Pola romana, veneta e italiana
Una sintesi storica che testimonia la bimillenaria vocazione del capoluogo istriano in chiave occidentale e cristiana

La città di Pola sorge all’estremità sud-occidentale della penisola istriana, al centro di una rada marittima di grande importanza strategica, e vanta tradizioni storiche di alto spessore umano e civile, sin dall’antichità più remota.

Colonia romana dal 176 avanti Cristo, i suoi abitanti ottennero dopo circa un secolo e mezzo il diritto alla cittadinanza, da cui derivarono ampie opportunità di sviluppo, anche in campo urbanistico. Pola ha il privilegio di conservare l’unico anfiteatro romano a tre ordini di tutto il mondo antico, in cui sia stata mantenuta integra la struttura esterna. La costruzione ebbe inizio intorno al 14 dopo Cristo e fu completata nel giro di un cinquantennio, dando vita alla celebre Arena, simbolo perenne della città.

Arena

L'Arena di Pola (Croazia)

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, avvenuta nel 476, Pola visse un lungo ed amaro periodo di decadenza, accentuata dalle ricorrenti invasioni barbariche, e tuttavia mantenne un ruolo di vigile sentinella civile, a cominciare dal periodo bizantino, per continuare con quello carolingio.

Alla fine del primo millennio cristiano, la città iniziò a gravitare nell’orbita di Venezia, la cui potenza commerciale, e quindi politica, si andava progressivamente affermando. Nel 998 ebbe la visita del Doge Orseolo II, e più tardi, dopo un vivace periodo di autonomia comunale, si sottomise alla Serenissima anche formalmente, riconoscendo alla massima autorità della Repubblica il titolo di «Dux totius Istriae».

Non mancarono alcuni momenti difficili nei rapporti con Venezia, ma la collaborazione tra le due città fu generalmente proficua, tanto che nel 1376 venne riconosciuto a Pola il diritto ad un’ampia esenzione tributaria, utile all’ulteriore sviluppo economico e civile. Al contrario, non furono buone le relazioni coi Genovesi, che qualche anno più tardi la saccheggiarono ed incendiarono.

Intorno alla metà del XV secolo si registrarono i primi importanti arrivi di Slavi, chiamati da Venezia per sopperire ai vuoti lasciati dalle ricorrenti pestilenze. I problemi che ne seguirono consigliarono il Vescovo, nel 1593, a disporre che non si celebrasse in lingua slava e si tornasse al latino.

Una ventina d’anni prima, la flotta cristiana aveva conseguito la grande vittoria di Lepanto contro gli Ottomani (1571), con una notevole partecipazione di navi istriane e dalmate, a conferma di una sicura vocazione occidentale nel segno della Fede.

Il secolo successivo fu caratterizzato dalle scorrerie degli Uscocchi e dalla grande peste del 1631, che ridusse gli abitanti di Pola a poche centinaia, al pari di quanto accadde nelle altre città istriane, provocando un depauperamento della popolazione autoctona, i cui effetti si sarebbero protratti nel lungo termine.

La progressiva decadenza di Venezia provocò anche quella di Pola, mentre l’elevazione a porto franco di Trieste e Fiume, unitamente all’avvento della libera navigazione in Adriatico proclamata da Carlo VI d’Asburgo, statuiva la perdita di antichi privilegi, che divenne definitiva nel 1797 con la fine della Serenissima decretata da Bonaparte, e l’occupazione austriaca, destinata a durare fino al 1918, fatto salvo il breve periodo napoleonico.

Nel 1850 Francesco Giuseppe fondava l’Arsenale, e nel 1876 veniva inaugurata la ferrovia tra Pola e Trieste, a conferma di una politica di crescenti investimenti, ma nello scorcio conclusivo dell’Ottocento si diffusero con forza crescente le idee dell’irredentismo italiano.

La politica filo-slava dell’Austria e le violenze compiute a Pola nel 1907 conferirono ulteriore credibilità ai patrioti che intendevano battersi per l’unione all’Italia, conseguita al termine della Prima Guerra Mondiale, e suffragata simbolicamente, poco prima dell’armistizio di Villa Giusti, dall’affondamento della corazzata Viribus Unitis ad opera delle Medaglie d’Oro Paolucci e Rossetti, proprio nel porto polese.

Durante il Ventennio fascista, gli investimenti compiuti in Istria ed a Pola, con riguardo prioritario alle grandi infrastrutture (acquedotto, bonifiche, formazione professionale, industrie, vie di comunicazione) indussero uno sviluppo economico straordinario.

Nel maggio 1945, al termine del Secondo Conflitto Mondiale, la città fu occupata dai partigiani di Tito che si abbandonarono ad ogni sorta di violenze, costringendo all’esodo quasi tutta la popolazione: le partenze si concentrarono nel primo trimestre del 1947 per mezzo delle navi messe a disposizione dal Governo Italiano, che trasportarono i profughi a Venezia, Ancona e Trieste.

Particolarmente efferata era stata la strage compiuta sulla spiaggia di Vergarolla il 18 agosto 1946, in cui persero la vita oltre cento persone, in maggioranza donne e bambini, lasciando un segno indelebile nella memoria storica dei Polesi e di tutti gli Esuli.

A seguito di alterne vicende politiche e diplomatiche, culminate nel trattato di pace di Parigi, Pola venne ceduta alla Jugoslavia, che ne prese possesso il 16 settembre 1947 quando il Colonnello Bowman consegnò le chiavi della città ad Ivan Motika, già noto quale assassino ed infoibatore.

Dopo lo sfascio della Repubblica Federativa Jugoslava, l’esercizio della sovranità statuale su Pola e sulla parte maggioritaria dell’Istria è stato trasferito alla Croazia. Nel 1967, gli Esuli del capoluogo istriano, confermando le motivazioni della loro scelta plebiscitaria, e la forza delle conseguenti e permanenti speranze, hanno costituito il Comune di Pola in Esilio.

(novembre 2016)

Tag: Laura Brussi, Pola, Istria, anfiteatro romano, Arena, storia di Pola, Orseolo II, battaglia di Lepanto, Uscocchi, Carlo VI d’Asburgo, Arsenale di Pola, Francesco Giuseppe, Viribus Unitis, partigiani di Tito, strage di Vergarolla, Jugoslavia, Colonnello Bowman, Ivan Motika, Comune di Pola in Esilio.