Giulio Andreotti, il mastino della politica estera
Uno statista di altissimo livello, che portò l’Italia a svolgere un ruolo di primo piano nel panorama geopolitico internazionale degli anni Novanta del secolo scorso

Fra i molti incarichi di governo, Giulio Andreotti, da grande esperto di geopolitica e di politica internazionale qual era, fu per ben cinque volte Ministro degli Affari Esteri, dal 1983 al 1989, ruolo che seppe rivestire con intelligenza fino a divenire una personalità di primo piano nello scacchiere internazionale. Erano gli anni della Guerra Fredda, della proliferazione delle testate nucleari e del terrorismo internazionale; in più occasioni si era rischiato che la dura contrapposizione fra i due blocchi, quello del Patto di Varsavia che faceva capo a Mosca e quello dell’Alleanza Atlantica che aveva come punto di riferimento Washington, precipitasse e portasse alla Terza Guerra Mondiale. E nel marasma del «chi sta con chi», intere Nazioni si spaccavano e subivano i più disparati radicalismi ideologici, i cui eccessi, spesso, finivano nel sangue della repressione, nelle proteste violente, nella sovversione e persino nei golpe e, ancora, in un perpetuo susseguirsi di attentati.

Andreotti era l’uomo della mediazione, del dialogo senza però che all’Italia venisse meno la dignità di Paese di primo piano, al confine fra i due mondi ed ancora al centro del Mediterraneo, ad un passo dall’Africa e da quello che già allora era il costantemente infiammato Medio Oriente.

Atlantista convinto, seppe mantenere la barra dell’Italia nella NATO, tanto che fu lui a concedere le basi italiane per l’installazione degli euro-missili; tuttavia la sua politica fra i due blocchi fu quella della distensione, ed appoggiò con fermezza il cammino democratico dei Paesi dell’Est, come pure l’azione riformatrice dell’ultimo Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov.

Capace di vedere lontano, Andreotti fece percepire comunque qualche sua riserva nella repentina riunificazione delle due Germanie, dichiarando (e per questo subendone le critiche) che era un passaggio su cui occorreva riflettere.

Gli Stati Uniti riservarono sempre ad Andreotti una grande considerazione, tanto che in occasione del suo viaggio in America della fine degli anni Settanta ricevette un’accoglienza trionfale; nel 1991, in occasione del vertice NATO di Roma, Giulio Andreotti si schierò, con l’Inglese John Major, a fianco del Presidente Statunitense George Bush, avendo la meglio così sulle riserve di Francia e Germania e quindi ponendosi in una posizione di rilievo rispetto agli altri interlocutori.

Fu uno dei più attivi costruttori dell’Unione Europea, progetto al quale si dedicò con abnegazione, passo dopo passo fino al Trattato di Maastricht, del 1992: la sua linea fortemente europeista vince su quella più scettica del Primo Ministro Inglese Margaret Thatcher al vertice di Roma del 1990, tanto che da lì iniziò il declino della «lady di ferro» e si disse che solo a sentire il nome di Andreotti la donna andava su tutte le furie, che vedeva con soddisfazione le vicende giudiziarie che lo coinvolsero e che quel giorno, a Roma, era stata vittima di un «agguato» tesole dal politico italiano (confronta il «Corriere della Sera», 26 aprile 1995).

Andreotti seppe anche tenere aperto il dialogo con la sponda a Sud e ad Est del Mediterraneo e quindi caratterizzare la sua politica internazionale, definita «levantina», con la vicinanza al mondo arabo: si trattava di un modo di far politica ampio, intelligente ed unico nel panorama politico alleato, in linea con quanto aveva predicato il fondatore dell’ENI, Enrico Mattei. Non nascondeva neppure le sue simpatie per la causa palestinese, tanto che, con la sua sottile ironia, ebbe a dire nel 2005, in occasione del World Political Forum di Torino, che: «Se fossi nato in un campo profughi del Libano, forse sarei diventato anch’io un terrorista».

Da capo della Farnesina, interviene nell’ottobre 1985 per il dirottamento della nave italiana da crociera Achille Lauro, sequestrata da un commando del Fronte per la Liberazione della Palestina con a bordo 201 passeggeri e 344 uomini di equipaggio; Presidente del Consiglio era allora Bettino Craxi ed Andreotti favorì l’azione di mediazione dell’Egitto e dell’OLP di Yasser Arafat; lavorò alla regia di quello che fu un duro braccio di ferro sulla cosiddetta «Crisi di Sigonella», quando l’Italia non volle arrendersi alle pretese degli Stati Uniti di consegnare i terroristi dell’Achille Lauro, i quali avevano ucciso il turista ebreo americano Leon Klinghoffer, un uomo paralitico di 65 anni: la tensione fu alle stelle, tanto che a Sigonella un nucleo armato del VAM (Vigilanza Aeronautica Militare) ed uno di Carabinieri da una parte e gli uomini della Delta Force (reparto speciale delle Forze Armate Statunitensi) dall’altra rischiarono lo scontro a fuoco.

Giulio Andreotti visse quindi da protagonista la politica estera italiana, facendo a sua volta dell’Italia un Paese protagonista, un ponte fra i blocchi e fra le diverse aree di questa parte del pianeta.

Fra i molti libri da lui scritti, vanno segnalati, in materia di politica internazionale, 1949. L’anno del Patto Atlantico, Milano, Rizzoli, 2006; L’URSS vista da vicino, Milano, Rizzoli, 1988; Gli USA visti da vicino, Milano, Rizzoli, 1989.

Articolo in media partnership con www.notiziegeopolitiche.net
(settembre 2014)

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