La Chiesa della Croce di Lucca a Napoli
Una grande devozione che a partire dal Medioevo fece molti proseliti

Una chiesa della Santa Croce di Lucca attualmente sconsacrata è presente a Napoli in Via dei Tribunali.

Fu costruita nel 1537 insieme all’annesso monastero delle Suore Carmelitane che la dedicarono al Crocifisso venerato nel Duomo di Lucca. Nel XVII secolo vennero effettuati dei lavori di restauro alla chiesa e di ampliamento del monastero e del chiostro, per opera dell’architetto Francesco Antonio Picchiatti e successivamente dell’architetto Giovanni Battista Manni insieme a suo figlio. Nel 1903 purtroppo per la costruzione del Policlinico Universitario vennero abbattuti il monastero e il chiostro, e alcuni edifici adiacenti la chiesa che comunque subì un taglio di circa sette metri. Lo sventramento fu contestato dagli ambienti intellettuali del tempo per salvaguardare le numerose opere d’arte ivi presenti. Ma invano. Rimase soltanto la chiesa di Lucca mutilata dell’abside, salvata grazie al prodigarsi di Benedetto Croce.

Il crocifisso raffigurante il corpo e il volto di Cristo è di colore scuro e totalmente diverso dai normali crocifissi che siamo abituati a vedere. Secondo una leggenda è stato scolpito da San Nicodemo, che non essendo proprio un ottimo scultore fu aiutato più dalla grazia divina che dalla sua arte. Nicodemo, una volta scolpito il busto del Volto Santo al quale mancava solo la testa, si addormentò ai piedi della statua. Al suo risveglio trovò il crocifisso completato, fatto dagli angeli; doveva spostare la scultura in un luogo più adatto al pubblico culto. Durante il periodo delle persecuzioni, Nicodemo ormai in punto di morte, affidò questa scultura a Isacaar, il quale la nascose nel sotterraneo di una grotta per evitare che venisse danneggiato o rubato dai Giudei. Rimase così nascosta per generazioni. Si racconta che un giorno un angelo indicò al Vescovo Gualfredo la presenza di questa croce, dicendogli che sarebbe giunto dal mare su una imbarcazione senza guida. E infatti la nave raggiunse il porto di Luni, nell’Alta Toscana. I Vescovi delle rispettive città se la contesero. Allora si decise di metterla su un carro con dei buoi lasciati liberi di dirigersi dove volevano. Si mossero verso Lucca e da quel momento in poi il Volto Santo qui fu collocato, prima nella Basilica di San Frediano in città e successivamente nel Duomo di San Martino, dove nottetempo la Croce si era diretta. Tanto che la sera del 13 settembre di ogni anno in Lucca una Processione ricorda la vicenda in modo del tutto devozionale.

Napoli e Lucca erano mosse da comuni traffici nel Medioevo e non solo, questa la vera ragione di tanta devozione verso la Croce lignea lucchese, che peraltro era molto venerata in tutta Europa, tanto da rappresentare una tappa obbligata per il pellegrini che transitavano sulla Via Francigena, di passaggio da Lucca.

Che tipo di traffici erano quelli medioevali e successivi oltre il legame devozionale? Una strada parallela alla Via Francigena correva in Lucca per la Garfagnana dove le dinastie longobarde della Tuscia avevano regnato, di concerto con la realtà beneventana del Sud. Si dirigevano questi cavalieri, già nell’VIII e IX secolo in Auvergne in Francia, perché banchieri oltre che uomini d’arme. Pensiamo spesso agli Ordini Cavallereschi di cui ci è giunta memoria, come il Templare, il Tau, il Gerosolomitano e così via, presenti dappertutto in Europa, non ultimo in Campania e nell’intero Sud. Pensiamo al Tau, che era diffuso ampiamente in Sicilia. O al Templare, del tutto presente con addirittura studi recenti che vogliono la sua origine nel Meridione d’Italia.

Ma i cavalierati nacquero assai prima degli stessi Ordini menzionati, e la docente di storia dell’arte dell’Università di Parma, Maria Pia Branchi, con i suoi studi, lo attesta, nel caso di Lucca. Cavalieri che erano soprattutto marinai e che non solo da Pisa, ma da Luni e da Motrone, porti ormai scomparsi ma all’epoca molto attivi e frequentati, svolgevano le loro missioni economiche, politiche e culturali oltre che devozionali.

Una famiglia su tutte ho rintracciato che ebbe legami precisi in terra partenopea con tali cavalierati e devozionalità: i Di Poggio. Presenti in località Poggio in Garfagnana, non lontani da Careggine, e Camporgiano, se è vero che questi territori sono limitrofi a quel Monte Magno e quella Versilia del porto di Motrone con annesso nelle vicinanze in precedenza il porto di Luni, dove i Da Corvaia erano dinastia imperante. Dinastia che giurò nelle mani dei Pisani durante le guerre per le lotte comunali del comune di Lucca emergente. Dinastia che gli storici del passato, vedi Monsignor Pacchi, associano spesso ai Porcaresi, altra dinastia longobarda con territori tra Lucca e Altopascio, terra del Tau.

I Di Poggio sono qui da sempre, fino al XIX secolo. Hanno molto potere in Lucca nonostante i tentativi di rovesciare nel corso del tempo lo «status quo» lucchese, come dimostra la loro celebre congiura del Cinquecento. Sono lì e viaggiano anche in terra campana. Un Di Poggio infatti insegue da vicino la Regina Maria Carolina di Borbone quando ancora di passaggio da Firenze è diretta a Napoli nel Settecento per sposare il suo Re Borbonico Ferdinando. Una Regina illuminata, come illuminato fu il secolo dei lumi, e che illuminò il suo Stato di adozione, ossia il Regno delle Due Sicilie.

Che cosa poteva mai rappresentare un Di Poggio agli occhi della futura Sovrana di asburgici natali? Ma naturalmente il senso dei cavalierati, un Medioevo che era essenzialmente movimento, analisi e contranalisi di situazioni sociali e religiose, che avevano infiammato l’intera Europa. Le celebri autostrade del Medioevo, di terra e di mare.

Queste autostrade videro gli ex cavalieri sempre in prima linea. I Di Poggio appartennero anche alla Marina dei Cavalieri di Santo Stefano, livornese, che dal Cinquecento a tutto il Settecento pattugliò il Mediterraneo. Gli ultimi corsari barbareschi furono scovati poco prima del 1798, anno della spedizione napoleonica in Egitto.

Stranamente un caso quasi unico nel panorama lucchese. Quello di appartenere alla Marina di Santo Stefano di cavalieri locali.

Forse solo a noi contemporanei appare come una vicenda strana.

Potevano questi pattugliatori del mare non assecondare e conoscere da vicino il mondo marinaro del Sud, napoletano in testa? La familiarità con gli Asburgo e di riflesso con i Borbone non era casuale. E infatti i cavalieri Di Poggio facevano parte anche dei Chierici Regolari della Madre di Dio, lucchesi presenti con una loro chiesa in Napoli. Questi legami erano fatti anche di epigrafia, di arte, di devozione cui seguivano opere d’arte di inestimabile valore. Solo così possiamo spiegarci la bellezza della chiesa della Croce di Lucca in Napoli che personaggi come Benedetto Croce contribuirono a difendere e tutelare. La devozione non era solo religiosa ma rifletteva un patrimonio culturale comune importante. Quel patrimonio che permise a Federico II, figlio di Costanza d’Altavilla, la Normanna con radici familiari aleramiche in Piemonte, che a lungo visse nell’attuale Vercelli e dove anche il giovane Federico II dimorò spesso, di sottoscrivere una Unità «ante litteram» che non andò – ahimé – a finire.

Federico II non casualmente era legato non sono a questi luoghi aleramici ma a un Borgo tra Modena e Lucca, a più di 1.500 metri di altezza, San Pellegrino in Alpe. Le dinastie del luogo ebbero sempre serrati legami con quegli Aleramici cui anche Costanza e Federico appartennero. Un’Italia ricca dunque di Unità molto tempo prima di quella che si realizzò nel XIX secolo.

(settembre 2022)

Tag: Elena Pierotti, Di Poggio, Federico II, Costanza d’Altavilla, Aleramici, Carolina di Borbone nata Asburgo, Cavalierati, chiesa della Croce di Lucca a Napoli, Volto Santo, San Nicodemo. Gualfredo.