Caio Giulio Cesare: ritratto di un Grande
Lineamenti di una delle più geniali figure della Storia

Nel 1957, pubblicando il terzo volume della sua monumentale Storia della Civiltà, lo storico Will Durant intitolava Cesare e Cristo il libro dedicato all’antica Roma, laddove i primi due volumi erano intitolati in base a considerazioni geografiche (L’Oriente; La Grecia) e i successivi due in base a caratteristiche delle età trattate (L’Epoca della Fede; I Secoli d’Oro). Questo ci mostra come la figura di Caio Giulio Cesare grandeggi nel panorama della Storia, tanto che il nome Cesare divenne sinonimo di «Imperatore» nella Roma Imperiale, nella Germania e in Russia (il termine tedesco «Kaiser» e quello russo «Czar» non sono altro che la traduzione nelle rispettive lingue del nome «Cesare»). Una fama, la sua, destinata a non oscurarsi neppure nei periodi più cupi, se persino nel Medioevo era visto come la personificazione stessa dello Stato per eccellenza (tant’è vero che Dante pose nel più profondo dell’Inferno, in due delle tre bocche di Lucifero, i suoi uccisori, messi quasi alla pari con Giuda, il traditore di Gesù). Ancora oggi, Giulio Cesare rimane il Romano più famoso di tutti quelli che hanno visto la luce in quasi 3.000 anni di Storia, dalla fondazione della città fino ai nostri giorni: non esiste statista, condottiero, artista, musicista, sportivo dell’Urbe che possa dire di essere famoso quanto lui. Dire «Roma» rimanda automaticamente a dire «Cesare».

Una simile fama non è immeritata. Cesare è stato un uomo politico di grandissima levatura, un Generale che ha saputo coniugare audacia e riflessione quanti altri mai e uno scrittore rimasto tuttora ineguagliato nel suo genere.

Come uomo politico, Cesare riempì di sé l’ultimo periodo della Repubblica Romana: pose sue statue in ogni angolo di Roma, ordinò molti lavori pubblici, adornò il Foro di colonnati, diede occupazione alla gente. Nelle monete era riprodotto il suo volto e a lui venne intitolato il quinto mese dell’anno, «Iulius» («Luglio»). Operò varie riforme, tra cui quella più importante riguarda il calendario con l’introduzione dell’anno bisestile (aggiunta di un giorno in più ogni quattro anni); questo calendario, detto «giuliano», rimase in vigore per oltre 1.500 anni. Riunendo in sé ogni potere, pose le basi per l’instaurazione dell’Impero.

Come Generale, Cesare condusse dovunque vittoriosamente gli eserciti romani, domò la Gallia, attraversò due volte il Reno, fece spedizioni contro la Britannia, sottomise moltissimi popoli, estese come nessuno mai prima di lui i confini dello Stato; marciò contro le legioni di Pompeo, che debellò in modo definitivo a Fàrsalo, nell’anno 48 avanti Cristo. Rimasto allora assoluto padrone di Roma, si accingeva ad attuare la sua grande riforma politica, che doveva dare un nuovo volto alla vita interna ed esterna di Roma, quando, alle Idi di marzo del 44 avanti Cristo, i pugnali di alcuni congiurati guidati da Bruto e Cassio stroncarono l’esistenza e l’opera di una delle più prodigiose e geniali figure della Storia.

Come scrittore, Cesare creò una maniera letteraria e un genere stilistico mai tentato né raggiunto da altri, con le sue «memorie» (raccolta di appunti o diari di guerra) della campagna in Gallia (Commentarii de Bello Gallico in sette libri; un ottavo – giuntoci mutilo dell’ultima parte – fu aggiunto dal suo luogotenente Aulo Irzio) e della lotta condotta contro Pompeo (Commentarii de Bello Civili in tre libri): sono opere concepite come relazioni al Senato, all’opinione pubblica e agli uomini futuri, oltre a essere la base della tattica militare in tutti gli eserciti moderni – non c’è grande Generale che non si sia formato meditando sugli scritti di Cesare. Egli inaugurò con i suoi commentari un nuovo modo di presentare la storia, come attività propria, in una «notazione» fredda, precisa, obiettiva di ogni circostanza, di ogni campagna, di ogni battaglia e di ogni evento, nella terza persona e nell’anonimato dell’autore. Il tutto in una prosa sincera, plastica, geniale, inarrivabile nel suo sapore e nella sua struttura: giustamente, si è detto che Cesare e Cicerone hanno portato la lingua latina al suo vertice, alla classicità più pura. Narrazioni avvincenti di battaglie si alternano con pagine sottili di diplomazia politica; descrizioni etnografiche preziose con discorsi robusti secondo la più calcolata eloquenza attica; lucide analisi psicologiche con pagine tecniche esemplari. Ancor oggi il giudizio più azzeccato sui commentari di Cesare è quello che ne ha dato il suo contemporaneo – e avversario politico – Cicerone: «Questi libri sono nudi, schietti, affascinanti, spogli di ogni retorica come una persona della veste. Cesare volle fornir materia a chi intendesse scrivere di storia; fece cosa grata, semmai, agli sciocchi che vorranno aggiungervi i riccioli; ma alle persone assennate tolse la voglia di scrivere».

Giulio Cesare nasce a Roma, in una casa del quartiere popolare e malfamato della Suburra, nel 653° anno dalla fondazione della città, 100 o 102 anni prima della nascita di Cristo. Suo padre si chiama Giulio Cesare, come lui; sua madre è Aurelia, una donna con un carattere molto forte. La famiglia è nobile e antica, ma povera; si vanta di discendere nientepopodimeno che da Julo, il figlio di Enea che guidò i Troiani nel Lazio dopo la distruzione della loro città.

Fin da giovane mostra un’intelligenza pronta e vivace. È vanitoso, raffinato, coltissimo, un uomo di mondo galante e spregiudicato, ricco di umorismo, che veste sempre con eleganza e spende parecchio denaro in feste e divertimenti; organizza anche spettacoli mai visti per conquistarsi la simpatia del popolo, e si mostra sempre indulgente coi vizi degli altri. Fisicamente non è bello, ma alto, pallido, occhi neri e vivi, volto scavato e intenso; la bocca è arcuata e amara, incorniciata da due rughe dritte e profonde, e col labbro di sotto che sporge su quello di sopra. È afflitto dalla calvizie e se ne vergogna, perciò approfitta del primo trionfo che gli viene decretato per portare sempre la corona d’alloro sul capo; si pettina con estrema cura quei pochi capelli che gli restano, tirandoli dalla nuca sulla fronte, un’operazione che gli occupa molto tempo ogni mattina. È afflitto da mali di testa e attacchi di epilessia. Per contro, ha abituato il corpo a durissime fatiche, dorme nei carri come i suoi soldati, mangia in modo sobrio e può lavorare per ore e ore senza stancarsi; è un eccellente cavaliere, e usa galoppare con le mani dietro la schiena.

Busto del giovane Cesare

Busto del giovane Cesare (scoperto a Pantelleria), I secolo; fotografato allo Houston Museum of Natural Science (Stati Uniti)

Ha un successo incredibile con le donne: ne sposa quattro e ne conquista non si sa quante, tanto che i suoi soldati si divertono a prenderlo in giro. Ogni volta che entra in una città, lo precedono gridando: «Ehi, uomini, chiudete in casa le vostre mogli. Vi portiamo l’amatore calvo». Cesare non se la prende, anzi, ride di queste battute e risponde a tono. Non accetta però le offese: quando alcuni suoi avversari politici, per screditarlo (gli omosessuali erano banditi dalla vita politica) gli appellano il nomignolo di «Regina di Bitinia», accusandolo di aver intrecciato, quand’era sedicenne, una relazione amorosa col Re Nicomede (che aveva un debole per i bei ragazzi), Cesare si fa dire i nomi dei detrattori, entra nelle loro case travestito da donna e seduce le loro mogli, tutte. Allorché Catone, in Senato, lo sfida a leggere ad alta voce un biglietto che gli è stato appena consegnato, Cesare glielo passa senza commenti: è una lettera d’amore di Servilia, sorellastra di Catone, la sua amante più devota, tanto che le malelingue l’accuseranno di avergli passato, anni dopo, la sua stessa figlia Terzia.

Nella sua giovinezza, Cesare è educato dai migliori maestri greci e latini del suo tempo, e completa gli studi a Rodi; si prepara a diventare oratore, quando si sente attratto dalla carriera politica.

Sono i tempi delle contese tra Mario e Silla. Dato che sua zia, sorella del padre, è la moglie di Mario, è naturale che Cesare – per ragioni di parentela – aderisca al partito popolare, e a questa adesione rimarrà sempre fedele. È ancora un ragazzo, ma si presenta subito come un tipo eccezionale. Silla ne intuisce il talento e la pericolosità e lo inserisce nelle liste di proscrizione, costringendolo alla fuga. Alcuni suoi consiglieri gli fanno notare che è solo un ragazzino, ma lui risponde: «Vi avverto che questo giovinetto, che vi sembra soltanto un elegantone buono a nulla, varrà da solo parecchi Marii». Comunque, alla fine, gli concede la grazia.

Il lato coraggioso, audace e anche sfrontato del carattere di Cesare emerge in pieno già quando, in viaggio per Rodi, viene catturato dai pirati. Questi chiedono, per il suo riscatto, la cifra – già di per sé assai elevata – di 20 talenti. Lui scoppia a ridere loro in faccia, risponde che vale molto di più e ne offre spontaneamente 50, che poi manda a prendere a credito dagli amici. Trascorre i giorni della prigionia scrivendo poesie e leggendole ai pirati; vedendo che non le apprezzano, li chiama «barbari» e «cretini» e promette di impiccarli tutti. Questi si limitano a sghignazzare, divertiti da quelle che considerano solo le sfrontatezze di un ragazzo. Ma Cesare è di tutt’altra pasta: una volta liberato, allestisce una flotta, insegue e sorprende i pirati, recupera i suoi soldi, cioè quelli dei suoi creditori (cui non li restituisce) e mantiene la promessa impiccandoli tutti (ma facendo prima tagliar loro la gola, in segno di clemenza).

Rientrato a Roma, Cesare riesce a diventare amico di Crasso, uomo potente soprattutto grazie alle sue enormi ricchezze, e più tardi anche di Pompeo, famoso per le sue grandi vittorie militari (ha già sedotto le mogli di entrambi). Con il loro aiuto, si fa eleggere alle prime importanti cariche politiche: nel 68 avanti Cristo è nominato questore; nel 63 è eletto pontefice massimo; un anno dopo diviene pretore. Infine, nel 61 avanti Cristo è nominato propretore (cioè governatore) della Spagna.

Mentre si reca nella regione, Cesare si ferma a dormire in un villaggio sperduto tra le montagne dei Pirenei. Circondato da alcuni ufficiali, guida la marcia, tutto raccolto nei suoi pensieri. Un ufficiale del suo seguito gli si avvicina e gli dice: «Osserva, Cesare, questo villaggio miserabile. Eppure anche qui ci sarà qualcuno fiero di esserne il capo». Giulio Cesare lo guarda in modo fisso e poi gli risponde: «Io vorrei essere piuttosto il primo magistrato di questo borgo, che il secondo a Roma». Questa frase orgogliosa mostra, molto più di tante parole, tutto il carattere del condottiero romano.

A Cadice, passando davanti al tempio di Ercole, vede una statua di Alessandro Magno e, paragonandosi al grande condottiero, non sa trattenere le lacrime: «Io non ho fatto nulla di importante e lui, alla mia età, aveva soggiogato il mondo».

Fino a quarant’anni non ottiene alcun successo militare. Ma nella Penisola Iberica ha l’occasione di mettersi in mostra: sconfigge e sottomette i Lusitani, che si sono ribellati a Roma, e impone agli Iberi alcune leggi, non solo, se li fa addirittura amici abbassando l’interesse sulle somme prestate loro dai banchieri romani. Ritorna a Roma con del prestigio e un po’ di denaro, e ottiene l’onore del trionfo.

Nella capitale, si pone dei traguardi ambiziosissimi e sostiene che è più difficile scendere dal primo al secondo gradino, piuttosto che all’ultimo. Il suo motto è: «Aut Caesar, aut nullus» («O Cesare, o niente»).

Si rende conto che la vita pubblica è disorganizzata e che tanto il Senato quanto i Consoli non sono in grado di governare lo Stato. In più, deve affrontare l’ostilità del partito oligarchico e in particolare di Cicerone, che lo insulta: «Che cosa volete aspettarvi da uno che si pettina come una femminuccia?»

Ma ormai i tempi sono maturi per imporsi. Nel 60 avanti Cristo, Cesare si accorda con Pompeo e Crasso e forma il primo «triumvirato», ovvero un’alleanza che – in pratica – consegna il Governo di Roma nelle mani di questi tre soli uomini.

L’accordo comincia a dare i suoi frutti: nel 59 avanti Cristo, Giulio Cesare è nominato Console; un anno dopo, allo scadere del mandato, è eletto governatore per cinque anni della Gallia Cisalpina (cioè dell’Italia Settentrionale) e di quella Transalpina soggetta a Roma (le regioni meridionali della Francia). Qui, la tranquillità è insidiata dai Germani di Ariovisto che stanno passando in forze il Reno per sottomettere le popolazioni galliche. Sarà a questo punto che Cesare potrà mettere a frutto le sue doti e iniziare l’ascesa che lo porterà ai vertici del potere e di una fama imperitura!

(ottobre 2020)

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