Una suggestiva tarsia marmorea conservata nel Museo Nazionale dell’Alto Medioevo di Roma
Se si vuole tuffarsi negli ultimi secoli di vita dell’Impero Romano, nei primi secoli dell’Era Cristiana e nei primi secoli dell’Alto Medioevo, c’è un posto che permette di viaggiare comodamente nella storia, è il bellissimo Museo Nazionale dell’Alto Medioevo di Roma. Sveleremo nelle prossime pagine un capolavoro conservato nelle sue stanze

La tarsia marmorea di Porta Marina conservata nel Museo Nazionale dell’Alto Medioevo di Roma

Approfittare della domenica gratuita e del fratello romano permette di scoprire luoghi diversi da Napoli, ovviamente non potevo che prediligere un monumento particolare, la scelta, per nulla casuale, è caduta sul Museo Nazionale dell’Alto Medioevo sito in zona EUR, merita veramente una visita.

Qui potete ammirare oggetti meravigliosi realizzati da chi è stato etichettato come barbaro, infatti molti di essi sono stati prodotti da quei strani Longobardi venuti da lontano come conquistatori e divenuti a loro volta conquistati dalla complessa e multietnica cultura italica (Roma è «Caput Mundi» anche nei primi secoli del Medioevo; invasioni, conquiste e commercio non si sono mai fermati), osmosi che ha prodotto piccoli capolavori quotidiani.

Oggi voglio mostrarvi un capolavoro che merita tanta ammirazione, è la tarsia marmorea di Porta Marina a Ostia.

Il capolavoro in questione è composto da una serie di tarsie marmoree rinvenute a Ostia Antica in una «domus» fuori Porta Marina ed è uno dei prodotti artistici più alti raggiunti dall’arte tardo imperiale nel IV secolo dopo Cristo; lo so che cosa state pensando, quelli realizzati nei secoli precedenti non sono anch’essi dei capolavori? Sì, avete ragione, sono tutti capolavori, ma vuoi per il tipo di allestimento scelto, vuoi per la bellezza intrinseca dei marmi policromi, vuoi per la perizia tecnica con cui sono stati realizzati ma entrare in una stanza totalmente ricoperta da tarsie marmoree – meglio dire «opus sectile» – che mostrano figure umane, animali, elementi architettonici minuziosamente resi dal sapiente uso del chiaroscuro fa un certo effetto.

Prima di descrivere questo trionfo di marmi policromi assemblati in modo sublime è giusto dare qualche informazione sulla «domus» e sugli scavi archeologici che l’hanno riportata alla luce.


Ostia Antica, ameno luogo di villeggiatura

Ostia Antica è sempre stata strettamente legata alla vita di Roma, prima come suo porto poi con lo spostamento dei traffici commerciali divenne un ameno posto di ristoro per i suoi ceti più ricchi e agiati composti da alti funzionari amministrativi con la passione per il commercio, e facoltosi senatori.

Scelta che proseguì anche nel IV secolo dopo Cristo e, nonostante la complessità politica, economica nonché sociale che caratterizzò la fine dell’Impero e l’inizio dell’Alto Medioevo, i ricchi Romani non rinunciarono al lusso e continuarono a costruire ville le cui stanze più importanti e rappresentative erano abbellite da raffinate tarsie marmoree, le pareti affrescate erano considerate «cose da poveri».

La villa di Porta Marina non fa eccezione, rinvenuta fortuitamente durante alcuni scavi effettuati durante gli anni ’40 del secolo scorso poco fuori Porta Marina, fu, però, sistematicamente scavata e studiata solo dopo 20 anni. Piano piano fu messo in luce l’edificio monumentale con la sua preziosa stanza.

L’eccezionalità di tale ritrovamento non sta solo nella bellezza e nella raffinata decorazione marmorea poiché esempi coevi altrettanto belli e raffinati sono stati rinvenuti a Roma e in altre parti dell’Impero, ma soprattutto su come l’«opus sectile» è stato rinvenuto: in fase di ristrutturazione della «domus» è avvenuto un crollo, di cui si ignora il motivo, ciò ha sigillato sotto strati di terra il cantiere con tutte le sue diverse fasi di lavoro.

Durante gli scavi, quindi, è stato possibile non solo studiare un antico cantiere ma soprattutto le diverse fasi della realizzazione e dell’allettamento delle tarsie marmoree e ciò ha permesso di ricostruire abbastanza fedelmente l’«opus sectile» di questa villa nel Museo Nazionale dell’Alto Medioevo di Roma.

Sempre grazie al cantiere si è potuto datare l’inizio, più o meno, dei lavori e il crollo grazie a due monete rinvenute sotto la malta di allettamento, una moneta di bronzo di Massimo (383-388 dopo Cristo) mentre quella più recente è di Eugenio (392-394 dopo Cristo), quindi il crollo avvenne fra il 394 e il 400 dopo Cristo.

Tra il 1959 e il 1966 fu iniziato il restauro storico della decorazione e la costruzione nel Museo Nazionale dell’Alto Medioevo di Roma dell’intera stanza, le cui dimensioni sono notevoli: sette metri per sette con tanto di esedra rettangolare ampia sei metri per quattro, per ospitare l’«opus sectile» restaurato e ricostruito seguendo gli schemi dell’allettamento presenti nel cantiere.

Secondo gli studiosi, tale ambiente era stato realizzato sul modello delle aule per le udienze dei palazzi imperiali coevi ma nelle «domus» tardo imperiali erano destinate a cerimonie conviviali.


Le lussuose tarsie marmoree o «opus sectile», cose da patrizi romani

Come detto, nel IV secolo dopo Cristo molte dimore lussuose erano decorate in «opus sectile» considerato molto più prezioso, e come dar torto, di decorazione pittorica. Tale moda si diffuse prepotentemente in tutte le province dell’Impero e ciò fece schizzare la richiesta di marmi pregiati e il loro costo a tal punto che l’Imperatore Diocleziano nell’Editto dei Prezzi fu costretto a fissare il loro prezzo nonostante fossero delle merci di lusso; tra i marmi calmierati troviamo il porfido rosso egiziano, il porfido verde o serpentino, il giallo antico dalla Tunisia e il pavonazzetto proveniente dall’attuale Turchia, sono i marmi usati nella cosiddetta quadricromia neroniana: bianco-rosso e giallo-verde.

Le lastre venivano ricavate da blocchi di marmi nei quali erano stati praticati delle sottili scanalature, in esse si introduceva una poltiglia di acqua e sabbia che spinta da una sega metallica permetteva di tagliarlo in modo sottile. Successivamente veniva «polita» con acqua e sostanze abrasive mentre la faccia a vista veniva ulteriormente lucidata con l’arenaria e la pomice.

Ottenute le lastre, venivano poi tagliate nelle forme volute e assemblate generalmente a rovescio su un piano di lavoro, i pannelli venivano uniti sul retro con degli elementi di terracotta in modo da facilitare la loro messa in opera, infine fissati alla parete con della malta.

Le incisioni e le picchiettature a scalpello venivano fatte per evidenziare i particolari interni delle figure e dei motivi ornamentali come le nervature delle foglie, petali dei fiori, piumaggio degli uccelli, eccetera. Per dare un ulteriore effetto luministico si usava la pasta vitrea. Completava la decorazione l’uso sapiente della luce sia naturale che quella data dal braciere, utilizzate per esaltare ulteriormente i giochi chiaroscurali della composizione.


Enigmi e interpretazioni dell’«opus sectile» di Porta Marina

Come accennato poco sopra, l’eccezionalità del ritrovamento dell’«opus sectile» di Porta Marina sta non solo sulla sua indubbia bellezza ma soprattutto sul misterioso crollo che ha interessato la villa, le cui cause non sono state ancora del tutto chiarite. Sicuramente la domanda più enigmatica riguarda il perché dopo il crollo la «domus» non sia stata ricostruita. Dagli accurati studi archeologici sono state escluse sia le cause naturali sia incidenti perché, nel primo caso, non c’è stato riscontro in altre «domus» ostiense, nel secondo caso, i lavori sarebbero ripresi, invece nulla, dopo il crollo non è stato fatto niente tant’è che il cantiere, congelato dal tempo, è giunto a noi intatto.

Tale dubbio ha portato gli studiosi a dare due letture diametralmente opposte vedendo nella decorazione marmorea la causa del crollo; le diverse interpretazioni sono legate a due volti maschili raffigurati uno con barba e nimbo mentre il più giovane con la tunica bordata di porpora.

Alcuni studiosi, tra i quali Becatti, partendo dalle caratteristiche dei due volti, vedono in uno il Cristo e nell’altro un giovane benefattore del collegio proprietario della «domus» e interpretano tutta la decorazione marmorea in senso cristiano. Da questa lettura hanno ipotizzato che il crollo fu causato dalle persecuzioni anticristiane che caratterizzavano gli ultimi secoli dell’Impero Romano.

L’altra ipotesi, quella che ha più credito ed è comunemente accettata, legge nei due volti maschili i ritratti di un filosofo, o di un poeta, e del suo giovane discepolo, ipotesi basata su ritrovamenti in altre «domus» tardo imperiali coeve a quella ostiense, dove i cicli decorativi con filosofi barbuti e nimbo – espressione di saggezza – «divinamente ispirati» venivano raffigurati insieme ai loro giovani allievi, secondo una pratica filosofica neoplatonica molto diffusa nel IV secolo. La decorazione è stata letta come una grandissima composizione di temi della tradizione classica utilizzati dagli aristocratici per auto celebrarsi e celebrare la loro appartenenza sociale.

Basandosi su questa interpretazione, è stato ipotizzato, ma da tutti non accettato, che il crollo fosse stato causato dalla persecuzione anti pagana che sempre caratterizzò gli ultimi secoli dell’Impero.

In conclusione, non essendo state accertate le cause del crollo ogni interpretazione può essere fatta o smentita, sicuramente i secoli di passaggio dalla fede pagana alla fede cristiana non sono stati facili e interpretare tali decorazioni secondo l’una o l’altra fede può essere forviante e, secondo la mia personale opinione, porta a non apprezzare l’intrinseca bellezza di questo capolavoro che, solo anche per questa ragione, va ammirato comunque come alta espressione artistica.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(dicembre 2019)

Tag: Annalaura Uccella, tarsie marmoree, Museo Nazionale dell’Alto Medioevo di Roma, tarsia marmorea di Porta Marina a Ostia, opus sectile, Editto dei Prezzi, villa romana di Porta Marina.