18 aprile 1948
Il celebre successo della Democrazia Cristiana nelle prime elezioni parlamentari del dopoguerra, dopo quelle per la Costituente

Ormai, si sono compiuti tre quarti di secolo dalla storica primavera italiana del 1948, quando il popolo fu chiamato alle urne per eleggere il primo Parlamento della nuova Repubblica. Ciò accadeva due anni dopo le consultazioni per la Costituente e per il referendum istituzionale che avevano visto, rispettivamente, un successo considerevole delle forze di sinistra, e l’esilio della Monarchia Sabauda, cui non avrebbe giovato il ricordo del 25 luglio 1943, quando il Sovrano (Vittorio Emanuele III di Savoia) aveva giubilato il Governo Fascista dopo un ventennio di collaborazione, promuovendo quello affidato al Maresciallo Pietro Badoglio, col supporto dei vecchi partiti tornati alla ribalta politica.

I tempi erano difficili, con una ricostruzione che doveva fronteggiare una rovina abissale, ma rinnovate speranze erano indotte dall’avviamento ufficiale del Piano Marshall, voluto dagli Stati Uniti per promuovere la rinascita europea e più specificamente quella italiana; dal varo della nuova Costituzione repubblicana, approvata[1] nello scorcio conclusivo del 1947; e prima ancora, dal successo del grande prestito nazionale che aveva permesso di raccogliere 231 miliardi di lire, da destinare proprio alla ricostruzione. Il 10 febbraio dell’anno precedente era stato firmato l’iniquo trattato di pace che aveva visto, oltre alla perdita delle colonie, quella di ampie quote del territorio metropolitano, con particolare riguardo a Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, cedute alla Jugoslavia, per non dire di Briga e Tenda passate alla Francia: imposizioni che la coscienza popolare aveva interpretato come momento di palese ingiustizia[2].

All’indomani del 18 aprile, completato lo spoglio dei voti, emerse un panorama notevolmente diverso da quello di due anni prima. La Democrazia Cristiana aveva superato il 48% dei suffragi in entrambi i rami del Parlamento, e con l’ausilio delle formazioni di democrazia laica (socialdemocratica, repubblicana e liberale) ottenne un’ampia maggioranza assoluta, tanto da indurre il Ministro degli Interni Mario Scelba al celebre commento di aver creduto che potesse piovere, ma giammai grandinare. In effetti, nel giro di un biennio la Democrazia Cristiana aveva guadagnato 13 punti percentuali, perduti quasi specularmente dalle forze di sinistra riunite nel Fronte Democratico Popolare, senza trascurare il ritorno della destra, che in quelle condizioni oggettivamente difficili ascrisse il 2,8% di voti monarchici, e due punti per il neonato Movimento Sociale Italiano, che comportarono l’elezione dei suoi sette primi parlamentari[3].

In altri termini, le posizioni si erano rapidamente rovesciate. Da un lato, vi avevano contribuito ragioni di politica estera, quali l’espansionismo sovietico nei Paesi dell’Europa occupata e la questione di Trieste, che si sarebbe protratta fino agli accordi sia pure «provvisori» del 1954; dall’altro, motivazioni di politica interna, riconducibili all’oltranzismo della sinistra che aveva indotto una prima scissione socialista, e il Congresso democristiano tenutosi a Napoli nel novembre 1947, dove era stata definita la vocazione centrista del partito, prendendo nette distanze sia dalle forze di destra, sia da quelle cosiddette progressiste, e accentuando la primigenia vocazione sociale in tema di economia.

Il successo della Democrazia Cristiana ottenuto nel 1948 non si sarebbe più ripetuto in analoghi termini percentuali, sebbene lo Scudo Crociato sia rimasto protagonista della vita politica italiana per parecchi decenni, fino alla stagione «rivoluzionaria» di Mani Pulite. Un contributo importante a quei risultati fu apportato dalla gerarchia ecclesiastica, che ebbe buon gioco nel volgere a proprio favore i timori rivenienti dal «pericolo» social-comunista. Nella fattispecie, il Vaticano si avvalse di collaborazioni assai importanti come quelle del Professor Luigi Gedda, Presidente dei Comitati Civici e più tardi dell’Azione Cattolica Italiana[4], e soprattutto di Padre Riccardo Lombardi, che avrebbe avuto un momento di particolare notorietà proprio con le allocuzioni del 1948, quando gli fu attribuita la definizione di «Microfono di Dio», e che si deve ricordare, tra l’altro, per avere fondato il movimento ecclesiale «Per un mondo migliore»[5].

Oggi, gli echi del 18 aprile 1948 sono relativamente marginali, e circoscritti alla sfera storiografica, più che a quella politica. Ciò, sebbene l’Italia contemporanea, per taluni aspetti, abbia tratto origine proprio da quella «lezione» e dalla capacità popolare di guardare oltre i limiti del momento per compiere una scelta all’insegna della prudenza che costituiva un importante ritorno alla riflessione dopo il forte sussulto rivoluzionario del 1945, conseguente alla fine del Conflitto Mondiale, e più specificamente, a quella del fascismo repubblicano (una fine tanto più drammatica perché aveva coinvolto il Paese in una vera e propria guerra civile, caratterizzata da motivazioni domestiche ancor prima che internazionali). Il 18 aprile ha comunque conservato una sua precisa valenza storica, che è quella di una svolta fondamentale nella vita pubblica italiana, avvenuta, tra l’altro, attraverso il ripudio di movimenti estemporanei, primo fra tutti quello dell’Uomo Qualunque, che nel 1946 aveva raccolto oltre 1,2 milioni di voti, pari al 5,3% dei suffragi, ma che nel giro di una sola stagione sarebbe scomparso come neve al sole. Ciò, al pari di quanto accadde per diverse formazioni minori ma pur sempre di qualche pretesa, come il Partito Cristiano Sociale, la Democrazia del Lavoro, il Partito dei Contadini, e via dicendo.

Comunque sia, la storia non procede mai a caso, e quella del 18 aprile non fa eccezione alla regola. Lungi dal costituire un semplice riflusso verso posizioni sostanzialmente conservatrici, come una parte della critica ha voluto adombrare, in quella svolta sembra piuttosto di poter cogliere il ritorno della cosiddetta «astuzia della ragione» teorizzata da Georg Friedrich Hegel nella sua valutazione di corsi e ricorsi della mutevole, incessante vicenda umana, partecipe delle «magnifiche sorti e progressive» di leopardiana memoria, giustapposte a quelle di una mente non sempre esclusivamente pura come quella sognata dal Vico quale ultimo stadio di perfezione, ma sempre umanissima nei sogni, nelle speranze, nelle illusioni: in una parola, nella vita.


Note

1 Dopo 170 sedute, l’Assemblea Costituente avrebbe approvato il testo della nuova Carta repubblicana con 453 voti favorevoli e 62 contrari, e quindi, con una maggioranza di oltre quattro quinti che mette in luce una volontà politica sostanzialmente concorde, nonostante l’eterogeneità delle forze in campo, a cominciare da quella ideologica. Il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, che poi avrebbe assunto la Presidenza della Repubblica, firmò la Carta assieme al Presidente dell’Assemblea Costituente, il comunista Umberto Terracini, e al Capo del Governo in carica, il democristiano Alcide De Gasperi. La vigenza effettiva della nuova Costituzione ebbe inizio col 1° gennaio 1948.

2 Il giudizio popolare trasse motivi di ulteriore adesione alla luce del dramma di Maria Pasquinelli, la giovane professoressa fiorentina che aveva freddato il Generale De Winton, Governatore Militare di Pola, per esprimere il dramma, e la protesta di un intero popolo. Condannata a morte, ebbe la commutazione nell’ergastolo, e infine la grazia, dopo 17 anni di detenzione.

3 Il Movimento Sociale Italiano era stato costituito a Roma il 26 dicembre 1946 per iniziativa prioritaria di Giorgio Almirante, Arturo Michelini e Pino Romualdi, e ottenne sei seggi alla Camera e uno al Senato, nelle elezioni del 18 aprile 1948, che furono il suo battesimo. A Montecitorio furono eletti Almirante e Michelini, assieme a Luigi Filosa, Roberto Mieville, Gianni Roberti e Guido Russo Perez, mentre a Palazzo Madama l’unico seggio spettante al nuovo partito fu appannaggio di Enea Franza. Nel merito, confronta Giorgio Almirante e Francesco Palamenghi Crispi, Il Movimento Sociale Italiano, in «Storia e funzione dei partiti politici italiani», Nuova Accademia Editrice, Milano 1958, 142 pagine.

4 Personaggio discusso, anche per le sue dichiarate inclinazioni razziste, Luigi Gedda (1902-2000) ebbe indubbia efficacia nell’impostazione della campagna elettorale del 1948, avendo naturalmente trovato valido supporto, in primo luogo nel Sommo Pontefice Pio XII.

5 Il Centro «Per un Mondo Migliore» sorto a Rocca di Papa avrebbe continuato ad avere vita fertile anche sul piano etico-politico, distinguendosi, tra l’altro, per la presenza di Padre Virginio Rotondi, che non avrebbe mancato di illustrare il proprio alto magistero con iniziative di ampio respiro culturale. Fra le tante, può ricordarsi il Convegno del 1962, intitolato proprio alla ragione sociale del Centro, nella cui prolusione Padre Virginio non mancò di porre in luce che «si stava meglio in un mondo fatto peggio» inducendo ampi consensi dell’uditorio (Centro d’Intesa Nazionale, Atti del Convegno «Per un Mondo Migliore», Il Fauno, Firenze 1963).

(maggio 2023)

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