Le elezioni del 18 aprile 1948
Le mire del Partito Comunista Italiano e i motivi per i quali non riuscì ad ottenere la vittoria

Il 25 aprile 1945 è una data che giustamente gli Italiani festeggiano come simbolo della liberazione dalla dittatura del nazifascismo, ma spesso ignorato è il fatto che anche l’immediato dopoguerra fu un periodo drammatico: oltre al turbolento referendum del 1946 tra Monarchia e Repubblica che vide la vittoria di quest’ultima con un ristretto margine di voti (12.717.923 contro 10.719.284), un’altra votazione rischiava di portare il Paese verso nuove tensioni interne, ossia le elezioni del 1948. Da poco tempo era iniziata la «Guerra Fredda» e le elezioni avrebbero deciso se gli Italiani avessero preferito schierarsi nel campo degli Stati Uniti o dell’Unione Sovietica. A propendere per quest’ultima era naturalmente il Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti.

Per decenni è prevalsa l’idea che i comunisti italiani siano stati in qualche modo «diversi» e che, seppur legati al mito della rivoluzione, fossero rimasti pienamente democratici e autonomi da Mosca. L’apertura degli archivi sovietici e l’andamento dei fatti smentiscono però questa teoria: il Partito Comunista Italiano dell’epoca era pienamente dipendente dalle decisioni di Stalin. I temi tanto cari a Togliatti come la costruzione del «partito nuovo», l’intesa con i Cattolici, il lealismo istituzionale, la partecipazione al governo di unità nazionale vennero, in realtà, tollerati dalla direzione sovietica perché ritenuti convenienti alla strategia globale dell’URRS[1].

L’idea politica di Togliatti era infatti quella di condurre l’Italia verso una «democrazia progressiva» la quale però era ben diversa dalla democrazia liberale, come ha spiegato lo storico Piero Craveri: «La democrazia progressiva, formula coniata da Togliatti, designa una transizione al socialismo secondo uno schema ideato nel 1936 da Dimitrov per la guerra di Spagna. La democrazia progressiva non designa in realtà un percorso democratico, ma solo la via dell’egemonia comunista»[2].

Lo stesso leader del Partito Comunista Italiano, del resto, si macchiò di azioni controverse e discutibili: durante le grandi purghe di Stalin degli anni ’30 approvò la condanna di alcuni comunisti, appoggiò il patto Molotov-Ribbentrop, si mostrò indifferente verso la sorte dei prigionieri italiani in Russia, chiuse gli occhi di fronte alle foibe mostrandosi solidale con le mire espansionistiche di Tito, giustificherà l’invasione dell’Ungheria nel ’56, ebbe responsabilità nell’istruzione del processo penale che portò alla condanna a morte del leader ungherese Imre Nagy, criticherà la destalinizzazione di Kruscev e ancora nel ’63 chiederà ai comunisti cecoslovacchi di non riabilitare le vittime dei processi staliniani prima delle prossime elezioni italiane[3].

Nell’immediato dopoguerra il Partito Comunista Italiano disponeva di un consistente apparato militare che, secondo diversi storici, non aveva solo un carattere puramente difensivo. L’idea di conquistare il potere attraverso un’insurrezione armata però non era condivisa da Togliatti (che voleva portare l’Italia sotto l’influenza sovietica tramite una vittoria elettorale); e non lo era neppure da Stalin per calcoli politici: il dittatore sovietico sapeva infatti benissimo che un tentativo armato di prendere il potere avrebbe comportato l’intervento degli Americani e perciò si mantenne sempre prudente (Stalin però non credette mai alla coesistenza pacifica con il «mondo capitalista» e prospettava un nuovo conflitto che avrebbe fatto trionfare il comunismo).

Nel marzo 1948, ad esempio, informò Togliatti che in Italia doveva essere evitata ogni insurrezione e di utilizzare le armi possedute solo in caso di difesa. Ancora nel 1949 alla domanda di Togliatti se si potesse «forzare» la situazione italiana, Stalin rispose negativamente osservando che «un Governo Democratico si può avere solo con un’azione extraparlamente, oggi non realizzabile». In quell’incontro il leader del Partito Comunista Italiano descrisse la Chiesa come il nemico più pericoloso in Italia e il tiranno russo raccomandò perciò di non attaccare frontalmente la religione ma di colpire le sue organizzazioni[4].

Il Vaticano diffidava del Partito Comunista perché questi non faceva mistero d’ispirarsi all’Unione Sovietica, un Paese in cui avveniva una feroce persecuzione dei Cattolici e temeva una sua eventuale vittoria. Timore aggravato dal fatto che esso poteva contare sull’appoggio dei socialisti di Pietro Nenni (cosa che irritò Pio XII dato che proprio grazie alla Chiesa, Nenni ebbe salva la vita durante la guerra). Dai resoconti sovietici apprendiamo che gli stessi comunisti davano scontata una loro vittoria, ma in realtà trascurarono o sottovalutarono numerosi fattori. Uno di questi erano gli Stati Uniti: il Presidente Truman considerava l’Italia un banco di prova nella lotta al comunismo e si attivò per evitare una vittoria delle Sinistre utilizzando sia l’invio di aiuti (circa 176 milioni di dollari vennero impiegati in aiuti provvisori), sia la promessa di sostenere l’Italia nella contesa riguardante i suoi territori quali Trieste e la Valle d’Aosta.

Una forza non meno importante era rappresentata dalla Chiesa Cattolica. Essa era uscita rafforzata dalla guerra per l’aiuto dato alla popolazione e godeva quindi di un grande prestigio. Prestigio che Pio XII utilizzò per scongiurare un’eventuale sconfitta dei democristiani mettendo in campo tutte le sue forze. Incaricò quindi il genetista Luigi Gedda di creare un movimento per mobilitare le masse cattoliche e questi riuscì in pochi mesi a mettere all’opera migliaia di comitati civici che supplirono all’eventuale mancanza di apparati locali della Democrazia Cristiana. Molti sacerdoti divennero (nonostante il formale divieto contenuto nei Patti Lateranensi di fare politica) dei veri e propri propagandisti della Democrazia Cristiana. Alcuni Vescovi giunsero persino a consigliare di rifiutare l’assoluzione ai parrocchiani che avessero dato il loro voto ai comunisti.

Altro fattore che contribuì alla vittoria democristiana fu anche il fatto che il Partito Comunista Italiano dell’epoca era pienamente allineato con tutte le tesi sovietiche arrivando al punto da giustificare anche le azioni più criminali come il colpo di Stato che avvenne in Cecoslovacchia nel febbraio del ’48, dipinto come una svolta democratica seppur Stalin cominciò subito a sbarazzarsi dei suoi oppositori politici come il Ministro degli Esteri Jan Masaryk (omicidio che la Sinistra Italiana tentò di negare). Nell’immediato dopoguerra lo scontro politico fu purtroppo segnato a volte da violenze: nel Mezzogiorno, si verificarono delle violenze di stampo reazionario e mafioso in quanto emissari della mafia provvidero a liquidare gli agitatori di Sinistra o a compiere attentati contro contadini poco soddisfati delle condizioni di lavoro; mentre invece nel Centro-Nord si verificarono omicidi da parte di ex partigiani rossi che colpirono anche persone che costituivano dei possibili avversari del comunismo.

Il 18 aprile 1948 avvennero infine le votazioni e vinsero i democristiani di Alcide De Gasperi ottenendo la maggioranza assoluta sfiorando il 48,5% dei voti[5] (non fu comunque una totale sconfitta per Togliatti dato che riuscì a diventare la principale forza di opposizione italiana, superando i socialisti che nel 1946 avevano ottenuto più voti del Partito Comunista Italiano).

I comunisti italiani attribuirono inizialmente la sconfitta a fantomatici brogli e poi all’ignoranza delle beghine analfabete che avevano votato. In realtà, quelle «beghine» si erano dimostrate più intelligenti di certi intellettuali perché avevano capito una cosa semplice, ma basilare: non poteva dirsi democratico un partito che aveva come modello uno dei più terribili Stati totalitari del Novecento.


Note

1 Confronta P. Milza, Storia d’Italia. Dalla preistoria ai giorni nostri, Milano 2006, pagina 857.

2 Da: Massimo Teodori, De Gasperi, il più laico di tutti, «Il Giornale», 14 novembre 2006.

3 Per una breve sintesi su alcune azioni «controverse» di Togliatti, si veda: Il libro nero del comunismo europeo, Milano 2006, pagine 427-444.

4 Confronta Elena Aga Rossi-Victor Zaslasvki, Stalin a Togliatti: colpire i Cattolici, «Avvenire», 31 ottobre 2007.

5 Sulle cause della vittoria della Democrazia Cristiana si veda M. Burleigh, In nome di Dio, Bologna 2007, pagine 341-344.

(dicembre 2015)

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