Gli intellettuali di Nerone
Contrariamente a quanto si è soliti pensare, l’età di Nerone fu segnata da una grande fioritura letteraria di alto livello

Dall’età di Nerone, l’Imperatore si propone come una divinità di luce destinata a illuminare il mondo: di fronte al declino della religione tradizionale in cui non crede più nessuno, si fa avanti il culto della persona di derivazione orientale, soprattutto persiana ed egiziana; il genere letterario più appropriato è allora quello bucolico (spazio campestre fuori dalla storia, dove si dilettano i pastori dell’eterna Arcadia), il cui maggior esponente è Calpurnio Siculo, che si rifà alla grande poesia bucolica di stampo virgiliano. Nell’età di Nerone rinascono i generi letterari alti: l’epica, la tragedia e la satira. Questo perché lo stesso Imperatore è poeta (ama soprattutto Edipo) e dà un grandioso impulso alla parola. Con lui, sul trono già a quattordici anni, incline alle arti e incoraggiato a proseguire gli studi, sembra aumentare la creatività, ricca di letteratura: Petronio, Persio (rigenera la satira latina), Columella (trattato di agricoltura riguardante anche i giardini).

Si assiste ad una ripresa di tematiche dell’età augustea e della perfezione del classicismo augusteo, in cui ogni cosa brutta in stile o tema è messa da parte; non è un periodo di decadenza culturale, come molti si ostinano a considerarlo ma, al contrario, un’età di misura, di sorrisi, di sobrietà, di morale tollerante e di lessico semplice e ridotto. Ma l’età di Nerone è anche l’età del rovesciamento dei modelli dell’età augustea: il Satiricon di Petronio è dominato da Priapo, il membro maschile, una divinità piccola ed ostile che guida le vicende umane; Calpurnio Siculo finisce per oltrepassare i limiti del bucolico virgiliano e sfociare nelle Georgiche fondendo insieme i due generi letterari.

Le tematiche dell’età neroniana sono il decadimento dell’oratoria (Quintiliano, De causis corruptae eloquentiae), le guerre civili greche o puniche, le figure compendiarie (questo stile viene detto pompeiano perché, come a Pompei, non vi sono più figure nitide). Tutte le partizioni della retorica («loci communes», idee platoniche di morale, a cui riportare i casi particolari) vengono applicate alle opere letterarie; i passi di «loci communes» già trascritti, si riscrivono rovesciandoli e facendo il contrario di tutto (basti pensare al Satiricon): questo prende il nome di letteratura retorica.

L’età neroniana può essere a ragione definita età anneana (dalla famiglia degli Annei, originaria di Cordoba, nell’assolata Spagna): abbiamo infatti Seneca il Vecchio, Seneca (il figlio) e Anneo Lucano (il nipote).

Asinio Pollione aveva dato forza (40-30 avanti Cristo) alle «recitationes» in pubblico, facendo esibire i poeti al posto degli oratori: un genere legato all’oratoria ed ai gusti del pubblico. Seneca il Vecchio, invece, preferisce «compilare» un’antologia intitolata Oratorum et rhetorum sententiae, divisiones, colores, in cui propone dei temi e riporta a memoria le più insigni «performances» degli oratori che aveva ascoltato, mettendo in risalto le frasi particolarmente brillanti, le fasi di divisione di un argomento e gli artifici (luci, effetti). Due sezioni compongono il corpus: abbiamo sette suasorie («genus deliberativus») e cinque libri di controversie (stile giudiziario); si tratta però, in quest’ultimo caso, di esempi inventati, lontani dalla realtà e quindi quasi totalmente inadatti ad essere usati come materiale di studio per gli aspiranti oratori del suo tempo.

La resurrezione del poema epico si deve ad Anneo Lucano, morto suicida. Della sua vasta produzione è giunta a noi quasi solo la Farsaglia, in teoria solo sulla battaglia di Farsalo (49 avanti Cristo). In realtà, il poema è incentrato su tutta la guerra civile tra Cesare e Pompeo e prosegue anche dopo la morte di Pompeo. È scritto in esametri, con reminiscenze virgiliane, ma è l’anti-Eneide, la distruzione dell’ideologia eroica che sostiene l’opera del vate mantovano. I punti di contrapposizione con Virgilio sono: la totale esclusione del mondo divino; il male che prevale nel mondo; la negazione dell’esistenza della Provvidenza divina e del fatto che la Storia abbia un senso; vi sono anche una cerimonia di necromanzia e la predizione di un futuro di disperazione (nel VI libro); una visione di Cesare (eroe ma anche antieroe) animato dal «furor»: Pompeo incarna le «forze del bene» ma è stanco e cerca di evitare la lotta, è il perdente per definizione... l’unico eroe veramente positivo è lo stoico Catone Uticense, costretto al suicidio per rimanere libero. L’intento di Lucano è quello di distruggere la poesia epica.

Lucio Anneo Seneca, sicuramente il più grande tra tutti gli intellettuali del tempo (ed uno dei più grandi tra quelli dei tempi successivi) nasce nei primi anni del I secolo e muore nel 65. Intrattiene rapporti difficili e variati con Caligola, Claudio e Nerone. Esiliato in Corsica, sotto Claudio, per nove anni con l’accusa di adulterio, viene richiamato da Agrippina con la carica di pretore e affiancato al giovane Nerone come pedagogo e consigliere politico. È Seneca l’ispiratore del matricidio di Agrippina, ormai sua avversaria politica per il tentativo di sottrarre il trono a Nerone. Seneca sperimenta fino a che punto il potere possa coincidere col male, tema fondamentale delle sue meditazioni; di questo suo potere approfitta molto (pratica amplissima dell’usura, accumulo d’ingenti ricchezze). Si nota la contraddizione tra la parola filosofica (austerità, sobrietà, frugalità) e uno stile di vita fastoso; sostiene che il vero saggio è colui che beve da una tazza d’oro come berrebbe da una tazza di legno, ma la sua condotta di vita è esattamente l’opposto di quella che suggerisce nei suoi scritti. Il mestiere di consigliere è estremamente difficile con Nerone: sono forti le critiche sul suo comportamento e sul suo modo di rivolgere la parola. Nel 61 Seneca «rassegna le proprie dimissioni» perché Nerone non tollera più dei consiglieri; deve vivere secondo natura (61-65), cogliendo il momento più alto della sua produzione letteraria (meditazione sulla propria vita e sulla propria morte). Ribelle epicureo ed accademico, disprezza Cicerone, trova lo scopo della vita nell’essere felici dedicandosi a se stessi (alla propria anima, al migliorarsi di giorno in giorno...) senza occuparsi della carriera. Viene infine obbligato al suicidio dallo stesso Nerone.

L’opera letteraria di Seneca che ci resta è vastissima: dodici libri di dialoghi (brevi trattati morali); notevoli al loro interno sono Ad Elviam matrem (sul tema della «consolatio»: consola la madre di aver perso lui – variante rispetto alla tradizione – e cerca di dimostrarle che lui, in esilio, ha la sua patria dovunque in quanto dovunque il saggio può seguire la verità), Ad Marciam (sul tema della «mors opportuna») e Ad Polibium (sull’adulazione). Il De clementia è il manifesto di quella che avrebbe dovuto essere la politica di Nerone. Il De beneficiis, in sette libri, è un trattato sull’etica del dono. Le Naturales quaestiones, pure in sette libri, sono un’opera sul tempo meteorologico condotta come un’indagine «scientifica». Col Ludus in morte Claudi siamo nel genere della satira menippea: scritto in prosimetro (misto di prosa e versi), è la storia dell’anima di Claudio, destinata a ricevere nell’aldilà lo stesso disprezzo che aveva in vita. Le Epistole a Lucilio sono centoventiquattro lettere contenenti meditazioni corredate spesso da un «piccolo guadagno» che si può trarre da esse; è la prosa dell’introspezione, vi si ritrovano invettive contro i giochi del circo e contro la schiavitù; lo stile fu considerato dai contemporanei troppo «conciso» a causa delle numerose frasi spezzate. Abbiamo anche nove tragedie di argomento mitologico greco ispirate da tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide: sviluppano principalmente il tema della tirannide e senza di loro non esisterebbe la tragedia europea (soprattutto quella di Shakespeare). Altri temi delle sue tragedie sono l’incesto, il cannibalismo, l’infanticidio, la brama sconfinata del potere, l’assoluta pazzia (Seneca porta l’indagine psichiatrica dei mostri dell’ego a livelli quasi impossibili per i suoi tempi, livelli che non saranno mai più raggiunti fino a Freud). Con Lucano e Seneca nasce il piacere del brutto e dello sgradevole inteso come elevazione del sublime.

Poi, la morte di Nerone poneva fine ad una delle epoche più felici della storia romana. Per molti anni, fiori freschi adornarono la sua tomba.

(aprile 2006)

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