L’epopea di Furio Camillo
Dalla guerra contro Veio all’attacco dei Galli: un periodo difficile, a tratti drammatico della prima Repubblica Romana

Gli anni che intercorrono tra il 406 e il 390 avanti Cristo sono cruciali per la storia di Roma: essi segnano infatti il primo netto affermarsi della potenza militare romana in Italia e il repentino, drammatico crollo di questa, tanto che Roma arriva a un soffio dallo scomparire per sempre. Questi due eventi, l’uno lieto (per i Romani), l’altro terribile, hanno visto quale protagonista un uomo su tutti: Marco Furio Camillo!

Veio è una città etrusca posta a soli 20 chilometri a Nord di Roma, divenuta sempre più grande e potente col passar del tempo. La sua rivalità con la città dei sette colli si fa risalire addirittura a Romolo. Nel 406 avanti Cristo i Romani decidono che la potente rivale – che ambisce al controllo del Tevere – deve essere distrutta, e si accingono all’impresa con quella metodicità che è sempre stato uno dei loro tratti caratteristici.

Dopo nove anni di assedio, Veio resiste ancora ai violenti assalti dell’esercito romano: è posta sull’alto di una rupe, protetta da mura poderose e ha ricevuto contingenti militari da tutte le altre città etrusche. Sfiduciati per i continui insuccessi, i soldati romani sono quasi sul punto di abbandonare la lotta. Il Senato decide allora di affidare il comando dell’esercito a un uomo energico, Marco Furio Camillo: egli si è già distinto per coraggio nella guerra contro gli Equi, quando, incurante di una ferita alla gamba, si è lanciato dove più accanita infuriava la battaglia.

Giunto sul posto, Camillo mostra subito di unire al coraggio delle doti di ottimo stratega: comprende che Veio non può essere presa d’assalto e concepisce un piano arditissimo, cioè scavare una galleria sotterranea che, partendo dai piedi della rupe su cui si erge Veio, vada a sboccare all’interno delle mura della città.

«La riuscita dell’impresa dipende soltanto dalla vostra abilità» avverte i soldati. «Se i nemici si accorgono di ciò che stiamo facendo, tutti i nostri sforzi saranno inutili!».

I Romani conducono il rischioso lavoro con tale prudenza, che i cittadini di Veio non sospettano nulla.

«Prendete d’assalto le mura!» ordina a un certo momento Camillo. Mentre gli Etruschi accorrono sugli spalti per difenderli dall’attacco nemico, i soldati romani incaricati di scavare la galleria possono portare a termine il loro lavoro e penetrare indisturbati all’interno della città. Quando gli Etruschi si accorgono del tranello nel quale sono caduti, è ormai troppo tardi: i primi edifici sono già preda delle fiamme. Camillo ha vinto, la rivale di Roma è distrutta per sempre!

La vittoria su Veio frutta ai Romani un immenso bottino e numerosi campi, e a Furio Camillo, quale capo supremo dell’esercito, tocca il compito di assegnarne una parte a ciascun cittadino. Ma alcuni, invidiosi della gloria raggiunta da Camillo con questa nuova vittoria, lo accusano di aver spartito il bottino in modo disonesto. Sdegnato per questa calunnia, Camillo prende la via dell’esilio rifugiandosi ad Ardea, città dei Volsci, non molto lontana da Roma.

Altri eventi stanno nel frattempo maturando, più a Nord. Alcune tribù, dalle loro terre in Francia, già nel 450 hanno varcato le Alpi invadendo la Pianura Padana. Gli antichi storici li hanno chiamati Keltae o Celtae, Galati o Galli indifferentemente. In origine hanno costituito una branca delle popolazioni indo-europee, senza reali rapporti di parentela fra loro, stanziata nella Germania Occidentale, nella Gallia (l’attuale Francia), nella Spagna Centrale, nel Belgio, nel Galles, nella Scozia, nell’Irlanda, in parte della Turchia. Polibio li dipinge alti e robusti, amanti della guerra, abituati a combattere nudi, coperti solo di amuleti e catene d’oro; il vino italiano, oltre al desiderio di trovare nuovi campi e nuovi pascoli, li spinge verso il Sud. I Liguri non riescono a fermare la loro avanzata e gli Etruschi, che hanno mandato numerose forze in soccorso di Veio contro i Romani, abbozzano una resistenza quasi nulla. I Galli, dopo aver saccheggiato le più fiorenti città dell’Italia Settentrionale, si stabiliscono nella regione oggi chiamata Romagna. Da lì, volgono gli sguardi minacciosi verso Roma.

Nel 390 avanti Cristo, 30.000 Galli si mettono in marcia verso il Sud. Sono passati appena sei anni dalla presa di Veio, che la Repubblica Romana è di nuovo in guerra. Il pericolo è talmente improvviso, che non si riesce neppure a organizzare l’esercito, né a trovare un condottiero che abbia il carisma e l’esperienza di Camillo, tutt’ora in esilio.

A 20 chilometri da Roma, sul fiumicello Allia, i soldati romani si preparano ad affrontare i Galli. Ma dinanzi a quei guerrieri feroci, dalla statura gigantesca, che avanzano a grandi salti mandando grida selvagge, i Romani sono presi dallo spavento e si danno a una fuga precipitosa.

L’arrivo del nemico a Roma è inaspettato. Chi può si dà alla fuga; i senatori rimangono invece seduti in modo composto sui propri scranni, immobili, come statue. Un Gallo tira la barba del senatore Marco Papirio, per vedere se è vivo e l’altero vegliardo lo colpisce con lo scettro eburneo; il soldato gallo reagisce, uccidendolo e dando così il via al massacro degli anziani.

Vasti quartieri della città sono incendiati e saccheggiati. Viene dato alle fiamme anche l’archivio che contiene i più antichi documenti della città: un danno incalcolabile per la ricostruzione storica del passato di Roma, per rendersi conto del suo sorgere e capire le ragioni della sua potenza.

Brenno e la sua parte di bottino

Paul Joseph Jamin, Le Brenn et sa part de butin, 1893, Collezione privata

Un manipolo di uomini atti alle armi rimane in Roma, asserragliato nella rocca del Campidoglio. Qui si situa il famoso episodio delle «oche del Campidoglio», animali sacri a Giunone: una notte i Galli tentano di scalare le mura della rocca; sono talmente silenziosi, che neppure i cani li hanno uditi. Ma le oche si mettono a starnazzare rumorosamente, svegliando la sentinella che fa precipitare il primo degli assalitori e desistere gli altri dal tentativo. Purtroppo, dopo sette mesi di assedio, i difensori devono arrendersi per la mancanza di viveri.

«Dovete consegnarmi mille libbre d’oro!» ordina Brenno, il capo dei Galli.

Ai Romani non resta altro da fare che piegarsi alla volontà del vincitore. Sistemate nel Foro le bilance, si comincia a pesare il prezioso metallo; a un certo punto i Romani si accorgono che le bilance sono alterate e che i nemici rubano sul peso. Protestano. Al che Brenno, gettata la propria spada sulla bilancia, grida minaccioso: «Vae victis!» («Guai ai vinti!»).

«Non con l’oro, ma col ferro si riscatta la patria!» prorompe una voce: è quella di Furio Camillo, accorso in aiuto della sua città con un drappello di cavalieri. Rovescia le bilance, ingaggia battaglia e costringe i Galli alla ritirata. L’amore per la patria gli ha fatto dimenticare le ingiurie subite: formato un esercito con alcuni degli uomini fuggiti dall’Urbe, è tornato a salvare la sua città.

Brenno e Furio Camillo

Brenno e Camillo, in Histoire de France en cent tableaux, di Paul Lehugeur, Paris, 1886

Il richiamo di Camillo a Roma, in sede storiografica, è verosimile, ma è possibile che le sue successive vittorie contro Galli, Etruschi, Volsci ed Equi, negli anni 390-389 avanti Cristo, siano finzioni patriottiche (sono invece probabili alcune sue gesta tra cui le vittorie contro i Volsci, la riconquista di Sutrium e Nepete e l’alleanza con Tuscolo, tutti eventi collocabili tra il 386 e il 381 avanti Cristo). È pure accettato che sia Camillo a dissuadere i Romani superstiti, di fronte alla devastazione della loro città, di spostare in Veio la capitale: lo Stato trova i mezzi per ricostruire le case, e questa rapida ricostruzione con tanti nemici a insidiarla è in parte la causa per cui Roma ha una planimetria disordinata e tante strade strette e sinuose. Vedendola stremata, Latini, Equi, Ernici e Volsci le muovono guerra, a turno o tutti insieme. Nel 340 avanti Cristo, le città della Lega Latina subiscono una sconfitta decisiva; due anni dopo, Roma scioglie la Lega e si annette l’intero Lazio.

I Galli se ne sono andati da Roma, dunque, inseguiti dalle legioni, ma carichi di bottino, ignorando quale terribile vendetta la città avrebbe scatenato sui loro discendenti. Tornano nel 367, nel 358 e nel 350 avanti Cristo, ma sono continuamente respinti. I guerrieri di Brenno sono gli ultimi nemici esterni a calcare il suolo dell’Urbe fino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, esattamente 800 anni più tardi!

Trionfo di Furio Camillo

Francesco de' Rossi (Francesco Salviati), Trionfo di Furio Camillo, 1545, Sala dell'Udienza, Palazzo Vecchio, Firenze (Italia)
(agosto 2019)

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