La storia di Putin, raccontata da Putin
Ecco come il Presidente Russo, Vladimir Putin, ama narrare la sua storia al suo popolo ed al resto del mondo

«Sono diventato un politico di recente, prima facevo un altro lavoro». Il Vladimir Putin sullo schermo ha meno rughe e capelli grigi, è più timido ed anche più ironico, ma parla con la stessa voce pacata anche quando dice parole taglienti: «Prima facevo parte dell’intelligence, e pensavo, come anche i miei colleghi di altri Paesi, di sapere tutto. Ma ora vedo che rispetto ai politici eravamo dei lattanti». Lo stupore di un uomo che deve imparare a fare il Presidente di una delle nazioni più importanti del mondo è forse la testimonianza più rivelatrice del documentario Il Presidente, trasmesso lo scorso lunedì 7 dicembre in seconda serata da Rete 4.

Uno speciale realizzato dalla TV Rossia1 per i 15 anni di Putin al potere, l’anno precedente, e presentato in esclusiva nella versione italiana: un’intervista al Presidente Russo che rievoca i vari momenti della sua storia umana e politica, alternata a commenti degli uomini più importanti del suo entourage, dai ministri ai «big» della cultura come Valery Gerghiev, e perfino il Patriarca di tutte le Russie Kirill. E poi tante immagini che ricordano il contesto nel quale «uno sconosciuto» (come Putin venne definito da tutti) entrò al Cremlino: la guerra in Cecenia, la crisi economica, il Governo vacillante di un Boris Eltsin che ormai fa fatica anche a salire sulla sua Mercedes presidenziale nera.

È il punto di partenza rispetto al quale i Russi giudicano il loro Presidente più amato, e ricordarlo aiuta a capire alcuni dei motivi della sua incredibile popolarità. Ovviamente il film racconta la versione di Putin, dalla Cecenia alla Crimea, e molti eventi che hanno fatto discutere in Occidente non vengono nemmeno menzionati (a un certo punto, forse per una svista della regia, in un angolo dello schermo appare per un attimo Mikhail Khodorkovsky), mentre altri sono narrati in modo completamente diverso: l’annessione della Crimea viene raccontata come «ritorno alla patria», senza soffermarsi sulle conseguenze. Ma il valore del film forse è proprio questo, Putin raccontato da Putin, dove in 15 anni di momenti immortalati da una telecamera si vede sia l’evoluzione del personaggio che i suoi tratti immutabili. Come il rimprovero all’Occidente, soprattutto agli Stati Uniti d’America, di «voler decidere da soli, senza chiederci nulla», che comincia a risuonare già nei primi mesi della presidenza, quando nessuno, meno che mai il diretto interessato, poteva immaginarsi il grado di potere che avrebbe raggiunto.

O il ritornello fisso della Russia in pericolo, minacciata da potenze straniere che non vedono l’ora di ridurla in polvere, anzi, smembrarla (Putin nel film accusa i servizi americani di aver aiutato i guerriglieri ceceni). E appaiono inquietanti i paralleli con la Russia di 15 anni fa, atterrita dalle bombe dei terroristi caucasici legati all’islamismo radicale: morti, feriti, donne in lacrime, guerriglieri barbuti e minacciosi, fino alla presa di ostaggi al teatro Dubrovka che – nonostante tutte le numerose differenze di situazione e contesto – oggi non può non rimandare alla tragedia del Bataclan.

Putin è il Presidente delle emergenze, l’uomo forte che risponde alle paure del suo popolo, ed è interessante vedere come questa componente della sua immagine nasce insieme a lui, dai voli in elicottero e sui caccia allo judo, sempre circondato da uomini in uniforme, e il tema militare è uno dei più presenti nei suoi discorsi. Ma è anche un Russo «normale», e dopo 15 anni rimpiange ancora di non poter più andare al cinema o per negozi, come un comune mortale. Vladimir Vladimirovich non viene dalla nomenclatura, la sua carriera nel Kgb era stata piuttosto ordinaria, e questo suo essere stato un «signor nessuno» gli conferisce una forza speciale, che soprattutto nelle immagini dei primi anni salta all’occhio: in mezzo ai bonzi dell’élite post-comunista e ai Generali resta sbrigativo e spesso informale, senza condividerne gesti e liturgie, come quando rifiuta un brindisi allestito per lui e posa il bicchiere sul tavolo dicendo che prima c’è del lavoro da fare. Invece usa parole semplici e prive di pathos quando affronta il suo popolo. Come quando, nel 2000, parlando ai familiari dei marinai del sottomarino Kursk, periti senza soccorsi durante un’esercitazione, dice: «Sapevo che le nostre forze armate erano in uno stato rovinoso, ma non immaginavo quanto, hanno devastato tutto». Con quell’«hanno» si mette dalla parte dei Russi, e non si sente ancora parte di quelli che li comandano.

Quindici anni dopo non è più un Presidente per caso, ma un uomo quasi onnipotente che ha plasmato la sua epoca e la sua élite. In qualcosa però resta fedele a se stesso: algido, educato, preciso, reticente, con un sorriso nel migliore dei casi appena abbozzato e pochi entusiasmi. Alla domanda sui momenti più esaltanti della sua presidenza fa una smorfia dubbiosa, quasi che faccia fatica a ricordarne uno. Uno Zar strano, celebrato da tutti ma restio ad autocelebrarsi.

(febbraio 2017)

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