Le «domus» dell’antica Capua
Alla scoperta di tesori nascosti

La città di Santa Maria Capua Vetere, l’antica Capua, non smette mai di sorprendere e di rilevare negli angoli più impensati la sua lunga storia. Famosa per aver ospitato Spartaco e la sua rivolta, l’antica Capua fa parlare di sé anche per l’immenso patrimonio sotterraneo che piano piano riaffiora e, grazie alle giornate FAI, sono riuscita a visitare due antiche «domus» solitamente chiuse al pubblico.

Per capire l’importanza storica dell’antica Capua, oggi Santa Maria Capua Vetere, basti pensare che una delle strade più importanti dell’Impero, la Via Appia – detta anche «Regina viarium» perché collegava Roma a Brindisi, realizzata dal 312 avanti Cristo al 190 avanti Cristo –, tagliava in due la città e collegava a doppio filo l’antica Capua con la vita politica, economica e sociale dell’Urbe assorbendone la ricchezza, gli usi e i costumi. Fu qui che venne costruito il primo anfiteatro di pietra, qui nacque una delle scuole gladiatorie più prestigiose e famose della storia dell’Impero, ma l’antica Capua non era solo gladiatura, era soprattutto una fiorente città commerciale dove la ricchezza veniva ampiamente sfoggiata, come testimoniano le due lussuose «domus» eccezionalmente aperte al pubblico.

L’antica Capua ospitò anche uno dei più enigmatici e affascinati culti, quello dedicato al dio Mitra, ma la sua storia non fu solo pagana, anzi, il suo stretto legame con Roma continuò soprattutto dopo la diffusione del nuovo culto cristiano: fu proprio a Santa Maria Capua Vetere che venne fondata la prima sede vescovile dopo quella istituita a Roma, ma questa è un’altra storia.

Sicuramente la storia della «Capua Vetus» affascina ancora molto grazie allo schiavo Spartaco che ha reso immortale la sua arena, però le aperture FAI permettono di scoprire altri aspetti del suo illustre passato abilmente celato negli angoli più impensati.


La «domus» di Confuleio

La «domus» di Confuleio è un perfetto esempio di storia nascosta, da ricercare negli angoli più inusuali; nel 1955 durante la costruzione delle fondamenta di un fabbricato ubicato lungo Corso Aldo Moro, degli operai si sono ritrovati in due ampie stanze ipogee perfettamente conservate, hanno così scoperto casualmente una piccola ma interessante porzione di una «domus» molto più grande appartenuta a un certo Confuleio.

Ancora oggi è possibile accedere alle due stanze ipogee tramite l’antica scala a doppia rampa coperta da una volte a botte, è decisamente ripida quindi vi consiglio di munirvi di torcia dal cellulare.

Ciò che colpisce, a parte l’umidità, è il perfetto stato di conservazione dei mosaici pavimentali in cocciopesto ricoperto da tasselli bianchi e neri disposti in modo da avere diverse decorazioni geometriche.

Sul pavimento del secondo ambiente è visibile un’iscrizione, grazie alla quale è possibile conoscere il proprietario della «domus», un certo liberto, quindi uno schiavo affrancato, di nome P. Confuleio Sabbio, venditore e probabilmente fabbricante del «sagum».

Decorazione pavimentale

Decorazione pavimentale seconda stanza, nell'iscrizione viene menzionato l'architetto; fotografia di Annalaura Uccella, 2018

Sicuramente Confuleio era riuscito a inserirsi decisamente bene nel tessuto economico della città grazie alla tintura, come testimoniano una vasca rettangolare e un pozzo, e al commercio del «sagum», tipico mantello militare quadrato di origine gallica realizzato in lana pesante usato non solo dai militari romani, il cui colore variava a seconda del grado di chi lo indossava, ma anche dai più poveri come grossolano vestito.

Il suo agiato «status» economico è ben evidenziato dall’iscrizione presente nel secondo ambiente che ci informa che Confuleio aveva commissionato a un architetto, anch’egli menzionato nell’iscrizione, cosa rara, la costruzione della sua casa su più piani.

Che Confuleio fosse un ricco liberto non deve sorprendere perché, primo, nell’antica Capua era presente un distaccamento dell’esercito romano quindi tanti clienti che acquistavano il «sagum», secondo, la Via Appia permetteva di comunicare facilmente con il Sannio, l’Irpinia e l’Apulia da dove proveniva parte della lana utilizzata per produrlo, terzo, e non meno importante, grazie ai due punti precedenti Confuleio, così come altri ricchi liberti, poteva ricoprire l’incarico di magistrato per amministrare la città in mancanza di una classe dirigente municipale di diritto.

L’importanza della «domus» di Confuleio per la storia di Santa Maria Capua Vetere sta, quindi, nel testimoniare il tessuto sociale della Capua antica tra l’età sillana e quella cesariana dove anche i ceti subalterni, grazie alla produzione e al commercio dei beni necessari e a una inaspettata mobilità sociale, potevano arrivare a gestire il potere economico e politico della città come prova la costruzione della sua «domus» situata a poca distanza dal foro, lungo la Via Appia e a poca distanza dall’Anfiteatro, praticamente in un punto centralissimo della città.


Il prezioso pavimento mosaicato nella «domus» di Confuleio

Come accennato poc’anzi, la «domus» del «sagarius» P. Confuleius Sabbio è stata costruita sul finire del I secolo avanti Cristo e le due stanze messe in luce rispecchiano il gusto del tempo.

Ricoperte da volte a botte presentano dei lucernari circolari, le pareti, fortemente danneggiate dall’umidità, sono state realizzate in «opus incertum» e ricoperte da un affresco in primo stile pompeiano – parete ripartita in modo geometrico – appena visibile tra le scure chiazze umide, purtroppo. Ma tra pareti fortemente danneggiate dall’umidità e dal cemento armato spiccano pavimenti mosaicati ben conservati e di rara bellezza pur nella loro lineare quanto sobria decorazione.

Particolari decorativi della prima stanza

Particolari decorativi nella prima stanza; fotografia di Annalaura Uccella, 2018

Il pavimento è in cocciopesto con una colorazione rossa, presenta decorazioni differenti, la prima stanza è divisa in tre settori decorativi, il secondo ambiente è diviso in quattro settori decorativi e vi sono alcuni tra i mosaici meglio conservati dell’antichità.


La «domus» di Via degli Orti

La storia dell’antica Capua, oggi Santa Maria Capua Vetere, continua ancora a emergere nei posti più impensati, la «domus» di Via degli Orti ne è un esempio. Aperta in occasione delle giornate FAI, insieme alla «domus» di Confuleio, testimonia quanto l’antica Capua fosse un’importante città durante l’Impero Romano e se avrete il piacere di leggermi, ve lo mostrerò.

Sulla grandezza dell’antica Capua vi ho già parlato, quindi inizio subito il «tour» virtuale di questa lussuosa «domus»; appartenuta a un ricco ma ignoto Capuano, quasi sicuramente un senatore per la ricchezza della struttura, la «domus» è, allo stato attuale, visitabile solo in piccola parte rispetto a quanto gli archeologi ipotizzano essere grande, il resto dell’edificio sta sotto le fondamenta dei palazzi antistanti.

In passato sorgeva vicino alla Via Appia, quindi su una delle principali strade dell’antichità.

Alla «domus» si entra da Via degli Orti ossia da dove in origine si trovava il giardino che aveva un ruolo molto importante nelle case romane, rallegrava gli ospiti. Questo della «domus» degli Orti, in particolare, accoglieva gli invitati dal «dominus» dopo aver trascorso del tempo nelle terme e goduto dei suoi benefici, ebbene sì, questa villa aveva delle terme private, come si vedono anche nelle «domus» di Pompei.

La parte centrale del giardino è occupata dalla struttura di un canale centrale – «euripus» – lungo poco più di 13 metri, rivestito da marmo e da cocciopesto, richiamava idealmente il percorso del Nilo, ospitava pesci esotici ed era circondato da statue ispirate all’arte egizia.

Questa «domus» rispecchiava a pieno l’idea dell’«otium» romano dove il giardino ricopriva un duplice ruolo: mostrava lo «status» del proprietario il quale per evidenziarlo ulteriormente si affidava a maestri dell’«ars topiaria» – arte del giardinaggio – per ricreare sin nei minimi particolari dei suggestivi giochi di profumi con le piante, d’acqua con le fontane e con le statue in modo da ricreare artefatti paesaggi idilliaci (per rendere bello un giardino venivano coinvolti architetti, giardinieri e idraulici, era insomma una cosa da ricchi che erano influenzati dalla cultura greca e dalla cultura egiziana, entrambe particolarmente attente alla cura del giardino, ciò mostra anche la circolazione di mode e costumi provenienti dall’Oriente greco in tutto l’Impero e non solo a Roma); aveva la funzione di accogliere e stimolare la cultura, a ricreare le scuole filosofiche particolarmente attente al ruolo meditativo ricoperto dal giardino – particolare che sarà ripreso anche nella cultura cristiana.

Dietro all’«euripus» troviamo il ninfeo a sei nicchie che ricreava il mitico bosco delle ninfe, era rivestito da lastre di marmo. L’opera reticolata retrostante risale alla prima fase della «domus», il ninfeo è una delle parti più antiche della residenza. A destra vi è un ambiente rettangolare con colonne in laterizio, marmo cipollino e intonaco rosso, la cui funzione non è chiara.


Le terme private della «domus» di Via degli Orti

Dopo aver immaginato la grandezza del giardino con i suoi profumi e le sue statue, si entra nell’impianto termale privato e in ciò che è stato scavato della «domus».

Le terme private non sono una rarità nelle abitazioni degli antichi Capuani agiati; grazie al forte legame che aveva con Roma, l’antica Capua dell’età imperiale fu fornita, come altre città dell’Impero, di sviluppate tecniche di riscaldamento e di avanzati sistemi di conduzione dell’acqua grazie agli acquedotti che si rifornivano dal vicino monte Tifata.

Praefurnium

Ambiente con funzione di praefurnium, ossia serviva a riscaldare il vicino calidarium; fotografia di Annalaura Uccella, 2018

Le terme private venivano costruite come quelle pubbliche, e avevano anche le stesse finzioni sociali e politiche, venivano costruite mettendo in comunicazione per passare agevolmente dal «tepidarium», dove si trovava la vasca d’acqua tiepida la cui funzione era quella di preparare il corpo al resto del percorso, si massaggiava la pelle con oli e unguenti, dopo questa preparazione si entrava nel «calidarium», dove una vasca d’acqua calda accoglieva l’ospite. Se si voleva, si passava nella retrostante sauna, «laconicum». Dopo un poco si ritornava al «tepidarium» per poi terminare il percorso benessere nel «frigidarium», ossia in un ambiente dove ci si immergeva in una vasca fresca per tonificare la pelle e riacquistare energia.

Il «calidarium» della «domus» di Via degli Orti comunicava con il vicino «praefurnum» e aveva anche la vasca per immergersi; sono visibili i resti del pavimento in marmo che ricopre le «suspensurae» e i resti di uno dei tubi in terracotta che servivano alla circolazione dell’aria calda tra le intercapedini dei muri.

Sauna

Sauna; fotografia di Annalaura Uccella, 2018

Alle spalle, tra il «calidarium» e il «tepidarium», in questa «domus» troviamo un ambiente quadrangolare con probabile funzione di sauna, sono presenti delle «suspensurae» ossia delle piccole colonnine che servivano a far passare attraverso dei tubi il calore da sotto al pavimento e farlo uscire in apposite intercapedini delle pareti.

Il «frigidarium» è una delle parti più antica della «domus» ed è stato oggetto di restauri nel corso degli anni, come testimoniano i due piani di calpestio, il primo, il più antico, è un battuto con scaglie di laterizio, il secondo, più recente, presenta tessere di mosaico bianco.

La cura del corpo prevedeva anche un’attività sportiva liberamente praticata tra il peristilio e l’ampio giardino, dove degli schiavi specializzati all’occorrenza massaggiavano con degli unguenti i muscoli affaticati.

Dietro alle terme e separata da un corridoio è stata rinvenuta una serie di stanze, una di queste doveva essere, probabilmente, una stanza da letto che, nonostante il cattivo stato di conservazione, aveva pareti affrescate con una zoccolatura in rosso e riquadri sovrastanti scuri su fondo chiaro mentre il pavimento è decorato con mosaico bianco e nero che racchiude un emblema centrale costituito da quadrati marginati da quattro «peltae».

L’ambiente è stato più volte rimaneggiato, infatti l’ultimo pavimento risale alla prima metà del V secolo dopo Cristo, dove sono stati aggiunti una nuova entrata e degli scalini.

Gli altri ambienti non hanno dato molte informazioni a parte la presenza, in uno di essi, di scale che portavano, molto probabilmente, a un piano superiore come si vede in alcune «domus» di Ercolano, ma, come accennato più volte, la «domus» versa in condizioni veramente pessime e quindi tanti piccoli particolari non sono visibili perché ricoperti dalla ricca vegetazione.

Mancano infatti molte informazioni sull’edificio come a esempio l’ubicazione dell’ingresso originario, come avveniva l’approvvigionamento dell’acqua in questa «domus» anche se si sa che l’antica Capua era rifornita dall’acqua Julia, acquedotto voluto dall’Imperatore Augusto che alimentava i principali edifici dell’antica Capua sfruttando le acque del vicino monte Tifata, ma, come detto, sono ipotesi.

È vero che non si può salvare tutto dalle insidie del tempo e dalla crescita urbanistica ma se quel poco che riesce a sopravvivere viene poi lasciato a se stesso... si spera sempre in una saggia amministrazione.

Con questa piccola predica, amen, concludo, per ora, la parentesi sulla storia dell’antica Capua, perché non di solo Spartacus vive Santa Maria Capua Vetere, ha un passato ricco e complesso che merita di essere scoperto e ammirato.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(dicembre 2020)

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