Le istituzioni della Repubblica nell’antica Roma
S.P.Q.R. (509-27 avanti Cristo)

Nell’anno 509 avanti Cristo, dopo aver cacciato da Roma Tarquinio il Superbo, i Romani non vollero più correre il rischio di cadere preda di un governo dispotico. Per evitare che il capo dello Stato potesse diventare un tiranno, il popolo sostituì alla Monarchia una nuova forma di governo: essa fu chiamata Repubblica (dal latino «res publica», cioè «cosa di tutti»), a significare che spettava a tutti i cittadini concorrere all’amministrazione dello Stato.

La grande novità del Governo Repubblicano era che, invece di un solo capo, i Romani ne nominavano due che avevano gli stessi poteri e restavano in carica un solo anno: in questo modo, ciascuno di essi controllava l’opera dell’altro e poteva annullarne le decisioni. Si chiamavano consoli e dovevano la loro elezione a un’assemblea di cittadini; quei consoli che governavano con saggezza e onestà potevano essere rieletti per l’anno successivo. Nominalmente, avevano la stessa autorità del Re, erano cioè i capi supremi dello Stato: convocavano e presiedevano il Senato, facevano eseguire le leggi, comandavano l’esercito. Solo in caso di grave pericolo si ricorreva alla nomina di un dittatore, un magistrato straordinario che restava in carica per soli sei mesi, durante i quali erano sospesi tutti gli altri magistrati. Come segno di distinzione, i consoli portavano la toga bordata di rosso. Durante i pubblici spettacoli sedevano in posti riservati, mentre nelle assemblee utilizzavano una sedia pieghevole ornata d’avorio, detta «curule»: su tale sedia potevano sedersi soltanto gli alti magistrati e i condottieri che avessero ottenuto grandi vittorie e ucciso più di 5.000 nemici col loro esercito.

I consoli erano scortati da una guardia d’onore, composta da 12 littori. Questi portavano sulla spalla sinistra un fascio di verghe di betulla, legate insieme con una striscia di cuoio rosso; tra le verghe spuntava una scure. Il fascio dei littori indicava che i consoli avevano il potere di punire con frustate e addirittura con la decapitazione i cittadini che si fossero resi colpevoli di reati e i soldati traditori. Sembra che l’usanza del fascio di verghe con scure sia di origine etrusca: sarebbe stato il Re Tarquinio Prisco, che era Etrusco, a introdurla a Roma; un fascio di ferro fu rinvenuto nel 1898 dove un tempo sorgeva l’antica città etrusca di Vetulonia. Il fascismo, nella sua esaltazione – spesso solo di facciata – dell’antica Roma, riprenderà i fasci littori come simbolo di autorità.

Durante il periodo repubblicano i maggiori poteri non erano però riservati ai consoli, bensì ai senatori. Essi potevano intervenire in tutti i più importanti affari dello Stato: approvavano o respingevano le leggi proposte dall’assemblea popolare, deliberavano la pace e la guerra, ricevevano gli ambasciatori dei Paesi stranieri, firmavano i trattati di pace, controllavano le spese dello Stato, sorvegliavano che la religione fosse osservata con scrupolo dai cittadini. I senatori erano dunque i veri dirigenti dello Stato, e gli stessi consoli non potevano prendere nessuna importante decisione se non dopo avere avuto l’approvazione dai senatori. Nei primi anni della Repubblica, soltanto i patrizi, cioè i ricchi (i nobili), potevano essere eletti senatori; ma in seguito anche i plebei, ossia i poveri (la gente del popolo minuto), ottennero il diritto di raggiungere tale alta carica. Anche i senatori, come i consoli, erano eletti da un’assemblea di cittadini, ma loro rimanevano in carica per tutta la vita; di solito erano scelti tra quegli anziani cittadini che avevano già ricoperto alte cariche nello Stato, tra gli ex magistrati e tra coloro che erano stati indicati dai censori.

L’assemblea dei senatori formava il Senato (dal latino «senex», «vecchio»: quindi, «assemblea di anziani»). Il Senato teneva le sue sedute in un edificio chiamato Curia, che era situato nel Foro. Durante le sedute, le porte della Curia rimanevano aperte, ma il popolo non vi poteva entrare.

I consoli e gli alti magistrati potevano convocare i senatori ogni volta che fosse necessario sentire il loro parere. In questo caso, il magistrato che aveva convocato il senato stava nel mezzo della Curia, seduto sulla sedia curule; i senatori prendevano posto nei banchi, disposti a destra e a sinistra. Dopo aver esposto la questione da discutere, il magistrato invitava uno a uno i senatori a esprimere il proprio parere; poi si passava alla votazione: da una parte della grande sala andavano i senatori che avevano deciso di dare un voto favorevole, dall’altra quelli contrari. Se nessun magistrato si opponeva, la decisione dei senatori era considerata definitiva.

Al tempo della Repubblica, anche al popolo erano riservati dei poteri: per esprimere la sua volontà, esso si riuniva in assemblee, chiamate Comizi, che erano presiedute da un magistrato. Dei Comizi Curiati facevano parte tutti i patrizi; questa assemblea, importante durante il periodo monarchico, nel corso dell’Età Repubblicana perse il suo valore politico e finì con l’occuparsi solo dei riti e delle tradizioni delle varie «gentes» (cioè delle famiglie patrizie discendenti da un capostipite comune; nell’antica Roma vi erano circa 300 «gentes», ciascuna rappresentata in Senato). Dei Comizi Centuriati facevano invece parte tutti i cittadini, patrizi e plebei: questa assemblea eleggeva i consoli e gli altri magistrati, dichiarava le guerre e stabiliva le paci, approvava o respingeva le leggi proposte dai consoli; il popolo vi partecipava, e votava, suddiviso in centurie, ma perché le decisioni fossero valide era necessario che venissero approvate anche dal Senato. I Comizi si tenevano nel Foro, davanti alla Curia.

Dei magistrati facevano parte anche: i pontefici, che provvedevano al culto degli dèi; i questori, che custodivano il denaro dello Stato, riscuotevano i tributi, pagavano le truppe e gli impiegati; gli edili, che vigilavano sugli approvvigionamenti della città, sui mercati, sull’edilizia e sui giochi pubblici; i censori, che controllavano la moralità e i costumi, e potevano escludere dalle cariche un cittadino a cui riprovassero cattiva condotta; i pretori, che provvedevano a giudicare le controversie nei tribunali; e (dal 494 avanti Cristo) due tribuni della plebe, scelti fra i plebei, che avevano il compito di difendere gli interessi della plebe e avevano l’autorità di annullare qualsiasi ordine degli altri magistrati, se ritenevano che un tale ordine danneggiasse la plebe, dicendo: «Veto», cioè: «Lo vieto».

Da quanto esposto, appare chiaro che le massime autorità dello Stato Romano erano il Senato e il Popolo: e infatti il simbolo dell’antica Roma era il «motto» «S. P. Q. R.», acrostico di: «Senatus PopolusQue Romanus», ovvero: «il Senato E il Popolo Romano», a significare che lo Stato era formato e retto da entrambi.

A Roma, tra le principali testimonianze dell’Età Repubblicana, si possono ancora ammirare la Curia, nel Foro Romano; una statua raffigurante un console, nel Palazzo Massimo; una statua raffigurante un senatore, nel Museo delle Terme; e, sull’«Ara Pacis», una processione di sacerdoti e senatori.

(giugno 2019)

Tag: Simone Valtorta, Repubblica Romana, S.P.Q.R., res publica, consoli, fasci littori, sedia curule, patrizi, plebei, Senato, consoli, Curia, Comizi Centuriati, tribuni della plebe, Governo nell’antica Roma, Età Repubblicana, Comizi Curiati, Senatus PopolusQue Romanus, Foro Romano, Palazzo Massimo, Museo delle Terme, Ara Pacis.