L’Impero e i barbari
Un Impero sempre più impegnato nelle questioni militari e nella difesa delle sue province più lontane

Caracalla cominciò coll’assassinare il fratello Geta. Egli non era un tiranno dei soliti; era un demonio sterminatore che attraversò l’Impero uccidendo. Correva di provincia in provincia a strappar denaro per i suoi soldati. Egli si gloriava di essere l’Imperatore più crudele fin allora esistito e a se stesso considerò riferito l’oracolo che aveva predetto la venuta della bestia feroce dell’Ausonia. Quando giunse ad Alessandria, il popolo prese a ridere di questo terribile Imperatore ed egli si vendicò con un orribile massacro, al quale assistette personalmente.

Caracalla

Busto di Caracalla, 212 dopo Cristo, Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Italia)

E tuttavia sotto un mostro di tal fatta fiorì il più grande giureconsulto dell’Impero: Papiniano, che proveniva dalla Fenicia, ma era completamente imbevuto del genio romano.

Caracalla si rivolse a lui per giustificare l’assassinio di suo fratello Geta, come Nerone era ricorso a Seneca per giustificare il suo matricidio. Papiniano rispose: «È più facile commettere un delitto che giustificarlo». Questa generosa risposta gli costò la vita.

Caracalla compì una riforma orribilmente vessatoria e alla quale, tuttavia, l’Impero Romano tendeva fin dal suo inizio: egli accordò il diritto di cittadinanza a tutto l’Impero. Non per liberalità di spirito, ma perché il nome di cittadino obbligava a pagare le imposte. Però non mancavano grandi vantaggi. Il diritto alla cittadinanza dato all’Impero sottoponeva tutte le province alla giurisprudenza romana, che diveniva una e universale, e così il regno di un mostro fu un’epoca importante nella storia dell’umanità.

Roma è un’iniziazione per il mondo, bisogna che tutte le Nazioni prendano posto, non soltanto nell’Impero, ma nella città. Il limite estremo sembra raggiunto quando Caracalla accorda a tutti gli abitanti delle province il titolo di cittadini, ma non basta ancora. Il mondo barbarico protesta. L’Impero Romano non è né universale né eterno. L’invasione dei barbari non è niente altro che questa protesta; quando essi penetrarono nell’Impero, dichiararono che venivano a cercare nel Sud una città, patria antica dei loro antenati, degli Asi figli di Odino, sacerdoti e guerrieri. Asia, loro patria, era stata abbandonata dai popoli gotici che ritornavano a cercarla nell’Impero Romano.

Noi troviamo qui, sotto vesti poetiche, l’indicazione concreta di ciò che significa l’invasione dei barbari. Essi venivano a cercare la città, essa era incompleta, perché era necessario che racchiudesse il mondo e occorreva un secondo grado di iniziazione. Ma la città materiale era troppo piccola e solo la città spirituale poteva operare questo risultato, di contenere il mondo e di estendersi a tutti i popoli che venivano a cercarla senza conoscerla.

Non dimentichiamo che Roma era una iniziazione e nel I secolo dell’Impero essa fu governata da Italiani, i Cesari; nel II da uomini di origine iberica o gallica; nel III da uomini di tutte le Nazioni, di tutte le razze, da Siriani, da Goti; nel IV, i barbari, verranno a prendere possesso dell’Impero, come popolo e non più per mezzo di Imperatori che li rappresentino: Imperatori saranno i popoli accampati sul suolo dell’Impero.

Nel V secolo l’Impero diventerà barbaro, vale a dire il mondo romano e il mondo barbaro saranno congiunti, dando inizio a quell’unione feconda di cui noi siamo figli.

C’era in Siria un giovinetto, ritenuto figlio di Caracalla e che, malgrado la sua giovane età, occupava una delle più importanti dignità, poiché era sacerdote di Baal. Poiché, come presso tutti gli stranieri, il sacerdote portava il nome del suo dio, lo si chiamava Eliogabalo. Le legioni ricondussero a Roma questo giovane che era diretto dalla madre.

Orazio, secoli prima, aveva detto: «Grecia capta ferum victorem cepit». Un secolo dopo, Giovenale diceva: «In Tiberim defluxit Orontes» e al III la predizione si realizzava. Ecco un Imperatore siriano, che conserva l’abito siriano, i costumi e le usanze siriane, che porta a Roma la religione siriana. È il trionfo delle divinità orientali. Il dio del naturalismo orientale entra a Roma sotto la forma di una pietra nera caduta dal cielo: il dio fisico dell’Oriente penetra nella città, prima che il Dio morale ne prenda possesso col Cristianesimo.

Tutti i senatori, i giureconsulti che parlano ancora dell’antica repubblica, sono costretti a seguire il carro del dio vincitore. È una invasione di barbari, assai più grave di quella di Alarico. Un giovane di diciotto anni, dalla figura leggiadra, coronato di fiori, inondato di profumi, allevato nell’eccesso della effeminatezza orientale, corrotto come lo si era in Siria: ecco il nuovo padrone di Roma e delle legioni. Egli dovette ispirare un particolare disgusto al fiero e grave popolo dei Romani, e basta osservare come gli storici ne hanno parlato. Ma con gli eccessi di Eliogabalo si è posto sotto accusa anche ciò che era conseguenza naturale della sua religione.

«Le infamie di Eliogabalo potrebbero ben avere un intento simbolico ed essere semplicemente una forma di culto, una pantomima religiosa, come gli “acta legitima” erano una pantomima giuridica. Le sue metamorfosi da uomo in donna, eccetera, sembrano ricollegarsi al carattere ermafrodito degli dèi dell’Oriente… Egli pare religiosissimo… si rovescia a terra entrando a Roma per non perdere di vista il suo Dio» (nota di Michelet).

Egli importava a Roma costumi nuovi, abitudini nuove, e non tardò a cogliere onore tra i suoi sudditi romani ancora stranieri all’Oriente. Presto o tardi bisognava tuttavia che Roma ricevesse le idee dell’Oriente che, con le sue profonde religioni, era il vero precettore di Roma; tra i sacerdoti di Baal che seguivano il gran sacerdote, sua madre e sua nonna Giulia Moesa, vi erano mille cose, mille idee che i Romani ignoravano e che possono considerarsi come una preparazione al Cristianesimo. La religione fenicia trionfa con Eliogabalo, come il Cristianesimo con Costantino ad un secolo di distanza. Queste religioni avevano in comune l’idea di un Dio morto e resuscitato, ma il dio di Eliogabalo era solo un simbolo della natura che rinasceva, non era quella resurrezione morale dell’anima attraverso il pentimento apportata dal Cristianesimo. Tuttavia, poiché il simbolo precede in ogni cosa il senso spirituale, la religione siriana doveva precedere in Roma il Cristianesimo e preparargli la strada.

Eliogabalo fu guidato dalla madre e dall’ava che si circondarono degli uomini più saggi dell’Impero, di giureconsulti che costituirono la gloria del nome romano, benché non tutti fossero nati romani (Ulpiano era Fenicio). Il governo di Eliogabalo non fu così irragionevole come alcuni storici lo hanno descritto; non possediamo che la storia scandalosa del Palazzo; ci manca la storia di quell’Impero. Che ci importa dell’interno del Palazzo? Sapere come Ulpiano abbia diretto l’amministrazione di quella vasta macchina sarebbe per noi più interessante che conoscere le sciocchezze di un folle che non contava nulla nel governo.

Successore di Eliogabalo fu suo cugino Alessandro Severo, ben superiore dal punto di vista morale. Era un uomo mite e docile che fu sempre guidato dalla madre, ispirata a sua volta dagli uomini più saggi. Fu, in un certo senso, il regno di Ulpiano che allora era prefetto del Pretorio. Questo governo di donne e di uomini di legge non parve avere caratteri di conquista.

Che sarebbe divenuto l’Impero se uomini saggi ma pacifici come Ulpiano avessero regnato, se la molle saggezza della Siria avesse continuato a reggere Roma? L’indolenza bizantina avrebbe avuto inizio alcuni secoli prima. L’Impero aveva bisogno, di fronte ai barbari, di una mano più ferma e quando le legioni rifiutarono di ubbidire ad Ulpiano e lo uccisero ai piedi del loro Imperatore, esse seguivano un istinto cieco ma conforme agli interessi del mondo romano. Per resistere ai barbari ci voleva sul trono un barbaro. Dopo Alessandro Severo, l’Impero ebbe il Goto Massimino.

Massimino perseguitò i Cristiani, non perché questo ciclope si intendesse di teologia, ma i Cristiani per lui rappresentavano l’Oriente, quell’Oriente proscritto in Alessandro Severo.

Quest’ultimo aveva raccolto in una cappella i fondatori delle principali religioni, Orfeo, Abramo, Gesù Cristo, accettando in tal modo tutte le religioni. Si comprende quanto questa dottrina, pur così bella ed elevata, togliesse all’Impero in forza ed in personalità; non si è più se stessi quando si assumono caratteri di universalità. Che resta a colui che vuol diventare Universo? L’Impero accettando tutto, non sarebbe più stato l’Impero Romano, e per resistere ai barbari, era necessario che esso continuasse ad essere l’Impero Romano. Era la condizione essenziale della propria esistenza, ma l’indirizzo di Alessandro Severo lo dissolveva; all’opposto, il governo militare ne rinserrava i vincoli e lo rendeva atto a vivere e a resistere.

Perciò Massimino perseguitò il Cristianesimo.

L’Oriente ebbe anch’esso il suo Impero, con l’Imperatore Odenato.

Questi era un Emiro accampatosi sulla pianura di Palmira, che i mercanti avevano posto alla testa dei soldati. Fu il primo a mostrare ciò che potevano fare gli Arabi e conquistò la Siria, e Zenobia, sua sposa, conquistò l’Egitto. Vediamo qui l’inizio di quei progressi che gli Arabi dovevano compiere nel Medio Evo, sotto l’impulso di Maometto.

Vobisco ha scritto: «Odenathus vir acer in bello qui totum orbem terrarum reformasset». È una specie di predizione ma mancò la forza motrice della religione che sospinse più tardi gli Arabi. Come tutti i popoli mercantili, come Genova, come Venezia, i Palmireni avevano edificato in uno spazio ristretto immense costruzioni, attestate da splendide rovine. Alessandria sul mare e Palmira sul retroterra erano i magazzini generali del commercio del mondo.

Procediamo attraverso rovine che si formano da ogni parte: l’Impero minaccia di crollare per mano dei Goti, che si precipitano contro di esso, deve potenziare le sue risorse, spiegare le sue forze, se gliene restano ancora. Se gli Antonini, venuti dall’Occidente, non hanno fatto gran che per l’Impero, se gli Imperatori Siriani, lungi dall’essergli utili, non hanno fatto che indebolirlo, se in una parola l’Oriente e l’Occidente non possono salvarlo, volgiamoci al centro e vediamo se vi è qualcuno capace di farlo durare. Ecco che dall’Illiria, che ha sempre dato i migliori soldati o i più terribili nemici di Roma ed ancor oggi dell’Impero Turco, vediamo uscire due Imperatori che restaureranno l’Impero e prolungheranno la sua durata; due contadini innalzati dal loro valore: Aureliano e Probo.

Impero Romano III secolo

Aureliano colpì ai due lati dell’Impero i due Imperi rivali che si andavano formando, egli sottomise Tetrico in Gallia e Zenobia nell’Oriente, ma Zenobia commise un errore che provocò la propria perdita. Palmira racchiudeva due elementi: l’elemento barbaro e l’elemento greco. Odenato era rimasto Arabo e barbaro, egli andava a caccia di leoni con i soldati del deserto, mentre Zenobia, finché regnò il marito, lo imitò; beveva coi capitani dell’esercito e arringava i soldati con l’elmo in testa e le braccia nude, ma alla morte di Odenato mutò costumi. Zenobia chiamò a Palmira i Greci, i cui monumenti sussistono ancora, ma quando Aureliano mosse all’attacco di Palmira, le tribù non difesero la città divenuta greca; anzi offrirono i loro servigi ad Aureliano e la Grecia illegittima che si andava formando in Palmira, perì. Invano i ricchi mercanti, sotto le loro pesanti armature, ingaggiarono duri combattimenti con i Romani, ed erano armati all’incirca come i nostri cavalieri del Medio Evo, essi erano soffocati sotto la loro corazza e abbattuti dopo una o due cariche. Del resto è noto che i ricchi mercanti hanno sempre tenuto alla vita e che essi considerano questa troppo preziosa per essere ciecamente esposta. Zenobia, vinta, tradì il proprio ministro Longino e lo dichiarò autore della lettera audace con la quale ella aveva risposto alle intimazioni di Aureliano. Longino venne crocifisso e Zenobia fu condotta a Roma per invecchiare in pace sul monte Palatino, accanto all’Imperatore delle Gallie Tetrico.

(giugno 2006)

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