La dinastia degli Antonini
Verso l’apogeo dello Stato Romano

Nerva non era che un vecchio, assai debole, assai incapace, che nutriva solo buone intenzioni. Egli diede al mondo Traiano.

Traiano era Spagnolo, o per meglio dire un Iberico. L’Impero sfuggiva alle mani degli Italiani e Roma, molto tempo prima di essere conquistata dai barbari, vedeva il trono imperiale conquistato da essi.

Gli inizi di Traiano sono quelli di un barbaro, egli dà la sua spada al prefetto del pretorio ed esclama con una fiducia eroica che non è certo italiana: «Servitevene per me se lo merito; se no, contro di me». Poiché si sentiva forte (aveva le legioni in pugno ed era il più grande generale dell’Impero) egli lasciò tutto il potere al Senato. I senatori ne provarono una gioia puerile.

Traiano cominciò col denunciare il trattato di Domiziano con i Daci e gettò un ponte di marmo sul Danubio; quel ponte annunciava che l’Impero, lungi dal temere i barbari, voleva invadere le terre dei barbari stessi. Traiano vinse i Daci e condusse a Roma il loro Re Decebalo. Quindi progettò di completare l’opera dell’Impero Romano, aggiungendo l’Impero di Alessandro a quello di Roma. Egli attraversò il Tigri e l’Eufrate, ed ogni giorno Roma apprendeva le vittorie di Traiano dai numerosi prigionieri che egli le inviava. Una volta diecimila schiavi furono uccisi nello spazio di cento giorni nei combattimenti dei gladiatori. Non c’è da meravigliarsi che sia stato chiamato il «buon» Traiano. Del resto egli era simile per molti lati ai barbari che combatteva: collerico, dedito alle donne e al vino e, tuttavia, con i suoi difetti, non privo di grandezza e di semplicità.

Impero Romano

A Plinio che gli chiedeva come regolarsi nei confronti dei Cristiani, rispose: «Esegui le leggi dell’Impero; non cercare i Cristiani, ma se li trovi, giudicali secondo le leggi». Queste parole rientrano nel carattere dei Romani. Esistevano in effetti leggi contro le associazioni segrete ed i Romani, nell’ignoranza della cosa, consideravano le assemblee cristiane come associazioni segrete. Come i Normanni del Medio Evo, prima di essere soldati e conquistatori, i Romani erano essenzialmente legislatori.

Traiano morì come Alessandro nel mezzo delle sue conquiste, lasciando l’Impero al nipote Adriano, grande amministratore almeno quanto Traiano era grande capitano.

Adriano era uno spirito reso acuto dall’educazione sofistica del tempo, imbevuto egli stesso di idee e superstizioni di ogni specie, greche, alessandrine, eccetera; egli rappresentava l’universalità dell’Impero Romano. Si ammira nella campagna romana la villa Adriana dove si trovano riunite copie di tutte le sculture e architetture del mondo. Vi erano concentrate tutte le religioni, tutte le arti, tutte le letterature. Adriano era amico, rivale talvolta, dei sofisti. Giureconsulto e non meno abile legislatore, riunì in un codice le leggi disperse dell’Impero e realizzò il proposito che era stato di Cesare. Lo si accusa di crudeltà ed in effetti egli colpì numerosi membri del Senato per cause assai lievi. Lo si accusa anche di infami costumi, ma erano i costumi dell’Impero, anche se in un principe vengono più notati.

Marco Aurelio, ancor più mite di Adriano, era anch’egli guidato dall’influenza dei sofisti. Era stato allevato da essi e il suo regno, se non fosse stato continuamente sconvolto dalle guerre, sarebbe stato quello dei giuristi e dei filosofi. Egli fondò ad Atene alcune cattedre di filosofia con una prodigalità eccessiva, perché poi si vide costretto a vendere i mobili del palazzo imperiale per sostenere la guerra. Si parla del benessere dell’Impero sotto questo principe, ma ciò va tradotto così: il Senato non aveva più nulla da temere, ma aggiungiamo che il magnifico quadro che di questa epoca ha delineato lo storico Gibbon non ha nulla di esatto.

Marco Aurelio

Copia della statua equestre di Marco Aurelio al Campidoglio, Roma (Italia) - Simone Valtorta, 2005

Gli Antonini furono buoni principi, ma l’Impero si struggeva per debolezza; esso era corroso dalla schiavitù, la popolazione diminuiva costantemente, le province si facevano deserte.

Durante il regno di Marco Aurelio, l’Impero soffrì per due invasioni di barbari, e mentre li respingeva per la seconda volta, l’Imperatore morì a Sirmium. Nel suo bagaglio fu rinvenuto il suo libro A se stesso (Eis auton): è, dopo il Vangelo, il più bel libro di morale che esista al mondo. Si trovano in questo libro affermazioni di mirabile elevatezza. Vi si dice che bisogna amare il proprio nemico; vi si trovano pagine in cui l’esaltazione è portata al più alto grado e fin quasi al lirismo. Sebbene questo principe non nutrisse in seno quel grande spirito che si può essere portati ad attribuirgli, la sua filosofia e la sua anima erano grandi. L’animo, inoltre, era mite; egli tentò, invano, di sopprimere i combattimenti dei gladiatori; le rivolte che questo tentativo avrebbe suscitato sarebbero costate più sangue degli stessi combattimenti tra gladiatori. Tutto ciò che Marco Aurelio poté ottenere fu di far mettere dei materassi sotto le funi degli acrobati. Questo fatto, così trascurabile a prima vista, è tuttavia sintomatico.

L’anima umana cominciava ad ingentilirsi, la carità appariva nel mondo.

Commodo non tardò ad essere assassinato. Era stato un pessimo Imperatore; aveva chiuso gli occhi di fronte ad un’infinità di abusi. In quel tempo associazioni misteriose, cristiane o gnostiche cominciavano a diffondersi nell’Impero. Era un dissolvente morale che a poco a poco allentava l’unità della città romana e minacciava di annullarla. La città invisibile edificava sulla città visibile, come l’edera si attacca ad un vecchio muro che fa crollare crescendo. I torbidi che sommovevano l’Impero impedivano di scorgere questi elementi di dissoluzione.

(giugno 2006)

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