esempio, il Professor Antonino Alberti di Olivarella, Messina) si sono impegnati a conservare questa razza e a salvarla in tal modo dall’estinzione.[40] Nella Sicilia Centrale è stato da tempo avviato un progetto sperimentale che prevede l’allevamento libero di questa razza avicola e si stima già una popolazione superiore al migliaio di esemplari (i ceppi puri sono molto pochi ma potrebbero essere utilizzati per migliorare la qualità della restante popolazione). La gallina siciliana è rustica. Resiste ai climi freddi, molto meno, invece, in ambienti troppo caldi e afosi. Forte e dall’indole vagabonda. Difficilmente è soggetta alle comuni malattie delle razze più diffuse. Ha un aspetto fiero e battagliero. Dal punto di vista dell’alimentazione, allevare la razza Siciliana è abbastanza semplice. Si nutre di orzo, frumento, semi di girasole, avena. Lasciata libera di pascolare, è in grado di procurarsi buona parte degli elementi necessari per una corretta alimentazione.


Allegria e vivacità. Il Codibugnolo di Sicilia

Codibugnolo

Il Codibugnolo di Sicilia

È un piccolo passeriforme. La specie è tipicamente siciliana. I Codibugnoli sono uccelletti dall’aspetto paffuto e arrotondato, muniti di grossa testa arrotondata con corto becco conico dalla mandibola superiore lievemente ricurva verso il basso, ali corte ma appuntite. Il Codibugnolo raggiunge una lunghezza di 15 centimetri. Ha una lunghissima coda che tocca i 7-9 centimetri. Il suo piumaggio è bianco nelle parti inferiori, nero sul dorso e bruno-roseo sulle spalle, mentre le ali sono nere e con i margini bianchi. La testa è bianca ed è attraversata da due strisce nere che passano sopra l’occhio. Si tratta di una specie sedentaria. Il Codibugnolo abita le zone boscose di latifoglie (di preferenza querceti) di alcuni sistemi montuosi (tra 400 e 1.800 metri) e le campagne alberate. Non di rado frequenta i frutteti. È sensibile al freddo e alle gelate invernali che affronta riunendosi in fila su di un ramo con il suo stormo e formando una palla di piume dove gli individui dominanti prendono le posizioni centrali. Si muove con brevi voli, di cespuglio in cespuglio. Ispeziona ogni fronda, e i lembi di corteccia, alla ricerca degli insetti di cui si nutre. Verso la fine di febbraio costruisce un nido a forma di sacco, con l’apertura posta nel terzo superiore. Depone 8-12 uova, piccole, fragili e di colore bianco, che la femmina cova per 12-13 giorni. Si ciba di insetti e di piccoli invertebrati. I Codibugnoli sono uccelli molto vocali, che durante i loro spostamenti si tengono in contatto vocale quasi costante. Lo si trova nella Sicilia Centrale e Meridionale.

Nel 2018, durante l’attività di inanellamento dei volatili[41] presso la Riserva Naturale Integrale «Complesso Immacolatelle e Micio Conti» (San Gregorio di Catania)[42], è stato possibile catturare un Codibugnolo di Sicilia. Il fatto è considerato importante perché si tratta di una specie endemica siciliana molto caratteristica e differenziata rispetto agli individui «con specifici» dell’Italia Peninsulare.[43]


Gli amici dei naviganti. Delfini e capodogli (Isole Eolie)

Delfini

Un gruppo di delfini tra Panarea e Stromboli

Delfini comuni, capodogli, tonni e tartarughe («Caretta Caretta»)[44] sono in aumento nelle Isole Eolie. L’arcipelago è formato da sette isole vulcaniche (Stromboli, Vulcano, Panarea, Lipari, Salina, Filicudi e Alicudi). Queste sono sparse nell’arco di 90 chilometri di mare, disposte a semicerchio a forma di Y. L’area si sviluppa per una lunghezza complessiva di 75 chilometri nella porzione meridionale del Mar Tirreno, di fronte alle coste tirreniche siciliane e alle coste calabre tirreniche (Tropea, Capo Vaticano e Nicotera). Tra gli studiosi presenti nelle Isole Eolie si collocano anche gli operatori della «Necton Marine Research Society». Tale organismo è attivo nell’ambito della biologia marina e oltre all’attività di ricerca, organizza campi studi, corsi estivi e vacanze natura per studenti che come soggetto hanno il mare, i delfini, le balene e altri animali.

In particolare, nell’area è stata promossa anche una ricerca denominata «Eolian Cetacean Project». Tale programma ha avuto lo scopo di incrementare la conoscenza dei cetacei nelle acque delle isole eoliane. Accanto a quella scientifica si è affiancata pure un’attività didattica per offrire la possibilità di collaborare in modo attivo alla conoscenza e alla salvaguardia dei mammiferi marini. Il progetto è stato realizzato dalla Necton con la collaborazione di «Delphis Aeolian Dolphin Center» e con il patrocinio di Unesco Club Salina, Agci Agrital, Associazione Mediterranea per la Natura, Comune di Santa Marina Salina, Comune di Malfa, Comune di Leni. Base logistica del progetto è stata l’isola di Salina che, per la sua posizione centrale, rappresenta il punto di partenza migliore per lo studio dei mammiferi marini nell’intero arcipelago.[45]


Un francobollo per la Regina. L’aquila di Bonelli

Aquila

L'Aquila di Bonelli

Ma chi è Bonelli? Si tratta dell’ornitologo italiano Franco Andrea Bonelli (1784-1830). Gli studiosi gli hanno reso omaggio definendo un uccello rapace della famiglia degli Accipitridae «Aquila di Bonelli». Quest’ultima costituisce una delle testimonianze più importanti dell’avifauna storica italiana. Diffidente e intollerante a qualsiasi forma di disturbo da parte dell’uomo e di altri animali. È confinata nelle zone più remote della Sicilia. Costruisce il nido su forti pendenze, comunque in prossimità di aree dove sia relativamente abbondante la disponibilità di prede. Pochi individui resistono probabilmente anche oltre lo Stretto di Messina, in Aspromonte, nonché in Sardegna. Anche in questo caso in aree impervie e inaccessibili. Caratteristica di questa specie è la macchia bianca posta sul dorso, che la distingue da altri rapaci simili. Si nutre principalmente di conigli selvatici, ma anche di altri uccelli, che cattura in volo senza difficoltà.

Capace di esibirsi in picchiate velocissime per catturare altri piccoli volatili, l’Aquila di Bonelli si caratterizza per le dimensioni considerevoli (almeno 75 centimetri per 2 chilogrammi di peso e un’apertura alare nell’ordine dei 180 centimetri) in grado di incutere timore non solo alle potenziali prede, ma anche agli altri rapaci che, possibilmente, rimangono a debita distanza. Il resto del piumaggio si presenta bruno-rossiccio, con ventre più chiaro caratterizzato da alcune evidenti striature. La stagione riproduttiva è annunciata in gennaio-febbraio dai voli nuziali.

Il 4 ottobre del 2019 sono stati emessi dal Ministero dello Sviluppo Economico due francobolli celebrativi di Europa 2019. I disegni raffigurano due specie di uccelli: due cardellini poggiati sui fusti di una pianta di cardo fiorito e due Aquile di Bonelli, rispettivamente su una roccia e in volo. In entrambe le vignette è riprodotto il logo «EUROPA». Completano ciascun francobollo le legende «CARDELLINO» e «AQUILA DI BONELLI», la scritta «ITALIA», e le indicazioni tariffarie.

Francobollo

Francobollo con l'Aquila di Bonelli

Iu sugnu D.O.P.[46] e tu cu si? La Modicana

Modicana

La Modicana

La modicana è la razza bovina originaria dell’antica Contea di Modica.[47] Ha un mantello di colore uniforme rosso scuro, con sfumature che variano dal nero dei tori al fromentino chiaro delle vacche. La taglia e la statura della Modicana sono modeste, con forme angolose e scheletro solido. Riguardo alle sue origini, rimane aperto il dibattito. Per alcuni autori è giunta dal Mediterraneo. Altri studiosi indicano una provenienza dall’Europa Continentale, a seguito di Normanni e Angioini. In tempi ravvicinati, con l’avvento della meccanizzazione agricola e con la concorrenza di altre razze più produttive, la modicana ha subito un graduale declino. In Italia è presente con circa 2.000 esemplari, di cui 650 solo in Sicilia. Dalla zona del Modicano si è successivamente diffusa in tutta l’Isola, adattandosi alle diverse situazioni locali. Agli inizi del 1900 è stata esportata anche in Sardegna. Qui, ha dato origine alla Modicana Sarda. Il Libro Genealogico della razza Modicana è stato istituito nel 1952.

Brada tutto l’anno, è ricoverata solo per la mungitura. Come tutte le vacche selvagge dà latte soltanto se, al suo fianco, c’è il vitellino.[48] Si tratta di un latte di notevole qualità. Costituisce la materia prima per il «Ragusano D.O.P.», uno dei formaggi siciliani più pregiati. Ha una forma parallelepipeda e la crosta è dorata a stagionatura avanzata. La fase finale della filatura (detta «chiusura») deve trasformare la pasta in una sfera senza spaccatura. Il passaggio da sfera a parallelepipedo si ottiene grazie all’ausilio della «mastredda». È un tavolo in legno su cui il formaggio viene adagiato e modellato con l’aiuto di pesanti pezzi di legno. Per la corretta cura degli angoli e dei lati arrotondati della forma, il casaro fa girare la forma ogni 10, 30, 60 minuti per più ore. Con il latte delle modicane allevate brade si producono la «ricotta iblea» (latticino tipico del Ragusano), provole fresche e caciocavalli (in particolare sui Monti Sicani[49]).


In pericolo di estinzione: alcune specie saproxilofaghe

Specie saproxilofaghe

Specie saproxilofaghe in pericolo di estinzione

La Sicilia comprende solo lo 0,2% dell’intero territorio europeo ma secondo i più recenti studi (2014) ospita nel suo territorio ben il 20% delle specie saproxilofaghe (saproxilofaga: cioè che si nutre di legno morto) in pericolo d’estinzione.[50]

In particolare, il «Lucanus tetrodo sicilianus» è diffuso in Sicilia, ma piuttosto localizzato e in rarefazione per via della rimozione dei vecchi ceppi e tronchi cariati dal bosco (una pratica sempre troppo frequente in Sicilia, sia dentro che fuori le «aree protette»). Le popolazioni più consistenti si trovano nei boschi montani della dorsale settentrionale dell’isola, dai Peloritani alla Ficuzza passando per l’Etna. Esiste inoltre una citazione di Franciscolo per Porto Empedocle (Agrigento) e pochi reperti per il Siracusano (Monti Climiti, comprensorio degli Iblei). La «Cetonia aurata» («Cetonia dorata»; Linnaeus, 1758) è un coleottero appartenente alla famiglia degli Scarabeidi. Arriva a 18 millimetri di lunghezza. Possiede una caratteristica colorazione metallica.[51]


«E vui durmiti ancora». Alcune considerazioni di sintesi

Delle pennellate di storia della fauna siciliana non esauriscono un disegno. Esiste un numero molto elevato di realtà ambientali che continuano a essere oggetto di ricerche molto qualificate da parte di specialisti. In tale contesto, comunque, è possibile annotare qualche considerazione sulla base di quanto annotato in precedenza.

1) È interessante, intanto, cominciare da una sottolineatura. L’approccio alla fauna siciliana può anche utilizzare diverse strade per coinvolgere gli appassionati della natura. Le escursioni costituiscono certamente un «iter» privilegiato. Le ricerche, comunque, possono pure osservare dati storici che accompagnano verso il mondo egizio, verso la Magna Grecia… Riveste interesse anche l’apporto dell’archeologia (per esempio, il Museo di Gela), della numismatica, della pittura, della scultura, delle scienze della riabilitazione («Pet Therapy»), della cosmesi, della fotografia, della filatelia (per esempio, l’Aquila del Bonelli)… Gli stessi prodotti caseari esprimono inoltre un tipo di cultura che non può essere considerato debole.

2) Esiste poi una riflessione sull’equilibrio ecologico. Nel momento in cui l’azione dell’uomo ha alterato profondamente tale sistema, si sono verificati degli scompensi che hanno prodotto squilibri gravi (alcuni irreparabili). Per tale motivo si cerca oggi di costituire nuovamente parchi, aree protette. È un’azione che sul piano storico ha avuto diversi ritardi. Malgrado ciò, sono diversi i progetti naturalistici che hanno recuperato degli «habitat» con i loro protagonisti: per esempio il nibbio, l’aquila reale il capovaccaio (il più piccolo tra gli avvoltoi d’Europa, rarissimo in Sicilia), il falco pellegrino, lo sparviero, il gheppio, la poiana, l’albanella, il gufo comune, il barbagianni, la civetta, l’allocco…

3) Giova inoltre ricordare che la stessa fauna siciliana è stata utilizzata anche da autori e da cantanti (per esempio Emanuel Calì, Michelangelo Verso…) che hanno in un certo senso resa «partecipe» la natura di vicende umane. Stiamo passando nel mondo della poesia. Può essere utile un esempio. In un famoso canto siciliano, l’innamorato è impaziente di vedere la sua bella. Ma questa dorme ancora e non si affaccia al balcone. Esiste quindi un’attesa. Anche gli uccelli partecipano a questo momento. Addirittura hanno cantato da ore per rendere lieto il risveglio della donna.

«Lu suli è già spuntatu n’ tra lu mari
e vui bidduzza mia durmiti ancora,
l’aceddi sunu stanchi di cantari
e affriddateddi aspettunu «cca fora;
supra stu barcuneddu su pusati
e aspettunu quann’è ca v’affacciati».[52]

(«Il sole è già spuntato in mezzo al mare
e voi bellezza mia dormite ancora,
gli uccelli sono stanchi di cantare
e infreddoliti vi aspettano qua fuori,
sopra questo balcone sono posati
e aspettano quando voi vi affacciate»).


Bibliografia

Autori Vari, Atlante della biodiversità della Sicilia. Vertebrati terrestri, Collana Studi e Ricerche, volume 6, ARPA Sicilia, Palermo 2008

Autori Vari, Vocabolario siciliano-italiano, Martin&C., Brugherio (MI) 1997

F. Alaimo, Parco dei Monti Sicani, Fabio Orlando Editore, Palermo 2011

F. Alaimo, Parco dei Nebrodi, Fabio Orlando Editore, Palermo 1995

F. Alaimo, Parco dell’Etna, Fabio Orlando Editore, Palermo 2002

F. Alaimo, Parco delle Madonie, Fabio Orlando Editore, Palermo 1997

M. La Greca, Considerazioni sull’origine della fauna siciliana, in: «Italian Journal of Zoology» (1957), 24:2, pagine 593-631

M. Lo Valvo-F. P. Faraone-G. Giacalone-F. Lillo, Fauna di Sicilia. Anfibi, Edizioni Danaus, Palermo 2017

R. Mascara, L’Avifauna dei siti di Rete Natura 2000 della Sicilia Centro-Meridionale, Edizioni Danaus, Palermo 2017

M. Masseti, Zoologia della Sicilia araba e normanna (827-1194), Edizioni Danaus, Palermo 2016

G. Messina-L. Stramondo, Le riserve naturali gestite dall’Azienda Regionale Foreste Demaniali, Arbor, Palermo 2002

F. Minà Palumbo, Catalogo dei mammiferi della Sicilia, Società Messinese di Storia Patria, Messina 1999

A. Petralia (a cura), L’area protetta di Vindicari, Atti del Convegno celebrativo per il 35° anno di fondazione dell’Ente Fauna Siciliana («Case Cittadella», Vendicari Noto, 25-26 ottobre 2008), 2010.


Esempi di iniziative importanti (in ordine alfabetico)

Area Marina Protetta Isola di Ustica, istituita nel 1986. Area Marina Protetta Isole Ciclopi, istituita nel 2004. Area Marina Protetta Isole Pelagie, istituita nel 2002. Area naturale marina protetta Capo Gallo-Isola delle Femmine, istituita nel 2002. Area marina protetta Plemmirio, istituita nel 2004. Riserva naturale marina Isole Egadi, provvedimenti istitutivi: 1991, 1993, 1996, 2010. Area marina protetta di Capo Milazzo, istituita nel 2019.

Associazione Studi Ornitologici Italia Meridionale, San Giorgio a Cremano. Associazione «Vivi le Madonie», data di fondazione 2014, Petralia Soprana (PA). Distretto di Rocca di Cerere, Rocca di Cerere UNESCO Global Geopark (Enna). Ente Fauna Siciliana, Associazione naturalistica di ricerca e conservazione fondata a Noto il 31 gennaio 1973.

Ente Parco dell’Etna, include venti Comuni (Nicolosi, CT). Parco dei Nebrodi, area naturale protetta, istituita nel 1993. Parco Fluviale dell’Alcantara, zona umida istituita nel 2001. Parco Naturale Regionale delle Madonie UNESCO Global Geopark (Petralia Sottana, PA), istituito nel 1989. Parco Nazionale dell’Isola di Pantelleria, istituito nel 2016.


Sicilia. Riserve naturali regionali

Orientata Torre Salsa

Orientata Cavagrande del Cassibile

Orientata Isola Bella

Orientata Isola di Lampedusa

Orientata Sughereta di Niscemi

Affioramenti gessosi nei pressi della foce del Platani

I «pupi ballerini», riserva naturale orientata Rossomanno-Grottascura-Bellia

Il cosiddetto «pulpito del Re»

Orientata Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere e Gorgo del Drago

Il papiro del Ciane, riserva naturale Fiume Ciane e Saline di Siracusa

Orientata Bagni di Cefalà Diana e Chiarastella

Orientata Bibiere di Gel

Orientata Bosco della Ficuzza, Rocca Buisambra

Orientata Bosco di Favara e Bosco Granza

Bosco di Alcamo

Orientata Bosco di Malabotta

Orientata Capo Gallo

Orientata Capo Rama

Orientata Cavagrande del Cassibile

Integrale Complesso Immacolatelle e Micio Conti

Integrale Complesso speleologico Villasmundo-Sant’Alfio

Orientata geologica di Contrada Scaleri

Fiume Ciane e Saline di Siracusa

Fiume Fiumefreddo

Foce del Fiume Belice e dune limitrofe

Orientata Fiumedinisi e Monte Scuderi

Orientata Foce del fiume Platani

Integrale Grotta Conza

Integrale Grotta dei Puntali

Orientata Grotta della Molara

Integrale Grotta di Carburangeli

Integrale Grotta di Entella

Integrale Grotta di Santa Ninfa

Integrale Grotta di Sant’Angelo Muxaro

Integrale Grotta Palombara

Integrale Grotta Monello

Orientata Isola Bella

Isola delle Femmine

Orientata Isola di Alicudi

Orientata/integrale Isola di Filicudi e scogli Canna e Montenassari

Orientata Isola di Lampedusa

Naturale integrale Isola di Lachea e Faraglioni dei Ciclopi

Orientata/integrale Isola di Linosa e Lampione

Orientata/integrale Isola di Panarea e scogli viciniori

Orientata/integrale Isola di Stromboli e Strombolicchio

Orientata Isola di Ustica

Orientata «Isole dello Stagnone di Marsala»

Orientata La Timpa

Orientata Laghetti di Marinello

Speciale Lago di Pergusa

Integrale Lago Preola e Gorghi Tondi

Naturale integrale Lago Sfondato

Lago Soprano

Orientata Laguna di Capo Peloro

Le Montagne delle Felci e dei Porri

Integrale Macalube di Aragona

Macchia Foresta del Fiume Irminio

Orientata Monte Altesina

Orientata Monte Cammarata

Orientata Monte Capodarso e Valle dell’Imera Meridionale

Orientata Monte Carcaci

Orientata Monte Cofano

Integrale Monte Conca

Naturale orientata Monte Genuardo e Santa Maria del Bosco

Orientata Monte Pellegrino

Orientata Monte San Calogero (Eurako)

Orientata Monte San Calogero (Kronio)

Orientata Monti di Palazzo Adriano e Valle del Sosio

Oasi del Simeto

Oasi Faunistica di Vendicari

Orientata Pantalica, Valle dell’Anapo e Torrente Cava Grande

Pino d’Aleppo

Orientata Pizzo Cane, Pizzo Trigna e Grotta Mazzamuto

Orientata Rossomanno-Grottascura-Bellia

Orientata Saline di Priolo

Orientata Saline di Trapani e Paceco

Orientata Sambuchetti-Campanito

Orientata Serre della Pizzuta

Orientata Serre di Ciminna

Orientata Sughereta di Niscemi

Orientata Torre Salsa

Integrata Vallone Calagra sopra Tortorici

Orientata Vallone di Piano della Corte

Orientata dello Zingaro


Sitografia

Centro Universitario per la Tutela e la Gestione degli Ambienti Naturali e degli Agro-Ecosistemi. Università di Catania. http://www.cutgana.unict.it/

Ente Fauna Siciliana. Fondazione 1973. Attività in difesa della natura. Ha pubblicato, per conto dei relativi organismi di gestione, monografie sulle riserve naturali di Vendicari, Cavagrande del Cassibile, Pantalica-Valle dell’Anapo, Isola di Capo Passero. Dal 1992 pubblica il periodico bimestrale «Grifone». https://www.entefaunasiciliana.it/

https://www.facebook.com/Entefaunasiciliana1973

Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus. https://www.fondazioneslowfood.com/

Geositi Siciliani. http://www.geositidisicilia.it/fauna.html

Istruzione Agraria on line. Fornisce informazioni sull’agricoltura, sulla zootecnia e sull’ambiente. https://www.agraria.org/

Siciliaparchi.com, il portale dei parchi e delle riserve di Sicilia. http://www.siciliaparchi.com/

Wild Nature Photo. http://www.wildnaturephoto.it/fauna-di-sicilia/


Ringraziamenti

Professor Dottor Alfredo Petralia, Presidente dell’Ente Fauna Siciliana, Direttore Emerito del Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Catania, insigne Autore di notevoli opere scientifiche. Si collocano tra queste gli studi etno-antropologici e sociologici, il contributo per il Piano di azione nazionale per il Lanario («Falco biarmicus feldeggii»), gli interventi in tema di sostenibilità ambientale e qualità dello sviluppo, l’apporto alla Mostra «Natura elegans» (Catania), al Seminario «Il Lupo di Sicilia: un endemismo dimenticato e scomparso» (Catania), alla Rassegna «Ambiente&Uomo» (Catania).


Note

1 Sulla fauna siciliana confronta anche: La fauna dei Nebrodi, a cura di M. Sarà, Ente Parco Naturale dei Nebrodi, Caronia (ME) 2009.

2 Nella commedia musicale c’è anche un altro riferimento alla Sicilia. Nel canto La bandiera si afferma che questa è stata fatta anche con il «rosso dei tramonti siciliani».

3 L’Istituto conserva e aggiorna il Registro Anagrafico.

4 R. Baroncini, L’asino, il mulo e il bardotto, Edagricole, Bologna 1987, pagine 187-188.

5 Già nell’antica Roma il latte d’asina era noto per le sue proprietà contro le malattie e l’invecchiamento della pelle. Uomini e donne di alto lignaggio erano soliti lavarsi nel latte d’asina («lac asininum»), ad esempio la Regina d’Egitto Cleopatra (69 avanti Cristo-30 avanti Cristo) e Poppea (circa 30 dopo Cristo-65 dopo Cristo), seconda moglie dell’Imperatore Nerone.

6 Presenza di corna in entrambi i sessi: corna erette e unite alla base. Nei maschi possono raggiungere i 70 centimetri. Ancora oggi si bagnano in acqua calda e si infilano in tubi di ferro avvolti nel panno per disegnare la forma a spirale più regolare possibile, evitando la loro divaricazione.

7 Hugh Falconer, naturalista inglese, nato a Torres (Scozia) nel 1808 e morto a Londra nel 1865.

8 Confronta anche: https://www.la cucina italiana.it/storie/piatti-tipici/capra-di-girgentana/.

9 Allevare in purezza significa incrociare animali della stessa razza. Si cerca così di ottenere una discendenza sempre più aderente allo «standard» definito per tale razza.

10 Solo in concomitanza con i parti si ricorre all’integrazione alimentare.

11 Queste specialità sono: il salame fellata, la salsiccia dei Nebrodi, i salami, i capocolli e le pancette.

12 Naturalmente la carne di suino nero, nei suoi vari tagli, può anche essere consumata fresca.

13 Questo succede spesso nelle isole. È un fatto che rientra nella tendenza di quello che si definisce «nanismo insulare» (causato da prede più piccole e dall’accoppiamento tra una cerchia di individui ristretta).

14 M. Marini, Il lupo siciliano «cugino» di quello appenninico. Sterminato dall’uomo, in: «La Repubblica», 6 febbraio 2019, rubrica «ambiente».

15 A. Di Piazza, Le origini del Lupo siciliano, in: «La Rivista della Natura», 17 febbraio 2019. Confronta al riguardo il sito web: https://rivista natura.com/le-origini-del-lupo-siciliano/.

16 Ligustica: ligure.

17 Rispetto alle api nere africane hanno una minore aggressività.

18 Denominata «Apis mellifera siciliana».

19 Sono le casse a forma di parallelepipedo usate come arnie.

20 Pietro Genduso nacque e morì a Palermo (1922-1999). Ha insegnato presso l’Università di Palermo Entomologia agraria e lotta biologica.

21 Dopo la classificazione avvenuta a opera di Montagano nel 1911.

22 Dopo aver deciso di praticare l’apicoltura professionale.

23 Tanto che non servono maschere nell’estrazione del miele dai favi (operazioni di smielatura).

24 Anche a temperature elevate, oltre i 40° (quando le altre api si bloccano).

25 Nel periodo dicembre-gennaio.

26 Antica razza tipica della regione dell’Epiro in Grecia.

27 Questi cani furono importati in Sicilia forse già durante le guerre cartaginesi tra la fine del IV e gli inizi del III secolo avanti Cristo. Una successiva fase si ebbe, poi, nell’878 dopo Cristo, durante la dominazione araba (che ha influenzato per più di due secoli l’agricoltura siciliana).

28 Le sue origini sono molto antiche. Del 1884 è un olio su tela di Pasquale Libertini Gravina intitolato In Sicilia (è rappresentato uno spino degli Iblei nero che scorta una mandria al pascolo). Altra testimonianza è La benedizione del bestiame di Francesco Lojacono, un quadro del 1889 donato dallo stesso autore a Henri d’Orléans duca di Aumale che lo destinò al Museo Condé di Parigi (vi è ancora conservato). Una coppia di spino degli Iblei è raffigurata in una xilografia del libro Opere Poetiche di Giovanni Meli, pubblicato nel 1908 da Leggio & Piazza Editori.

29 G. Tumminelli-C. Cesareo, Razze canine autoctone siciliane, Crepaldi Editore, Porto Viro 2017.

30 Simbolo della potenza del vulcano.

31 Identificandolo con Efesto.

32 Lo storico tedesco Adolf Holm nacque a Lubecca nel 1830. Morì a Friburgo in Brisgovia nel 1900. Confronta al riguardo: A. Holm, Storia della Sicilia nell’antichità (1896-1901).

33 Situato nei pressi del laghetto Naftia.

34 I cani di «Adranos».

35 La natura degli animali, traduzione di F. Maspero. Testo greco e traduzione italiana a fronte. Volume 1: Libri I-VIII. Volume 2: Libri IX-XVII. Rizzoli, Milano 1998.

36 La natura degli animali, traduzione di F. Maspero. Testo greco e traduzione italiana a fronte. Volume 1: Libri I-VIII. Volume 2: Libri IX-XVII. Rizzoli, Milano 1998.

37 Anubis era il dio della mummificazione e dei cimiteri, protettore delle necropoli e del mondo dei morti, rappresentato come un uomo dalla testa di canide.

38 Il cavallo siciliano ha goduto di estesa notorietà. Ciò ha suscitato la gelosia e l’ammirazione dei Greci durante le storiche corse dei «Pizzie». E ha pure spinto lo scrittore romano Publio Flavio Vegezio (seconda metà IV secolo- V secolo), già 400 anni prima dell’Era Volgare, a citare le lodi dell’«Equus Sicanus».

39 Adelaide del Vasto (1074-1118) fu la terza e ultima moglie di Ruggero I. Si sposarono nel 1087. Tra i loro quattro figli ci fu Ruggero (1095-1154), futuro Re di Sicilia e successore del padre.

40 Al riguardo rimane interessante l’interazione scientifica del Professor Alberti con la signora Mirella Ravaioli. Sono rilevanti anche gli studi del Professor Francesco Tucci (fu direttore dell’Istituto Zootecnico di Palermo per 43 anni).

41 La pratica dell’inanellamento consiste nella cattura momentanea, attraverso speciali reti nebbia, dei volatili, a cui viene applicato alla zampetta un anello di metallo contenente un codice, che consente di identificarlo in tutto il mondo.

42 Tra l’Etna e il golfo di Catania. Area protetta gestita dal Centro di ricerca Cutgana dell’Università di Catania.

43 Redazione, San Gregorio, rinvenuto per la prima volta il Codibugnolo di Sicilia, in: «Cataniatoday» (on line), 26 dicembre 2018.

44 La tartaruga «Caretta Caretta» è la più nota tartaruga marina che vive nel Mar Mediterraneo. È nella lista rossa della «International Union for Conservation of Nature» perché considerata quasi estinta. A Santa Maria del Focallo, però, è ancora presente. Sono stati avvistati alcuni nidi contenenti diverse centinaia di uova.

45 Per informazioni: info.necton@email.it.

46 Denominazione di Origine Protetta.

47 Questa antica Contea si identifica con l’attuale Provincia di Ragusa.

48 La presenza del vitellino stimola la produzione di un ormone, detto Ossitocina. Questo, provoca una contrazione delle cellule muscolari dei dotti lattiferi delle mammelle e l’escrezione del latte. Ciò avviene in risposta allo stimolo della poppata.

49 Sicani: area montuosa tra la Provincia di Agrigento e quella di Palermo.

50 Confronta al riguardo: Lista rossa dei coleotteri saproxilici italiani. Pubblicazione realizzata da: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare-Federparchi-IUCN Comitato Italiano. www.iucn.it. Stamperia Romana, Roma novembre 2014.

51 Colorazione in prevalenza di verde smeraldo. Può assumere tonalità bronzee, viola, gialle, azzurre-nere o ramate.

52 È una poesia siciliana scritta da Giovanni Formisano nel 1910. Musicata da Gaetano Emanuel Calì. La prima probabile incisione fonografica del brano musicale (detto «Mattutino» per distinguerlo dalla serenata notturna) è stata eseguita da Giuseppe Godono su etichetta Phonotype nel 1917.

(settembre 2020)

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