Cenni storici sulla città di Fiume dalle origini a oggi
2020. Capitale europea della cultura è Fiume/Rijeka

Avvertenza: per ragioni di lunghezza, e in accordo con l'Autore, questo articolo è stato pubblicato privo delle note presenti nel testo originale.

L’Unione Europea ha designato per il 2020 la città croata di Rijeka (Fiume) capitale europea della cultura. Il fatto è significativo perché nello sviluppo storico di tale località si trovano persone, avvenimenti interni, realtà territoriali, vicende internazionali, che costituiscono un patrimonio di idee, di contributi e di iniziative da non vanificare. Per certi aspetti si è in presenza di un «unicum» i cui elementi aggreganti favoriscono non solo una ricerca storica, ma anche un approfondimento di vissuti.


Le origini della città e della zona

Attraverso il lavoro di diversi studiosi è stato possibile accertare la presenza di insediamenti umani nella zona di Fiume risalenti al periodo del Paleolitico e del Neolitico. L’area venne abitata da diverse popolazioni. Tra queste, rimane nota la «gens Liburnorum» la cui presenza dette il nome all’area (Liburnia). I Liburni si distinsero anche per le loro veloci navi biremi (le «saevae liburnae») di cui erano esperti costruttori. Nel IV secolo avanti Cristo, l’espansione romana aveva ormai occupato tutto il territorio degli Etruschi. Per tale motivo, la navigazione lungo la sponda orientale adriatica divenne della massima importanza per i collegamenti tra l’Italia del Nord (la Pianura Padana, che allora si chiamava Gallia Cisalpina) e quella del Sud («Apulia et Calabria»). Ne derivò quindi un’esigenza: neutralizzare le azioni di pirateria. Narra al riguardo lo storico latino Tito Livio, nella sua opera Ab Urbe condita, che «sulla sinistra le coste italiche sono prive di porti, e sulla destra» vi sono «gli Illiri, i Liburni e gli Istri, popoli bellicosi e di pessima fama perché dediti alla pirateria» (Libro X, 2).


L’iniziativa militare romana

Dal 229 avanti Cristo al 167 avanti Cristo vennero combattute tre guerre contro i pirati Illiri. Le legioni romane ebbero alla fine il sopravvento e si arrivò a dominare le zone dei ribelli. Dal 167 avanti Cristo al 60 avanti Cristo l’intera area illirica costituì la provincia dell’Illyricum. Questa comprendeva: Illirio, Dalmatia, Liburnia, Giapidia e Istria. In tale periodo furono fondate più colonie romane. Tra queste, nella Liburnia, ci fu Tarsatica (60 avanti Cristo). L’area di tale agglomerato corrisponde all’attuale centro abitato di Tersatto, moderno rione di Fiume.

Tarsatica

Area archeologica situata nella zona dell’antica Tarsatica (odierna Croazia)

La zona della Liburnia venne poi inclusa (con Histria e Kras/Carso) all’interno dei confini dell’Italia romana. Il fiume Titius (oggi Krka) fu scelto come linea di confine («limes») tra la Liburnia e la Dalmatia. Tale linea, nel 16 avanti Cristo, venne arretrata fino all’Arsa (oggi Raša) per migliorare il sistema difensivo dell’Histria. Con il nuovo assetto la Liburnia fu esclusa dalla regione augustea denominata «Regio X Venetia et Histria». Comunque, anche nelle terre non appartenenti alla Regio X, fu applicato il diritto romano «dominium ex iure Quiritium» («dominio secondo il diritto dei Quiriti»), e pure l’istituto della cittadinanza romana. Con riferimento a Tarsatica rimane documentata l’attività di duumviri (due magistrati) e decurioni (amministratori delle colonie).


I secolo dopo Cristo. La divisione dell’area dell’Illyricum

Al termine della rivolta dalmato-pannonica, neutralizzata dall’Imperatore Tiberio, del 6-9 dopo Cristo, si decise di dividere l’area dell’Illyricum romano in due province: la Dalmatia o Illirico Superiore; e la Pannonia o Illirico Inferiore (in seguito diviso a sua volta in Superior e Inferior). Nella Dalmatia, in particolare, il legato Publio Cornelio Dolabella dette inizio a un vasto progetto che prevedeva la costruzione di almeno quattro strade. In tale contesto, Tarsatica ricoprì un ruolo non debole. Nel 58 dopo Cristo Tarsatica fu elevata a «Municipium», titolo attribuito alle città di maggiore popolazione. Alcune ricerche archeologiche hanno individuato nell’antica sua area fondamenta di mura e di vari edifici, resti di terme e porte, pietre tombali. Pure la Via Flavia passava per Tarsatica. Il suo percorso aveva inizio a Tergeste (Trieste), raggiungeva Pietas Julia (Pola), costeggiava il litorale istriano e arrivava in Dalmatia. Per circa quattro secoli, il diretto controllo di Roma favorì nelle terre illiriche un significativo sviluppo commerciale e culturale. Fu in grado, inoltre, di far cessare i contrasti che esistevano tra le tribù locali. Nelle montagne del luogo, i capi dei vari clan non persero una propria autorità. Accettarono comunque patti di alleanza con l’Imperatore, e riconobbero l’autorità di chi lo rappresentava.

L’arco romano

L’arco romano a Fiume (Croazia)

IV secolo dopo Cristo. Il Cristianesimo nell’Illyricum

Con l’espandersi del Cristianesimo in più zone dell’Impero cominciarono a formarsi le prime comunità di fedeli. Tra questi, una figura significativa è quella di Sofronio Eusebio Girolamo. Nato a Stridone nel 347, raggiunse in seguito Roma per ricevere un’adeguata formazione cristiana. Divenne allievo del retore Gaio Mario Vittorino e del grammatico Elio Donato. Dopo un periodo trascorso in più località del tempo, fu ordinato sacerdote. Papa Damaso I lo volle poi come segretario. Girolamo seguì anche nell’Urbe l’ascesi spirituale di più donne (tra queste la vedova Paola). In tempi successivi si stabilì in Terra Santa. A Betlemme fondò un monastero maschile e uno femminile. Morì nel 420. Tra le sue opere si ricorda la prima traduzione in lingua latina della Bibbia dall’antica versione greca ed ebraica (la «Vulgata»). Altri testi significativi sono: De Viris Illustribus e Chronicon. Nell’elenco sono da includere anche alcune opere polemiche (ad esempio, Adversus Vigilantium). Girolamo, in tempi successivi, fu canonizzato e dichiarato Padre e Dottore della Chiesa.


IV secolo dopo Cristo

Alla morte dell’Imperatore Teodosio I, avvenuta a Milano (17 gennaio 395), l’Impero Romano venne diviso tra i suoi due figli. La parte occidentale spettò al piccolo Onorio (con la reggenza del Generale Flavio Stilicone), quella orientale fu affidata ad Arcadio (con la reggenza del Prefetto Flavio Rufino). In quel momento, la Liburnia (e quindi Tarsatica) apparteneva alla «dioecesis» («amministrazione») d’Italia dell’Impero d’Occidente.


V secolo

Con la caduta nel V secolo dell’Impero Romano d’Occidente (la data convenzionale è il 476 dopo Cristo), Tarsatica cessò di appartenere alla provincia della Dalmatia. In seguito, negli anni dell’Imperatore Ostrogoto Teodorico, detto il Grande (489-526), la città fece parte del Regno Italico. Il Monarca non modificò in Italia e in Istria la costituzione e la religione dei popoli vinti. Abitanti e territori continuarono a essere amministrati con le forme municipali esistenti negli ultimi tempi dell’Impero. Tarsatica, protetta e quasi nascosta dietro il pianoro del Carso, riuscì anche a sfuggire alle successive devastazioni del tempo (ad esempio, distruzione di Aquileia da parte degli Unni di Attila nel 452).


VI secolo. Giustiniano. Inverno 535-536

Nel contesto fin qui delineato si verificò un fatto. L’Imperatore d’Oriente, Giustiniano I, detto il Grande, volle rioccupare le terre d’Occidente usurpate dai barbari. Tolse quindi agli Ostrogoti varie province, tra le quali la Liburnia (inverno 535-536). In tal modo, le città marinare dell’Adriatico Orientale passarono, con il nome di Dalmazia Bizantina, all’Impero d’Oriente. Tarsatica divenne una città di quell’Impero.


VI secolo. Dagli Ostrogoti ai Longobardi

Il dominio degli Ostrogoti ebbe termine nel 553. Dopo una breve fase di restaurazione imperiale (553-568), su una vasta area della penisola italica si insediarono i Longobardi guidati dal Re Alboino. In questo periodo l’abitato di Tarsatica mantenne il proprio «status» giuridico anche quando i Longobardi, al momento di estendere il proprio dominio in Italia, occuparono l’Esarcato, I’Istria e Trieste. I nuovi arrivati mantennero questi possedimenti fino all’arrivo dei Franchi.


Fine VI secolo. I flussi migratori. Dalmatia. 580 circa

Non erano cessati nel frattempo, in vari territori, i flussi migratori. Nel 580 circa, dopo la conquista di Sirmium (colonia romana) da parte degli Àvari, alcuni nuclei di Slavi raggiunsero più zone della Dalmatia. Si trattava di tribù che, negli anni di Papa Gregorio Magno, erano ormai arrivate in prossimità dell’Adriatico. Per il Pontefice, la presenza di Slavi pagani in Istria e lungo la costa dalmata era ritenuta una criticità. Purtroppo, con riferimento al periodo che va dall’epoca di Gregorio Magno (intorno al 600) fino a quella di Carlo Magno (intorno all’800), non si possiedono sufficienti dati sulle dinamiche del tempo.


Fine VII secolo-inizi VIII secolo. Liburnia

Nel periodo qui considerato (Alto Medioevo), i movimenti migratori degli Slavi interessarono anche la Liburnia. Ci furono presenze stabili, a esclusione delle isole e di alcuni luoghi marittimi (ove furono conservate romanità e lingua latina).


Fine VIII secolo. I Croati

Nel periodo della fine dell’VIII secolo e dei primi anni del IX, tra le genti che fluirono nei Balcani, si individuano anche i Croati. Per alcuni studiosi, questi provenivano forse da una regione situata a Nord della Pannonia (la cosiddetta «Croazia Bianca»). A livello di lingua non vi furono significativi mutamenti. I nuovi arrivati introdussero solo un ristretto numero di vocaboli. Di conseguenza, come avvenuto per più linguaggi italiani, l’odierno dialetto fiumano («veneto di tipo») trae origine dal latino volgare, formatosi per evoluzione naturale dall’idioma dei conquistatori romani. In Liburnia queste tribù mantennero postazioni difensive a Tarsatica (cinta muraria, edifici fortificati).


Fine dell’VIII secolo. I Franchi

Nel frattempo, le forze dei Franchi si erano mosse nell’ambito di una campagna militare mirata a sconfiggere gli Àvari e a controllare gli Slavi. Dopo la conquista dell’Istria (778) e la distruzione dello stato feudale àvaro in Pannonia (791), l’esercito di Carlo Magno si spinse in direzione di altri territori. Sulle vicende di questo periodo le fonti tornano a fornire notizie. È documentato ad esempio il fatto che, per un certo tempo, Carlo Magno riuscì a mantenere il dominio dei territori bizantini nell’Adriatico, a Venezia e in Dalmazia. In questa realtà storica si colloca anche un episodio bellico. Nell’autunno del 799, Enrico di Strasburgo, comandante franco, decise di sottomettere pure Tarsatica. Per farlo, era necessario conquistare l’area fortificata di Tersatto. Il primo tentativo non riuscì. Il secondo, invece, superò le difese. Gli avversari furono sconfitti. L’avamposto militare edificato dai Croati venne demolito. Si verificò pure un’ulteriore criticità: nello scontro morì il comandante dei Franchi. Quest’ultimi, per vendicarlo (o per reagire a una ribellione contro di loro), incendiarono probabilmente Tarsatica, così da far cessare la vita dell’abitato. Dopo l’800 non si trovano più riferimenti a questa città.

In tale contesto, si deve registrare pure la reazione dell’Imperatore Bizantino Niceforo I all’avanzata dei Franchi. Il «Basileus» inviò la propria flotta nell’Adriatico. E riconquistò le zone costiere che l’Impero d’Oriente aveva temporaneamente perso.


IX secolo. La pace di Aquisgrana (812)

I confini tra le sfere d’interesse dei due Imperi, Carolingio e Bizantino, furono definiti con la pace di Aquisgrana, conclusa nell’812. Il litorale venne restituito a Bisanzio, compresi il ducato di Venezia e le diocesi della costa adriatica: Veglia/Krk, Ossero/Osor, Arbe/Rab, Zara/Zadar, Traù/ Trogir, Spalato/Split, Ragusa/Dubrovnik e Càttaro/Kotor, con tutte le isole. All’Impero Carolingio rimasero Roma, Ravenna, la Pentapoli, l’Italia Settentrionale e l’Istria, oltre le zone interne della Dalmazia, con alcuni sbocchi sul mare, dove allora comparve un «ducatus Chroatiae», evidentemente soggetto all’Impero Franco.


Dopo il 1000. Terra fluminis Sancti Viti

Nel tardo Medioevo, su quanto rimaneva dell’antica Tarsatica cominciò a essere edificato l’abitato di «Terra fluminis Sancti Viti» (indicato semplicemente anche come «Flumen»). Altre opere vennero costruite sulla sommità della collina, in località Tersatto. Nel 1028 (secolo XI) la diocesi di Pola ricevette in feudo dall’Imperatore Corrado II di Franconia (detto il Salico) tutta la parte meridionale dell’Istria, inclusa Flumen. Nel XII secolo questa città divenne feudo dei Signori di Duino. Tali nobili furono vassalli del Patriarcato di Aquileia e, in seguito, dei Duchi d’Austria.

La dipendenza dai Signori di Duino (molto influenti) garantì a Flumen un tempo di benessere, ma provocò anche tensioni di natura commerciale con il Senato Veneziano. Questi, nel 1291 arrivò a vietare l’esportazione di merci a Flumen.


1291. Le «sacre pietre» a Flumen e a Tersatto

Nel 1291 una nave proveniente dalla Terra Santa approdò a Flumen. Trasportava anche delle pietre che avevano un valore religioso. Costituivano infatti una parte in muratura (prospiciente un luogo di transito) della Casa ove abitò la Sacra Famiglia a Nazaret (la zona posteriore era inserita in una «Grotta»). Il carico venne custodito a Tersatto (maggio 1291-dicembre 1294). In seguito fu trasportato, forse per direttiva di Monsignor Salvo, Vescovo di Recanati, in zona picena nella notte tra il 9 e il 10 dicembre del 1294. Le «sacre pietre» furono posizionate alla fine su una modesta altura (il cosiddetto «Monte Prodo»), nel territorio di Recanati. Quella località avrebbe acquisito il nome di «Villa Laureti» e poi quello di «Villa Santa Maria de Laureto». Per alcuni secoli si indicò l’evento come una traslazione miracolosa avvenuta «per mano di angeli». In epoca moderna, indagini archeologiche (a Loreto e a Nazaret) e letterarie (scritti di più autori), hanno consentito di delineare un percorso storico. Il nucleo originario della «Casa» è costituito solo da tre pareti (esclusa quella a Est, verso l’altare). Di queste, solo una porzione è autentica, per un’altezza di circa tre metri (la sezione superiore è di materiale in laterizio locale), e per una lunghezza di 9,50 metri con riferimento ai due muri più lunghi, e di 4,05 metri relativamente al muro breve. È documentato, inoltre, che la più antica e forse unica porta originaria era collocata nel mezzo (o quasi) del muro Nord (nel XVI secolo l’architetto pisano Raniero Nerucci la chiuse e ne aprì un’altra).

Le «sacre pietre» vennero trasportate con i mezzi del tempo (nave) per proteggerle dalle criticità legate alla cacciata dei Crociati dalla Palestina nel 1291. Dopo quest’anno non si trova più citata la Casa dell’Annunciazione in documenti relativi a Nazaret. Quello che colpisce, specie nella ricerca archeologica, è il ritrovamento in «Santa Casa» di reperti significativi: monete, cinque croci di stoffa (da abiti di Crociati), resti di un uovo di struzzo, graffiti (almeno tre o quattro di questi sono identici a quelli trovati in mura di case di Nazaret). La medesima indagine ha constatato che il piccolo edificio non ha fondamenta proprie, e che venne posizionato su una pubblica strada.


Periodo 1369-1471

Nel 1369 Flumen/Fiume dovette subire un duro saccheggio a opera dell’esercito di Venezia. L’episodio si inserisce nella guerra in corso tra i Veneziani e i Duchi d’Austria. Dalla parte di quest’ultimi militava Ugo VI di Duino (detto Ugone), capitano di Trieste. Con la sua morte, avvenuta nel 1385, si estinse il Casato. Fiume divenne feudo dei signori d’Austria, i conti Walsee. Nel 1465 fu lasciata in eredità dai conti di Walsee all’Imperatore Federico III, e divenne possesso degli Asburgo. Dal 1471 al 1648 Fiume fece parte integrante del ducato di Carniola (terra ereditaria della Monarchia Asburgica).

Con riferimento al periodo considerato occorre ricordare che nel 1438 venne inaugurato a Fiume l’ospedale civico e, due anni più tardi, la prima farmacia.


Venezia. Le città delle Marche. Gli Uscocchi (1526)

Nel procedere del tempo Flumen/Fiume riuscì a migliorare l’interazione con Venezia, e con più località delle Marche. In questo modo si accentuò nella città l’elemento italiano. Quest’ultimo, sul piano delle professionalità, espresse contributi migliori rispetto a quelli slavi. La città fu così segnata in modo non debole da un carattere italiano. Nel 1508 Venezia, in guerra con l’Austria, occupò Gorizia, Istria e Fiume. Perse comunque tali possedimenti l’anno successivo per le conseguenze derivanti dalla sconfitta che le venne inflitta dalla Lega di Cambrai. In seguito Fiume dovette affrontare una realtà non semplice. Si trattò dell’arrivo di una nuova popolazione: gli Uscocchi. Quest’ultimi, avevano lasciato le zone interne dei Balcani per sfuggire all’avanzata dei Turchi (1526). Arrivati sulle coste del Mare Adriatico, si insediarono a Segna (Senj). Alla fine, decisero di dedicarsi alla pirateria (usufruendo anche di sovvenzioni austriache). La situazione si risolse con un Trattato (1617) che, grazie alla mediazione di Filippo III, pose fine a un conflitto più ampio che vide schierati in opposte fazioni la Repubblica di Venezia e il ramo austriaco della famiglia Asburgo. Con il Trattato di Madrid, l’Imperatore riuscì a liberare l’area prospiciente l’attuale golfo del Carnaro dalla presenza degli Uscocchi.


1530. Comune Libero di Fiume. I Gesuiti

Nel 1530, l’Arciduca Ferdinando I d’Austria emanò uno statuto che assicurava a Fiume l’autonomia. L’atto costituì il Corpus Iuris del Comune Libero di Fiume. Era diviso in quattro parti: amministrazione politico-economica, procedura giudiziaria-civile, cause criminali, polizia. In seguito, Fiume ebbe il privilegio di rendere omaggio al Sovrano in modo separato, al contrario delle altre città che erano aggregate alla provincia. Il 1530 è un anno significativo anche per un altro fatto: il prelato Monsignor Simon Benja Kozicich fondò la prima tipografia in caratteri glagolitici. Tale avvenimento attesta la presenza culturale croata.

Nell’ottobre del 1627 giunsero a Fiume il Padre Gesuita Lorenzo Grisogono, che prese possesso della chiesa di San Rocco, e alcuni insegnanti. Il 23 novembre dello stesso anno, il Comune inaugurò il Ginnasio, che si sviluppò rapidamente, accogliendo studenti dell’Istria e della Dalmazia. Nelle classi superiori, come in tutti i ginnasi diretti dai Gesuiti, la lingua principale era quella latina; invece nei corsi inferiori era quella italiana. L’iniziativa servì a fronteggiare la diffusione del protestantesimo, e a promuovere progetti educativi a favore dei giovani. Nel 1629 venne inaugurato il teatro dei Gesuiti. Fu il predecessore dei teatri professionali.


1638. La nuova chiesa di San Vito

Nel 1638 venne posata la prima pietra per costruire la nuova chiesa di San Vito sulle macerie di quella antica (edificata nel 1296). L’ideatore del progetto fu l’Ordine dei Gesuiti. Da tale evento ebbe inizio una particolare devozione al «Crocifisso di San Vito», secondo le memorie del rettore, il Padre Gesuita Martino Bauzer. La costruzione del sacro edificio si protrasse per quasi cento anni, fino al 1727, con la realizzazione della cupola su progetto dell’architetto Bernardino Martinuzzi, sul modello della chiesa veneziana di Santa Maria della Salute, e la realizzazione di un basso campanile.

Cattedrale di San Vito

La cattedrale di San Vito a Fiume (Croazia)

1719. I benefici concessi a Fiume da Carlo VI

Con atto del 18 marzo 1719, Fiume ottenne da Carlo VI d’Asburgo (padre di Maria Teresa) il porto franco, il tribunale cambiario e mercantile, il lazzaretto e la strada Carolina. Quest’ultima, consentiva di avvicinarsi al retroterra del bacino danubiano.

In particolare, con riferimento al porto franco, Carlo VI volle specificare quanto segue:

«1. Ogni trafficante, capitano di nave, patrono, ed altri siffatti possono entrare liberamente, senza impedimento, senza oneri, nei porti franchi, ed uscirne; comperare e vendere merci ed effetti, caricare e scaricare tanto personalmente che mediante agenti e fattori, come meglio e più comodo sembrerà loro; senza che per la loro stata, per l’arrivo o per la partenza abbiano a pagare qualcosa ai nostri officiali a titoli di protezione, e pel così detto Regale, e per altro titolo, qualunque nome possa avere; né dovranno pagare per titolo di introduzione (eccettuata la solita gabella tollerabile moderata secondo tariffa) più che mezzo per cento di Consolato, e di così detta gabella di Ammiragliato delle merci ed effetti venduti o permutati, e questo secondo stima che ne farà il Presidente del Consolato, od i consigliere del Tribunale Cambiario, in concorso di una persona di quella nazione alla quale appartiene la nave giunta, e sulla proposizione della vendita o della permuta effettiva, per modo che il non venduto e non permutato, possa esportarsi senza alcun aggravio.

2. Le navi stazionate in ambedue i suddetti porti franchi, e le navi che viaggeranno sotto nostra bandiera e con nostra patente, godranno della protezione e sicurezza imperiale e principesca assicurate colle anteriori patenti, contro ogni attentato, per modo che tratteremo la nave che esercitasse forza o si arroga giurisdizione, il capitano, il patrono, i marinai, siccome pirati, perseguiteremo a terrore i loro complici, celanti e fautori, li piglieremo insieme a tutte le loro navi e merci, e tutte le loro navi e merci predate e condotte in altri porti, per essere restituite queste alla parte danneggiata, e procureremo a questa indennità o ad altra conveniente soddisfazione.

3. Affinché ogni trafficante e negoziante nei suddetti porti franchi possa trovare la migliore sua convenienza in un modo o nell’altro, permettiamo ad essi negozianti tanto indigeni che stranieri di depositare le loro merci scaricate negli empori camerali esistenti o futuri di Trieste e di Fiume, verso corresponsione di proporzionato affitto, e di lasciarli depositati nove mesi, e se nel frattempo gli empori si empissero di merci, di collocarle e depositarle in casa ivi prossima, ovvero in emporio privato, sotto due chiavi, una delle quali starà in mano del Console ivi residente, l’altra in mano del proprietario delle merci; e né il Console, né il proprietario prima dello scorrere dei nove mesi saranno tenuti a pagare gabella qualsiasi delle merci depositate.

A tale oggetto vogliamo e clementissimamente permettiamo che siffatte merci vengano tassate dal Console o da un Consigliere del Tribunale Cambiario aggiuntivi negozianti, cioè il proprietario delle merci, ed altro della stessa nazione, ed in altro modo non sieno tassate le merci. E sarà del pari loro libero nei nostri stati di comperare le merci al prezzo più basso che potranno, e di rivenderle ad altri negozianti esteri al prezzo più alto che sarà possibile, di introdurne secondo la disposizione di chi traffica, di venderle comodamente là da dove la nave ricaricata di altre merci vuole partire, o dove al patrone di nave si presenta occasione di navigare più oltre, ed il venditore non trova pronto il compratore; ma che peraltro sia sempre provveduto del necessario danaro».

Con tale provvedimento di Carlo VI vennero poste le basi per una nuova prosperità economica della città. In tempi successivi, Fiume riuscì a svincolarsi dalla Dieta della Carniola (alla quale era stata unita) e ottenne la diretta dipendenza dalla Casa d’Austria.


1779. Fiume diventa un «Corpus separatum»

Il 19 aprile del 1713 Carlo VI emanò una Prammatica sanzione (costituzione imperiale) per assicurare alla figlia Maria Teresa la successione al trono. In tale contesto, il comune di Fiume (e le altre istituzioni dell’Impero) fu invitato ad approvare la nuova legge di successione.

Nel 1722 furono istituiti nel Collegio Fiumano dei Gesuiti anche l’insegnamento della filosofia e della teologia. Il Collegio divenne Accademia.

Nel 1748 Maria Teresa istituì la Provincia del Litorale. Fiume ne fu esclusa e assegnata invece al Regno di Croazia, dipendente dall’Ungheria. Ne derivò un duro confronto tra Fiumani e Croati. La criticità ebbe termine nel 1779 quando l’Imperatrice aggregò il comune di Fiume all’Ungheria. In tale occasione volle rispettare l’autonomia di Fiume, dichiarandola «Separatum Sacrae Regni Coronae adnexum corpus». La città costituì in tal modo un’isola linguistica italiana in cui la proporzione etnica evidenziava una prevalenza di popolazione di lingua italiana come la città di Zara in Dalmazia.

Il 21 luglio del 1773, il Papa Clemente XIV soppresse la Compagnia di Gesù. Ai Gesuiti non fu quindi possibile proseguire nell’attività di insegnamento nel Ginnasio Fiumano. La criticità venne superata con la fondazione di un’analoga istituzione scolastica, anche se non apertamente gesuitica.

Con atto del 14 luglio 1775 fu poi stabilito di dividere il territorio della diocesi di Fiume in due parti: una zona veneta con il Vescovo residente in Pola, e un’area austriaca con un Arcidiacono residente in Fiume. In questo nuovo assetto, l’Arcidiacono di Fiume mantenne un ruolo chiave. Poteva svolgere funzioni vescovili. La sua giurisdizione si estendeva su sedici parrocchie.

Nel 1780 circa venne istituita a Fiume anche la cattedra di Studio Matematico-Nautico, a opera dell’insegnante Francesco Saverio Orlando (già membro della Compagnia di Gesù). Sul versante dell’economia fiumana occorre ricordare che nel 1754 iniziò a operare in città una raffineria di zucchero.


1811. Governatorato delle Province Illiriche

Nel 1811 Fiume entrò a far parte del «Gouvernement des Provinces Illyriennes» («Governatorato delle Province Illiriche»). Queste nuove amministrazioni furono istituite da Napoleone Bonaparte. Includevano Carniola, Carinzia, Croazia e Dalmazia. Il Governo (civile e militare), con sede a Lubiana, venne affidato al Maresciallo Auguste Marmont. Questi diede inizio a estesi lavori pubblici. Nel 1820, la municipalità di Fiume, per evitare continue spese di pulitura del letto della Fiumara, i cui depositi di sabbia e di ciottoli impedivano l’uso del porto, ebbe idea di scavare un canale per deviare la Fiumara. In tal modo, l’antico letto, nel quale far entrare il mare, poteva essere utilizzato come porto. Il lavoro fu realizzato nel 1855. Comunque, gran parte dei traffici era stata spostata a Trieste. Sempre con riferimento ad aspetti dell’economia locale, occorre ricordare che nel 1821 cominciò a operare a Fiume una cartiera.


1822 e anni successivi. La memoria storica. Kobler

Nel 1822 Fiume ritornò all’Ungheria. Nei primi anni dopo il 1840, durante il governatorato di Paolo Kiss, i Fiumani avvertirono la necessità di non disperdere le diverse memorie che riguardavano il proprio territorio. Tale esigenza era anche legata a un fatto: si voleva contrapporre l’identità fiumana di «Corpo isolato» della Corona Ungarica alla politica degli Stati Croati-Slavoni. Questi ultimi erano intenzionati a inserire Fiume nel Regno di Croazia. Il lavoro di raccolta delle memorie e la stesura di un’opera unitaria furono realizzate da un avvocato fiumano: Giovanni Kobler. Quest’ultimo, studioso di storia patria, volle documentarsi presso gli archivi di Trieste, Gorizia, Lubiana, Graz e Venezia. La sua opera venne pubblicata nel 1896. La notevole erudizione del Kobler – che tiene conto dell’epigrafia, della storia dell’arte, dell’analisi dei costumi, dell’etnografia, dell’araldica e della toponomastica – rende le Memorie un «unicum» non facilmente ripetibile.


1848 e anni successivi. Criticità con i Croati

I fatti del 1848-1849, la nascita del Regno d’Italia (1861), la Terza Guerra d’Indipendenza, la mutata politica di Vienna verso le diverse nazionalità, furono alcuni dei fattori che contribuirono a creare tensioni tra le etnie italiane, croate e slovene, in precedenza vissute in un clima di tranquilla convivenza. In particolare, nel 1848, durante la Rivoluzione Ungherese, Fiume fu occupata militarmente dai Croati fedeli all’Imperatore. Questi ultimi, per un ventennio, attuarono una politica che negò varie libertà. La cronaca del tempo segnala vicende di violenze, soprusi, imposizione della lingua croata. Per tale motivo, il Consiglio Comunale Fiumano (eletto nel 1861) decise di non partecipare ai lavori della Dieta Croata (Assemblea), né di inviare deputati presso tale organismo. Il Governo Croato, per togliere potere al Consiglio, ricorse allora a un voto popolare. Chiese di indicare i nominativi dei deputati da inviare a Zagabria. Votarono 870 elettori (1.222 erano gli iscritti nelle liste). Di questi, 840 votarono: «Nessuno».


1867. Il ritorno all’Ungheria

Nel 1867 «la città di Fiume e dintorni» (in tedesco: «Stadt Fiume mit Gebiet») poté nuovamente ritornare all’Ungheria. Questo Paese le riconobbe un’autonomia. Ciò comportò anche l’uso della lingua italiana. In virtù delle sue specificità storiche, linguistiche e territoriali, la città godette di un proprio «Landtag», il consiglio regionale chiamato «Dieta di Fiume». Essendo l’unico porto magiaro, la città svolse un ruolo strategico chiave, il numero degli abitanti aumentò, e migliorò il benessere economico. Nel 1873 si realizzò inoltre un collegamento di Fiume alle ferrovie austriache e ungheresi. La situazione descritta, però, registrò in seguito dei mutamenti. Il nazionalismo ungherese si trasformò da liberale a qualcosa di più etnico ed esclusivistico. Il nuovo orientamento cercò di indebolire i caratteri di autonomia e di italianità di Fiume.


La nuova politica magiara

La politica magiara arrivò alla fine a contrastare in modo più deciso l’autonomia politico-amministrativa di Fiume. Il Governo Centrale si era reso conto che la presenza ungherese a Fiume, a parte alcune eccezioni (per esempio, i Farkas), non si era mai trasformata in una forte comunità. Il disegno strategico fu allora quello di trasformare la fisionomia nazionale della città con l’invio di propri funzionari, professionisti, commercianti, industriali per controllare l’economia locale. In tal modo, il Governo Magiaro volle intervenire su aspetti-chiave quali ad esempio l’amministrazione civile e il sistema scolastico. A ciò si aggiunsero imposizioni del potere centrale. Ne derivò un moto resistenziale, guidato dal Consiglio Comunale Cittadino. In tale contesto si destrutturò l’antico rapporto amicale, mentre mosse i primi passi l’irredentismo italiano (volontà politica separatistica). Nei Fiumani rimase una convinzione: se non difendevano i privilegi costituzionali, avrebbero perso le proprie libertà nazionali.


Gli autonomisti. Le elezioni del 1897

Nel 1896 venne fondato a Fiume un partito autonomista locale. Venne denominato «Associazione Autonoma» o «Partito Autonomo Fiumano». Tale organismo, fondato dall’avvocato Michele Maylender, trovò sostegno da parte di diversi politici. Tra questi si possono ricordare Riccardo Zanella, Mario Blasich, Giuseppe Sincich e Nevio Skull.

Nel 1897 il Partito Autonomo ottenne una significativa vittoria nelle elezioni. Divenne così podestà Maylender.

Michele Maylender

L’Avvocato Michele Maylender a Fiume (Croazia)

Quest’ultimo respinse le leggi che il Governo Centrale aveva applicato anche a Fiume per aperta irregolarità (per esempio, il tentativo nel 1898 d’imporre in città l’ordinamento scolastico ungherese). Per entrare in vigore, ogni norma doveva essere accettata dal Consiglio Comunale. Il Governo Centrale rifiutò. Maylender si dimise con il Consiglio Comunale.

Rieletto l’anno seguente, questo politico rifiutò di prestare giuramento fino a quando una serie di leggi ingiuste non fossero state abrogate. La dinamica dimissioni/nuove elezioni/mancato giuramento si ripeté in cinque occasioni. Alla fine, il Governo Centrale nominò un commissario regio. Tale situazione, incostituzionale, si sbloccò con una nuova decisione ungherese. A Fiume, per la sua peculiarità, venne riconosciuto il diritto di esprimere il proprio parere sulle leggi governative.

Nel 1907, adducendo a motivo il fatto che Fiume era una città di confine, e che nel regno la polizia politica di confine era esercitata dagli organi governativi, il Governo decise di introdurre la polizia confinaria. Tale manovra venne utilizzata per sostituire la polizia comunale (italiana). Da qui, l’opposizione del Consiglio Comunale. Seguì lo scioglimento di questo organismo, con momenti di tensione tra la popolazione e la nuova polizia.

Il confronto si estese anche in ambito culturale. Le iniziative coinvolsero le scuole e le società culturali. In contrapposizione a quelle ungheresi, il Comune istituì scuole italiane, con insegnanti italiani. Il centro promotore delle iniziative a favore dell’italianità fu la sede della Società Filarmonico-Drammatica (sorta nel 1872). Qui, artisti italiani tenevano concerti, conferenze, rappresentazioni teatrali. Nel 1893 venne fondato il Circolo Letterario che organizzò biblioteche popolari e conferenze con letterati e poeti italiani.


Risoluzione di Fiume (1905). Riccardo Zanella. Giovine Fiume

Nei primi anni del secolo XX più fatti impressero ulteriori orientamenti. Secondo il censimento del 1900, Fiume era popolata da 38.955 abitanti, di cui 26.564 erano di lingua italiana. Il 4 ottobre del 1905 venne approvata la cosiddetta «Risoluzione di Fiume». Con tale iniziativa si cercò di attivare una collaborazione dei Croati e dei Serbi con gli Ungheresi contro il centralismo di Vienna. Tra i promotori dell’evento ci fu il Croato Ante Trumbić. Questo politico svolse un ruolo importante nel processo che portò alla fondazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, divenuto in seguito Regno di Jugoslavia.

Nel frattempo, il Partito Autonomo Fiumano ricevette significativi apporti grazie anche all’azione di Riccardo Zanella. Quest’ultimo difese l’economia locale e l’italianità di Fiume. Rimanendo in un contesto costituzionale, e manifestando fiducia verso le istituzioni ungheresi, protesse gli statuti cittadini così da affrontare su base giuridica le criticità del momento.

Nello stesso periodo, si diffondevano nuove correnti di pensiero centrate su posizioni irredentiste. I vari esponenti seguivano con interesse le posizioni espresse dal letterato Giosuè Carducci e quelle di Gabriele D’Annunzio.

In Italia quanto avveniva a Fiume rimaneva parzialmente noto. Per questo motivo i Fiumani decisero di rendere note le proprie vicende utilizzando anche la stampa italiana. Al riguardo si rivelò utile il periodico «La Voce» (Firenze). In tale contesto, mentre da una parte si muoveva il Partito Autonomo, dall’altra (e con diverso programma) era attivo il movimento della «Giovine Fiume». Questo nuovo organismo intendeva attuare in città quello che Giuseppe Mazzini aveva realizzato per l’Italia. Il 27 agosto 1905, Luigi Cussar, Marco de Santi e Gino Sirola costituirono con alcuni amici tale associazione. Sul piano ufficiale erano seguite finalità sportive e culturali, di fatto si operò per favorire un’educazione politica e una propaganda italiana. Strumento di impegno politico fu anche il giornale «La Giovine Fiume». Di fronte a tale iniziativa il Governo Ungherese reagì sciogliendo l’associazione (accusa di alto tradimento).


1908. Invenzione della tintura di iodio

Nel 1908, il primario dell’ospedale «Santo Spirito» di Fiume, dottor Antonio Grossich, introdusse l’uso della tintura di iodio nella disinfezione del campo operatorio. Questo prodotto, dal caratteristico colore rosso, venne utilizzato per la prima volta nel 1911-1912 durante la guerra italo-turca. Il metodo di applicare la tintura per sterilizzare il campo operatorio una decina di minuti prima dell’intervento, e poi ancora dopo l’anestesia e alla conclusione (dopo i punti di sutura), contribuì a salvare molte vite durante la Prima Guerra Mondiale. In quegli anni i decessi avvenivano soprattutto per l’infezione delle ferite provocate dalle schegge di granata: tetano, setticemia, cancrena. Si tenga pure conto del fatto che non esistevano ancora gli antibiotici, e che l’igiene nelle trincee e negli ospedali da campo era molto scarsa. Anche se il suo prodotto aveva ottenuto risultati notevoli in fase di sperimentazione, Grossich incontrò all’inizio scarsi sostegni. Solo il 31 ottobre del 1908 questo primario vide pubblicato un suo articolo sullo «Zentralblatt für Chirurgie». L’anno successivo poté descrivere di persona la propria scoperta al congresso medico internazionale di Budapest. L’applicazione su larga scala del metodo nel corso della guerra di Libia dimostrò nuovamente l’efficacia della tintura di iodio.

Fiume vista dall'altra sponda dell'Eneo

Fiume vista dall'altra sponda dell'Eneo (da Sussak), epoca dell'Austria-Ungheria (1913)

1908 e anni successivi. La situazione dell’irredentismo fiumano

In Italia l’irredentismo fiumano venne inizialmente avvertito in modo più tenue rispetto all’attenzione rivolta alle vicende di Trieste e di Trento. Ciò fu causato forse dal fatto che Fiume apparteneva all’Ungheria, ritenuta da alcuni più liberale e più vicina all’Italia, al contrario dell’Austria. Comunque, le criticità presenti a Fiume divennero una cronaca che si diffuse in Italia. Il ruolo della stampa fu essenziale.

Nel 1908, i soci della «Giovine Fiume» si recarono a Ravenna in pellegrinaggio alla tomba di Dante. In tale occasione, Firenze offrì una lampada votiva, le province irredente dell’Austria consegnarono un’ampolla, e Fiume donò una corona d’argento. I Romagnoli accolsero con calore i giovani fiumani. Vi furono anche fischi diretti all’Austria e al suo Imperatore. Nel 1911 la «Giovine Fiume» organizzò un altro pellegrinaggio, senza le altre componenti giuliane. Anche in tale occasione l’accoglienza si rivelò molto positiva.

Nel 1909 Giovanni Pascoli scrisse sul «Resto del Carlino» (Bologna) un necrologio molto lungo rivolto a un Fiumano suicida: Amedeo Hornig. In questo giovane riconobbe un esponente significativo dell’irredentismo fiumano. Unitamente a ciò il poeta criticò l’indifferenza degli Italiani verso la situazione di Fiume, e dichiarò il proprio amore per questa città.

Nel frattempo, Scipio Slataper, attraverso «La Voce» (Firenze), proponeva un irredentismo culturale. Riteneva inutili i discorsi e i dibattiti del tempo. Nel 1910 commentò duramente la soppressione del giornale «La Giovine Fiume» a opera del Governo Magiaro.

Con tale posizione si allineò anche una pedagogista fiumana: Gemma Harasim. Questa fu l’autrice del volume Lettere da Fiume (analoghe a quelle scritte da Slataper da Trieste). Tale pubblicazione contribuì a informare sulle criticità presenti a Fiume, superando ristretti gruppi culturali e politici.

Gemma Harasim

La pedagogista fiumana Gemma Harasim

In tale contesto, a Budapest, l’Onorevole Zanella cercò di convincere gli studenti fiumani a non illudersi su interventi del Governo Italiano a favore di Fiume. I suoi interlocutori proseguirono invece la loro politica negli incontri presso il loro caffè (chiamato «Fiume») e nei cori stradali (inni di Garibaldi e di Mameli).

Nel 1910, il giovane Enrico Burich aderì a un invito di Giuseppe Prezzolini. Occorreva preparare un breve resoconto per «La Voce». Lo scritto ebbe il titolo: Studenti fiumani a Budapest. Nel testo si descrivevano le condizioni di vita degli studenti fiumani in quella capitale. Erano isolati, condizionati da una cultura a loro estranea, più sfortunati degli studenti triestini, trentini e dalmati a Vienna e a Graz. Quest’ultimi, più numerosi, erano riusciti a costituire un nucleo resistente, e potevano anche chiedere l’istituzione di una Università a Trieste. In quel periodo, venne più volte negato a Burich, per le sue idee politiche, l’accesso al tirocinio al ginnasio ungherese di Fiume (necessario per ottenere il diploma di professore). Egli continuava intanto a mandare articoli a Prezzolini. Nell’agosto del 1913 apparve su «La Voce» un suo articolo dal titolo: La tragedia dell’italianità di Fiume.

Con l’istituzione della polizia di confine, cessò l’autonomia di Fiume e la vita cittadina venne orientata verso una cultura magiara. I Fiumani reagirono, ma le manifestazioni furono represse con la forza. Il giornale «La Voce del Popolo» subì il sequestro. Burich dovette lasciare Fiume. Alla fine riuscì a trovare un incarico di insegnamento in Sicilia.

Nel 1913, a Fiume, una bomba venne gettata sotto una finestra del palazzo del Governatore. Seguì una pubblicazione-denuncia (1914): Il calvario di una città italiana. Nel testo si spingeva Roma a occuparsi di Fiume. Nel marzo del 1914 scoppiò un’altra bomba davanti al palazzo del Governatore. In questo contesto, Riccardo Gigante ebbe il coraggio di accusare il Governatore, in un numero unico intitolato La Bomba, di aver organizzato l’attentato contro se stesso.

Pubblicò anche le dichiarazioni di un confidente della polizia. L’articolo di Gigante ebbe un riflesso su altri quotidiani («Corriere della Sera», «Il Giornale d’Italia», il «Secolo» di Milano). Le proteste dei giornali italiani vennero poi ristampate a Fiume dal periodico «La Bilancia», nuovo organo di stampa della «Giovine Fiume».


1914. Uccisione dell’Arciduca Francesco Ferdinando

Il 28 giugno ‎del 1914 venne ucciso a Sarajevo l’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico. L’episodio fu alla base dello scoppio del Primo Conflitto Mondiale (28 luglio 1914). In quel momento la vita di Fiume era condizionata dalla politica del conte Stefano Tisza. Questo politico spingeva verso processi di snazionalizzazione. I Fiumani che ricoprivano cariche pubbliche furono trasferiti in territorio ungherese. E sostituiti con fiduciari del Governo Centrale. Nelle scuole venne introdotta la lingua ungherese. In periodo elettorale furono esercitate accentuate pressioni sui votanti. In tale contesto, i Fiumani auspicavano una sconfitta degli Imperi Centrali.


1914. La posizione degli irredentisti

Nello stesso periodo rimaneva viva tra gli irredentisti la questione del confine orientale. Tale fatto lo si individua anche da una lettera pubblicata sul «Giornale d’Italia» (26 settembre 1914). Scritta da Flaminio E. Spinelli (Icilio Baccich) aveva per titolo: A Fiume? Aggiungasi pure un articolo inserito nel periodico «Ordine» (di Ancona). L’autore prevedeva comunque notevoli difficoltà per Fiume (la Russia voleva uno sbocco al mare; l’Adriatico era una questione complessa perché quella parte orientale, pur abitata da Italiani, risultava troppo necessaria agli interessi economici dei Paesi dell’interno). In tale fase storica alcuni Italiani (per esempio, Eugenio Vajna) valutavano in positivo una cessione di Fiume. Altri, erano in disaccordo (ad esempio, Riccardo Burich). La questione fiumana divenne un tema diffuso. Anche Cesare Battisti, deputato socialista di Trento, prese posizione a favore dei diritti della popolazione fiumana. Scrisse (10 dicembre 1914) al riguardo un articolo sul «Secolo» dal titolo: Fiume. Sottotitoli: Il calvario di una città. La politica dei magnati ungheresi. I traffici di Fiume. Interessi economici e militari. Trieste e Fiume. Anche lo scrittore Prezzolini si schierò a favore dell’italianità di Fiume.

A questo punto, il Governatore della città, considerati i fermenti in corso, pretese dai cittadini una dichiarazione di lealtà all’Ungheria. I Fiumani si opposero, mentre la stampa italiana insisteva per un’annessione di Fiume all’Italia.


1915. Il periodo bellico

Il 16 aprile 1915 venne firmato a Londra un «Patto» con il quale si stabilivano le condizioni per l’intervento dell’Italia nel Conflitto Mondiale, a fianco delle potenze dell’Intesa. In questo documento, l’articolo IV assegnava Fiume alla Croazia. L’Italia entrò in guerra il 24 maggio 1915. Alcuni abitanti di Fiume, sfuggendo ai controlli, riuscirono ad arruolarsi nell’esercito italiano. Tra questi, si ricordano Mario Angheben, Ipparco Baccich, Giovanni Dario, Vittorio De Marco, Annibale Noferi. Morirono tutti sui campi di battaglia.

Negli anni bellici, gli Ungheresi accentuarono ulteriormente il proprio nazionalismo (elemento di coesione). Da qui una linea dura con i Fiumani. Di questi, alcuni subirono l’internamento. La Rappresentanza Municipale venne sostituita. Furono cancellati i nomi di emeriti italiani dalla vie. Nelle scuole e negli uffici pubblici divennero obbligatorie le decisioni amministrative dello Stato Magiaro. La Polizia di Stato adottò metodi repressivi. Le libertà personali furono umiliate.

Tale situazione ebbe l’effetto di cancellare ogni illusione. Persero vigore le tesi di chi pensava di poter contare sull’aiuto degli Ungheresi per respingere le politiche croate. Gli irredentisti, da parte loro, speravano in una futura riunificazione con l’Italia. Tale linea era sostenuta da società che, malgrado il carattere italiano, erano riuscite a sfuggire allo scioglimento: la «Canottieri Eneo», e la «Filarmonico-Drammatica».

Durante le operazioni militari del conflitto avvenute nei pressi di Fiume, si attuò la cosiddetta «Beffa di Buccari». Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio del 1918 una flottiglia della Regia Marina su MAS effettuò un’incursione contro il naviglio austro-ungarico a Buccari (Bakar). Gli effetti dell’azione furono limitati (un solo piroscafo austriaco danneggiato). L’episodio ebbe però il merito di risollevare il morale degli Italiani dopo il recente sfondamento del fronte avvenuto a Caporetto.

Con la battaglia di Vittorio Veneto (dal 24 ottobre al 3 novembre 1918) si arrivò all’epilogo del Conflitto Mondiale. A Fiume le criticità locali rimasero non risolte. La città venne esclusa dalle rivendicazioni italiane (Patto di Londra).


1918. I mutamenti del dopoguerra

Alla fine della Prima Guerra Mondiale si costituì, dalla dissoluzione dell’Impero Asburgico e di quello Ottomano, il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. La nuova entità politica incluse nel suo territorio popolazioni diverse per etnia, religione e costumi. Tale situazione causò contrasti anche accesi tra i Serbi (ortodossi), i Croati e gli Sloveni (cattolici) e i Bosgnacchi (musulmani). Quest’ultimi, derivano dalle popolazioni balcaniche che si convertirono all’Islam durante il periodo ottomano.


1918-1919. La situazione a Fiume

Il 29 ottobre del 1918, il Governatore Magiaro Zoltán Jekelfalussy abbandonò la città e l’amministrazione ungherese cessò di esistere. Jekelfalussy consegnò pieni poteri al podestà Antonio Vio, con l’intesa di trasmetterli in seguito al Comitato Cittadino di Fiume-Sušak (dipendente dal Consiglio Nazionale Sloveno-Croato-Serbo di Zagabria). Nelle ore successive, il Consiglio Nazionale Croato prese possesso della capitaneria di porto, della posta, delle ferrovie e del palazzo governativo.

I Fiumani, da parte loro, costituirono un Consiglio Nazionale Italiano di Fiume (ottobre 1918). A presiedere fu il medico Antonio Grossich. Nel frattempo, l’industriale Andrea Ossoinack, deputato di Fiume al Parlamento di Budapest, protestò (seduta del 18 ottobre 1918) contro l’assegnazione della sua città alla Croazia. Alla propria terra natia rivendicò il diritto di decidere sullo status politico (principio dell’auto-determinazione). Il 30 ottobre 1918 il Consiglio Nazionale, senza tener conto del Governatore Croato, proclamò l’annessione di Fiume all’Italia.

Ebbe inizio un periodo critico. Il 31 ottobre il «Bano» («Governatore») della Croazia nominò l’avvocato Rikard Lenac amministratore della città e del suo distretto. Fiume stava per diventare croata.

Sul piano militare, dopo una breve occupazione serba, arrivarono a Fiume truppe italiane. Facevano parte di una forza internazionale anglo-franco-statunitense. Il 4 novembre 1918 raggiunsero Fiume le prime navi italiane. Il 17 novembre presero posizione in città i granatieri del Generale Enrico Asinari di San Marzano. Quest’ultimo, sollevò il dottor Rikard Lenac dal suo incarico e assunse il potere. Nel frattempo il Governo Italiano chiese agli Alleati la revisione del Trattato di Londra per includere anche Fiume. Woodrow Wilson (USA) e Georges Clemenceau (Francia) risposero negativamente. La situazione divenne critica. Il Consiglio Nazionale Fiumano, con l’intento di spingere sul Governo Italiano, affidò pieni poteri al Generale Grazioli. Quest’ultimo, però, non fu in grado di accogliere l’offerta fiumana.

Nell’aprile del 1919 il politico Giovanni Host Venturi si attivò per formare una «Legione Fiumana». Tale formazione, composta da volontari, doveva servire per difendere la città dal contingente francese di occupazione (ritenuto filo-jugoslavo). La criticità nasceva da un fatto. La maggior parte del «Corpus separatum» di Fiume era di madrelingua italiana. Malgrado ciò, gli Jugoslavi la ritenevano un proprio territorio. Sostenevano che l’area rurale prossima all’abitato era croata. Che l’origine di molti Fiumani (anche di lingua madre italiana) era croata. Che l’italianità di Fiume era solo il risultato dell’egemonia culturale ed economica degli Italiani. Unitamente a ciò, è da ricordare il fatto che il confine del «Corpus separatum» verso Est era delimitato dal fiume Egeo. La foce di quest’ultimo si trovava situata lungo l’antico porto cittadino. Il sobborgo adiacente, immediatamente oltre il ponte di Sussak, era a maggioranza croata. Nel luglio del 1919 si registrarono gravi scontri tra militari italiani e francesi. Fu coinvolta anche la popolazione locale. Nove soldati francesi rimasero uccisi. La successiva inchiesta di una commissione internazionale propose delle misure dure: scioglimento del Consiglio Nazionale Italiano, costituzione di una polizia locale comandata da un ufficiale inglese, e la destituzione del Generale Grazioli.

In tale contesto, emerse nell’ala irredentista dei Fiumani (il cui leader era Giovanni Host-Venturi) l’idea di chiedere a Gabriele D’Annunzio, principale sostenitore dell’annessione di Fiume all’Italia e da anni irredentista, di occupare militarmente la città.


1919. L’appello a D’Annunzio

La «questione di Fiume» era ormai un argomento diffuso in Italia. Specie negli ambienti dei reduci del Primo Conflitto Mondiale si era convinti che era necessario annettere questa città all’Italia. Tale dibattito si inseriva a sua volta in una tematica ancor più vasta, quella della cosiddetta «vittoria mutilata». L’espressione si riferiva alla mancata annessione di tutti i territori previsti dal Patto di Londra (il Trentino, il Tirolo Cisalpino, la Dalmazia Settentrionale), oltre al non rispetto di altre intese (il riassetto dell’Albania, la partecipazione alla spartizione dell’Impero Ottomano e alle ricompense coloniali). È utile conoscere tale contesto perché si possono meglio comprendere le motivazioni che spinsero i Fiumani a rivolgersi a D’Annunzio. In quell’ora critica, la figura di questo militare (congedatosi dall’esercito con il grado di tenente colonnello) era molto popolare. Si era distinto durante il recente Conflitto Mondiale, aveva ricevuto tre promozioni per meriti di guerra, era stato insignito di più medaglie al valore. Stava inoltre offrendo significativi contributi sul piano letterario.

Intanto, mentre si stava concretizzando l’intesa con D’Annunzio, il Governo Italiano decise di non opporsi al ritiro delle proprie formazioni militari da Fiume.


1919. L’impresa fiumana di D’Annunzio

Il 12 settembre del 1919, D’Annunzio, assumendo il ruolo di comandante, lasciò la località di Ronchi di Monfalcone per raggiungere Fiume. Lo seguirono alcune centinaia di granatieri, reparti di Arditi e un numero non debole di volontari (Legione Fiumana). Verso le ore 12, le formazioni arrivarono a Fiume. L’accoglienza fu calorosa. Pochi giorni dopo, gli Alleati lasciarono la città.


1920. La Reggenza. La Carta del Carnaro

D’Annunzio, occupata la città, chiese l’annessione all’Italia. Il Governo Italiano rifiutò. A questo punto il «comandante» decise di proclamare (8 settembre 1920) la Reggenza Italiana del Carnaro. La decisione venne adottata per impedire a Roma di intraprendere nuove iniziative diplomatiche. Furono promosse nel frattempo diverse iniziative socio-politiche. Si ricorda, in particolare, la Carta del Carnaro (8 settembre 1920). Questo documento, redatto dal socialista Alceste de Ambris, conteneva diverse affermazioni-chiave:

– Fiume era una città-Stato fondata sul lavoro. Diritto al lavoro correttamente retribuito, pensione di vecchiaia per tutti, l’«habeas corpus», risarcimento dei danni per abuso di potere;

– organizzazione della comunità civica in sette corporazioni;

– valore della proprietà privata, questa doveva avere una funzione sociale;

– parità di diritti senza distinzione di sesso, razza, lingua, classe o religione; i cittadini potevano votare a vent’anni.

In attesa dell’annessione all’Italia, il piccolo Stato Fiumano doveva avere una Camera dei Rappresentanti, composta da almeno 30 deputati, un Consiglio Economico formato da membri delle sette corporazioni, un Esecutivo simile a quello della Confederazione Elvetica, una Corte Suprema per deliberare sui conflitti istituzionali e sulla correttezza costituzionale delle leggi. Con il diritto di voto nelle elezioni politiche, i cittadini di Fiume avrebbero avuto anche quello di promuovere referendum e di revocare le cariche pubbliche.

Gabriele D’Annunzio a Fiume

Gabriele D’Annunzio (con il cappello da Ardito), a Fiume con due ufficiali, 1920

Alcuni di questi principi saranno riaffermati nella Costituzione Italiana del 1948. Sulla Carta del Carnaro si è sviluppato tra gli storici un dibattito ove sono emerse valutazioni tra loro difformi. Rimane il fatto che tale documento presentò aspetti peculiari. Tra questi: il principio del decentramento dei poteri, la democrazia diretta, il suffragio universale, l’istruzione gratuita, la tutela della libertà di espressione e di stampa, il riconoscimento del divorzio, l’abolizione dell’esercito in tempo di pace.


I rapporti con la Russia

Il politico russo Lenin (pseudonimo di Vladimir Il’ič Ul’janov) sostenne la Reggenza del Carnaro. Quest’ultima fu la prima autorità governativa a riconoscere l’Unione Sovietica. In tale contesto può essere utile ricordare che D’Annunzio, in occasione di un’intervista pubblicata nella rivista anarchica «Umanità Nova» (1920), affermò quanto segue: «Io io sono per il comunismo senza dittatura […]. Nessuna meraviglia, poiché tutta la mia cultura è anarchica, e poiché in me è radicata la convinzione che, dopo quest’ultima guerra, la storia scioglierà un novello volo verso un audacissimo progresso […]. È mia intenzione di fare di questa città un’isola spirituale dalla quale possa irradiare un’azione, eminentemente comunista, verso tutte le nazioni oppresse».


1920. Trattato di Rapallo. Stato Libero di Fiume

In tale contesto, mentre a Fiume si andava organizzando la vita cittadina, il Presidente del Consiglio Italiano Giovanni Giolitti (insediatosi al Governo il 15 aprile 1920) e il Ministro degli Esteri conte Carlo Sforza (diplomatico di carriera), si attivarono per normalizzare i rapporti tra l’Italia e il Governo Jugoslavo. Questi si erano interrotti a seguito dell’iniziativa militare di D’Annunzio. I rappresentanti dei due Paesi decisero di incontrarsi in territorio italiano. La prima riunione si svolse il 7 novembre 1920 a Villa Spinola, presso Rapallo. Le trattative durarono pochi giorni. Il 12 novembre 1920 fu sottoscritto l’accordo tra l’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Le parti riconobbero consensualmente Fiume come Stato libero e indipendente nella forma di una città-stato (lo «Stato Libero di Fiume»). I confini vennero fissati allo spartiacque delle Alpi Giulie, con la contestuale rinuncia da parte dell’Italia alla Dalmazia Settentrionale (promessa dal Patto di Londra e nel frattempo occupata), salvo l’enclave dalmata di Zara e l’isola di Lagosta, che vennero annesse all’Italia.

In base all’articolo IV del Trattato di Rapallo, lo Stato Libero di Fiume aveva per territorio il cosiddetto «Corpus separatum», «delimitato dai confini della città e del distretto di Fiume», e una striscia costiera che gli avrebbe garantito anche il confine con il Regno d’Italia. Le parti si accordarono, inoltre, per costituire un Consorzio Italo-Slavo-Fiumano per la gestione del porto della città adriatica. Unitamente a ciò, al Regno d’Italia vennero annesse Gorizia, Trieste, Pola e Zara.


1920. Dopo il Trattato di Rapallo

Gabriele D’Annunzio, unitamente ai suoi seguaci, respinse gli accordi contenuti nel Trattato di Rapallo. Non volle lasciare Fiume. Si nominò Governatore della città. Quest’ultima, comunque, dovette nel frattempo affrontare anche un periodo di relativo isolamento. Tale fatto comportò ricadute non favorevoli sull’economia. Intanto, il Governo Italiano decise di agire. Fu trasmesso a D’Annunzio un «ultimatum» (con scadenza 24 dicembre 1920), pena l’intervento dell’esercito. Il «comandante» (Governatore) di Fiume ritenne tale messaggio di limitata importanza. Roma, si pensava, non avrebbe mai attaccato una città italiana. Il 24 dicembre, alle 18, dalla corazzata Andrea Doria fu sparato il primo colpo di cannone. La stessa residenza fiumana di D’Annunzio venne colpita. Seguì l’attacco da terra. Negli scontri con l’esercito italiano quasi 50 uomini, tra legionari, civili e militari del Regio Esercito, rimasero uccisi («Natale di sangue»). Il 31 dicembre, D’Annunzio e i suoi uomini si arresero. Il «comandante» (Governatore) di Fiume lasciò la città il 18 gennaio 1921 e raggiunse Venezia.


1921-1922. Stato Libero di Fiume. Elezioni

Nel gennaio del 1921 venne costituito a Fiume un Governo provvisorio. Ebbe il compito di preparare la Costituzione dello Stato Libero di Fiume. In Italia, nel frattempo, le reazioni suscitate dalla fine della spedizione dannunziana spinsero, a poca distanza dai fatti fiumani, verso l’indizione di elezioni anticipate (maggio 1921). L’onorevole Giolitti non venne rieletto Presidente del Consiglio. Il 24 aprile 1921 si svolsero a Fiume le prime elezioni parlamentari per formare un’Assemblea Costituente. Vi parteciparono gli autonomisti e i «Blocchi Nazionali» pro-italiani (Partito Nazionale Fascista, Partito Liberale, Partito Democratico). Il Movimento Autonomista ricevette 6.558 preferenze (65%), e i «Blocchi Nazionali» 3.443 voti.

In seguito, l’8 ottobre del 1921 iniziò a operare un Governo presieduto da Riccardo Zanella. Quest’ultimo non riuscì a ricomporre i contrasti tra autonomisti e nazionalisti. La situazione si aggravò. Dopo un precedente tentativo (non riuscito), il 3 marzo del 1922, un gruppo di nazionalisti (ex legionari e fascisti), organizzati in un «Comitato di Difesa Cittadino», e guidati da Francesco Giunta, si impadronì del potere politico. Zanella e i suoi (esiliati) dovettero riparare a Porto Re. A Fiume il professor Attilio Depoli, Vice Presidente dell’Assemblea Costituente, sostituì Zanella.


Ottobre 1922. Marcia su Roma

Intanto in Italia, in un contesto di grave instabilità politica e sociale, si attuò (27-29 ottobre 1922) quella che fu definita la «Marcia su Roma». Si trattò di una manifestazione popolare (debolmente organizzata e armata), voluta dal Partito Nazionale Fascista. Ebbe il fine di sostenere la persona e il programma di Benito Mussolini. A quest’ultimo, il Re Vittorio Emanuele III affidò l’incarico (30 ottobre 1922) di formare un nuovo Governo. L’Italia si avviava verso il regime fascista.


1922-1923. Gli eventi a Fiume

Il 3 novembre del 1922 gruppi di squadristi presero posizione in diversi luoghi di Fiume. Con i militari italiani non ci furono scontri ma la situazione rimase critica. Vennero allora presentate diverse richieste per un intervento italiano. Si trattava di mantenere l’ordine pubblico, proteggendo anche l’attività portuale. Il Governo Italiano inviò a Fiume il Generale Gaetano Giardino. Questi, dal 17 settembre 1923 divenne il Governatore Militare della città. Lasciò l’incarico nel maggio del 1924.

Nel frattempo, ci fu in Italia un altro fatto significativo. Mussolini, per superare le tensioni non risolte con il Governo Jugoslavo, decise di riprendere i contatti con Belgrado. I recenti avvenimenti di Fiume stavano infatti vanificando le intese raggiunte con il Trattato di Rapallo.


1924-1925. Il Trattato di Roma

Dopo una fase di trattative, il 27 gennaio del 1924 fu possibile arrivare alla firma del Trattato di Roma. L’intesa stabilì che Fiume doveva essere assegnata al Regno d’Italia, mentre il piccolo entroterra con alcune periferie (Porto Baross, incluso nella località di Sussak, e il basso corso del fiume Eneo, che iniziò a segnare i confini tra i due Stati), venivano ceduti al Regno di Jugoslavia. La formale annessione italiana avvenne il 16 marzo 1924. In quel giorno, il Re Vittorio Emanuele III volle essere presente a Fiume. Gli accordi raggiunti furono poi regolati con alcune clausole da una Commissione mista per l’applicazione del Trattato. Tali clausole vennero ratificate dalla Convenzione di Nettuno il 20 luglio 1925. Il Governo dello Stato Libero di Fiume considerò tale atto inaccettabile sul piano giuridico, e continuò a operare in esilio.

Sul piano ecclesiale occorre ricordare che il 25 aprile del 1925 l’Amministrazione Apostolica di Fiume cessò di esistere e venne eretta la Diocesi di Fiume con la Bolla Supremum pastorale di Papa Pio XI. Il Vescovo era Monsignor Isidoro Sain.


La situazione socio-economica di Fiume

Dopo l’annessione al Regno d’Italia, Fiume divenne capoluogo della Provincia omonima. Quest’ultima, aveva una popolazione di 109.018 abitanti, distribuita in 13 comuni. La superficie era di 1.121 chilometri quadrati. La targa automobilistica fu «Fm». Dal 1930 la sua denominazione venne cambiata in Provincia di Fiume/Provincia del Carnaro.

In questo periodo la città si rafforzò sul piano economico. Operarono più industrie. I traffici del porto richiesero (prima metà del ’900) nuovi lavori di ampliamento del porto, e di completamento degli impianti. All’Azienda dei Magazzini Generali spettò il controllo delle operazioni portuali. La Società di Navigazione Fiumana «Adria» (fondata nel 1880) continuò a garantire le linee che riguardavano il settore del Mediterraneo Occidentale (da Fiume fino a Marsiglia e la Spagna), quello del Nord Europa e del Nord Africa (Tunisia, Algeria, Marocco). Di rilievo fu l’attività del silurificio «Whitehead». Qui venne prodotto (e perfezionato) un tipo di siluro ideato dal Fiumano Giovanni Biagio Luppis. La Raffineria di oli minerali (R.O.M.S.A.) rappresentò un altro luogo strategico.

In città vennero riordinati i parchi, i luoghi per passeggiate, ristrutturati gli alberghi, istituita l’Orchestra dell’Azienda di Soggiorno, ideata la stagione del Teatro Lirico all’Aperto. Altre iniziative, quali il Tennis Club, il Golf, la Società di Canottaggio, costituirono delle valide proposte per momenti di riposo. Unitamente a ciò, la località di Abbazia si organizzò per accogliere un turismo internazionale (orchestre da ballo, locali, motonavi in giro per il golfo). Inoltre, tra Fiume e Abbazia, la «Fondazione Città di Fiume per le colonie marine e montane» (1924) garantì assistenza all’infanzia e cura.


1939. Seconda Guerra Mondiale

Il 1° settembre del 1939 ebbe inizio la Seconda Guerra Mondiale. Per volontà di Mussolini, l’Italia entrò nel conflitto il 10 giugno del 1940, schierata a fianco dell’alleato tedesco. Ebbe così inizio, anche per i Fiumani, un periodo critico a motivo degli eventi che si susseguirono nel tempo.


1941. Le vicende belliche

Il 6 aprile del 1941 le forze dell’Asse occuparono la Jugoslavia. Sul piano territoriale furono decisi nuovi confini. Il 10 aprile 1941 venne istituito lo Stato Indipendente di Croazia. Con un secondo Trattato di Roma, siglato il 18 maggio del 1941 tra l’Italia e la Croazia, si decise poi di ampliare la Provincia di Fiume. L’estensione avvenne in direzione del fiume Kupa, incluse le isole di Veglia e Arbe. Presso la prefettura di Fiume vennero attivati due uffici: l’Intendenza civile per i Territori annessi del Fiumano e della Cupa, e il Commissariato civile di Sussak, con competenza rispettivamente sulle aree interne e su quella costiera. Per la popolazione fiumana il periodo fu drammatico: rastrellamenti, deportazione di civili tra i quali numerosi Ebrei, già perseguitati dal fascismo, e altri che si erano rifugiati nei territori italiani per sfuggire alle violente persecuzioni degli ustaše (ustascia) croati.


8 settembre 1943. Armistizio di Cassibile

L’8 settembre del 1943 venne comunicato per radio agli Italiani l’avvenuto armistizio con gli Alleati (una resa senza condizioni). Nel testo, sottoscritto a Cassibile, era contenuta una clausola che rinviava al trattato di pace il destino della frontiera con la Jugoslavia. L’evento produsse incertezze, smarrimento, criticità. Seguì l’occupazione tedesca di una parte del territorio italiano e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana con a capo Mussolini. Il Paese fu quindi segnato da una divisione. Da una parte il Regno del Sud e dall’altra la Repubblica Sociale Italiana. In tale contesto, Fiume fu occupata dai Tedeschi e inserita nella Zona d’Operazioni del Litorale Adriatico (OZAK, acronimo di «Operationszone Adriatisches Küstenland»). Sul piano formale la città rimaneva nella Repubblica Sociale Italiana, ma il potere reale restava ai Tedeschi. Nei nuovi territori fiumani i Tedeschi sciolsero la struttura amministrativa italiana e istituirono il Commissariato di Sussak-Krk (Sussa-Veglia). Di fatto, la grande provincia di Fiume ritornò alle dimensioni d’anteguerra.

In questo periodo la vita di Fiume venne sfigurata dai conflitti in corso, dai confronti tra diverse correnti di pensiero interne all’abitato e all’area circostante, dai bombardamenti e dalle operazioni anti-ebraiche. In tale contesto emerse pure il coraggio di diverse persone che, a rischio della propria vita, cercarono di salvare la vita ai perseguitati del tempo. È doveroso ricordare al riguardo che lo Stato di Israele ha dichiarato «Giusti tra le Nazioni» 115 Croati per aver protetto Ebrei.


1943. Inizio operazioni di eliminazione Italiani

Dopo la comunicazione dell’armistizio, i partigiani di Tito cominciarono in più luoghi a eliminare l’elemento italiano nell’Istria. Tale fatto (le cosiddette «foibe istriane» del 1943) non fu un’iniziativa svincolata da una più generale pianificazione jugoslava, ma fece parte di una strategia mirata a neutralizzare chi non era vicino all’ideologia comunista e alle politiche di Belgrado. Si ritiene che il numero delle vittime si avvicini al migliaio.


1944. I partigiani di Tito si avvicinano a Fiume

Il 1944 fu un anno critico per i Fiumani per più motivi. La città venne bombardata dai primi mesi dell’anno fino al termine del conflitto 44 volte. Inoltre, i partigiani del Generale Tito erano ormai arrivati in prossimità di Fiume. Case e vie furono colpite da granate. Il 6 maggio del 1944 una compagnia di alpini, appartenente al XVI Battaglione difesa costiera «Julia», venne dislocata a Fiume. Rimase in questa città fino alla tragica fine dei militari.


Aprile 1945. I Tedeschi lasciano Fiume

A metà aprile 1945 le forze partigiane di Tito accentuarono l’impegno bellico per occupare Fiume, l’Istria e Trieste prima degli Anglo-Americani (per rivendicarne poi il possesso). L’offensiva riuscì a controllare quasi tutta l’Istria entro aprile. Alla fine del mese i Tedeschi abbandonarono Fiume. Le milizie jugoslave arrivarono poi a Trieste e a Gorizia il 1° maggio. Pola fu raggiunta il 2. Il 3 maggio 1945 le truppe di Belgrado entrarono a Fiume.


Maggio 1945. La spartizione della Venezia Giulia

L’occupazione di tutta la regione fu molto dura. Vennero usati sistemi terroristici e provvedimenti che volevano preludere all’annessione. Il 9 giugno 1945 il maresciallo alleato Harold Alexander e il comandante jugoslavo Tito firmarono un accordo che spartì la Venezia Giulia in due zone d’occupazione. La zona A, di competenza anglo-statunitense, comprendeva Gorizia, Trieste, Pola. La zona B, di competenza dell’armata jugoslava, includeva il resto della Venezia Giulia con Fiume. Poi i vincitori iniziarono a discutere a Versailles delle sorti post-belliche della regione Giulia.


I drammi. Le foibe

Con la presenza dei militari di Tito, Fiume fu sottoposta a un regime di governo militare che si prolungò per circa due anni. In un contesto ambiguo, fiduciari di Belgrado avvicinarono un esponente degli autonomisti, Mario Blasich (infermo alle gambe). Quest’ultimo (e altri) era considerato dai nuovi arrivati un ostacolo alle politiche di Belgrado. Al politico fiumano fu proposto un compromesso «pro tempore» per garantire una continuità amministrativa. Blasich fu attento agli interlocutori. Non volle però sottoscrivere un accordo con Tito, subordinato al riconoscimento della cessione di Fiume e della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Poco dopo, il suo cadavere fu trovato (con i segni di uno strangolamento) nel letto. Anche nei confronti di Giuseppe Sincich e di Nevio Skull vennero eseguite delle esecuzioni sommarie. In tal modo, fu eliminato il vertice degli autonomisti.

La cronaca del tempo riporta ulteriori fatti. Le milizie di Tito ricevettero l’ordine di arrestare e di sopprimere numerosi agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie di finanza, professionisti, piccoli proprietari, dirigenti dei cantieri del silurificio, impiegati statali, commercianti e un numero significativo di persone della borghesia fiumana. I crimini non furono mirati a eliminare solo le personalità vicine al fascismo e ai Tedeschi. Si volle neutralizzare chi si opponeva al disegno di annessione di Fiume alla Jugoslavia, e all’attuazione di un regime comunista alleato dell’Unione Sovietica di Stalin. Seguendo questo generale disegno repressivo vennero giustiziati:

– sia alcuni podestà fascisti: Riccardo Gigante, Carlo Colussi, Gino Sirola;

– sia i capi del Movimento Autonomista Liburnico: Nevio Skull, Mario Blasich, Giuseppe Sincich ed altri. Quest’ultimi furono accusati di filofascismo, di attendismo (passività), di essere nemici del popolo, anche se alcuni di loro erano notoriamente antifascisti.

Nel lungo elenco dei giustiziati (circa 600) si trovano pure i nominativi qui di seguito citati.

– Angelo Adam: Ebreo antifascista. Era stato deportato a Dachau il 2 dicembre 1943. Riuscì a sopravvivere. Membro del Comitato di Liberazione Nazionale Fiumano. Fu trucidato con la moglie Ernesta Stefancich e la figlia Zulema, diciassettenne. Aveva 45 anni.

– Matteo Blasich: membro del Comitato di Liberazione Nazionale Fiumano. Secondo i militari jugoslavi, si sarebbe ucciso nella soffitta di una palazzina sede dell’OZNA (la polizia segreta comunista jugoslava) per sottrarsi a un arresto per furto.

– Carlo Colussi: mutilato della guerra italo-austriaca e amministratore delegato della società tipografica «La Vedetta d’Italia». Mentre si stava recando a Trieste con la famiglia (con regolare permesso del Commissariato del popolo), fu ucciso a Sussak insieme alla moglie.

– Rodolfo Moncilli: dirigente comunista fiumano. Ucciso dagli agenti dell’OZNA nell’ambito del tentativo del partito comunista croato di eliminare quello fiumano.

– Margherita Sennis: intellettuale di talento, di vasta cultura, direttrice didattica del Circolo Scolastico di Piazza Cambieri, madre di Gigliola. Nel 1945 vennero eliminate Margherita e Gigliola. Di loro non si è più saputo nulla.

Un elevato numero di persone uccise fu gettato dentro cavità carsiche denominate foibe. Specie in tempi successivi all’immediato dopoguerra è stato possibile riaprire tali ambienti sotterranei e riesumare molti cadaveri. Ancora oggi non tutte le foibe sono state individuate. I resti del Senatore Gigante (la sua foiba è stata scoperta nel 1992) hanno trovato sepoltura al Vittoriale degli Italiani (Gardone Riviera).


Le decisioni adottate a Parigi

Nel mese di luglio 1946 venne resa nota la soluzione adottata, cioè la cessione alla Jugoslavia di Fiume, della quasi intera Istria, di ampie zone del Goriziano e del Triestino e la creazione di un Territorio Libero di Trieste. Il 10 febbraio 1947 vennero firmati i Trattati di Parigi. Il 15 settembre 1947 gli accordi entrarono in vigore. La città di Fiume cambiò sovranità. Divenuta Rijeka, entrò a far parte della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia.


La fuga della popolazione italiana

Davanti al ripetersi di tragedie, e in presenza di provvedimenti anti italiani, gran parte della popolazione italiana residente a Fiume fu costretta ad abbandonare le proprie case e le attività lavorative (maggio 1945-1948). Tale esodo (oltre 38.000 abitanti) costituì un dramma nel dramma.

Esuli in partenza

Esuli in partenza, 1945. Sul carretto si vede la bandiera italiana

Tutto ciò causò un esteso blocco delle iniziative economiche e industriali. Per questo motivo si cercò di integrare la forza-lavoro trasferendo a Fiume gruppi di operai specializzati di Monfalcone, di area comunista.


La realtà degli esuli

Tra coloro che dovettero lasciare la propria terra si possono ricordare almeno alcune persone: Giovanni Cucelli (tennista, campione internazionale), Carlo Alessandro Conighi (ingegnere, costruttore, Presidente della Camera di Commercio e Industria), Carlo Leopoldo Conighi (architetto, legionario fiumano), Giorgio Alessandro Conighi (ingegnere, legionario fiumano), Irma Gramatica (all’anagrafe Maria Francesca; attrice), Ezio Loik (calciatore, mezzala del «Grande Torino», deceduto nella «tragedia di Superga», con molte presenze in Nazionale), Marisa Madieri (scrittrice), Garibaldo Marussi (scrittore, letterato, editore della rivista «Le Arti»), Abdon Pamich (marciatore, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma 1960 nella marcia 50 chilometri), Orlando Sirola (tennista, campione di livello mondiale nella specialità del doppio), Leo Valiani (nato Leo Weiczen; politico, Senatore a vita), Rodolfo Volk (calciatore), Diego Zandel (scrittore), Valentino Zeichen (poeta).


Fine anni Quaranta

Alla fine degli anni Quaranta (XX secolo) il Governo Jugoslavo volle trasferire a Fiume nuovi abitanti, così da colmare i vuoti lasciati dagli Italiani. Arrivarono in città persone da più regioni del Paese. Fu questo un aspetto del primo decennio del dopoguerra che si rivelò difficile per Fiume. Da una parte fu necessario ricostruire quanto era stato distrutto dai Tedeschi ma anche dai bombardamenti alleati. Dall’altra, i responsabili territoriali intesero imprimere alla vita sociale un’impronta croata. Tale dinamica divenne evidente, ad esempio, quando si operò per neutralizzare il ceto fiumano culturalmente più qualificato. Un numero non debole di insegnanti italiani fu imprigionato con l’accusa di essere responsabile di fatti inesistenti. Intanto nelle scuole fu introdotto l’insegnamento delle lingue croata e russa. Aboliti gli ordinamenti scolastici italiani. Sostituiti i libri di testo.


1947. Fiume annessa alla Jugoslavia

Il 10 febbraio del 1947 Fiume venne definitivamente ceduta e annessa alla Jugoslavia. La città e Sussak furono unite nel medesimo abitato (attuale Fiume). Diverse criticità non furono comunque superate. Ad esempio, tra il 9 e il 10 ottobre del 1953, come continuazione di un comizio anti italiano, vennero prese d’assalto e poi distrutte dalla folla le insegne in lingua italiana dei negozi, delle scuole e delle vie cittadine.


1960 e anni successivi

All’inizio degli anni Sessanta, con l’indebolimento di taluni aspetti critici, Fiume ebbe la possibilità di migliorare l’economia locale e altre realtà socio-politiche. Il porto, in particolare, divenne il principale scalo jugoslavo.


Fiume nella nuova Croazia indipendente

Nel giugno 1991, in seguito alla disgregazione della Jugoslavia, la Croazia si proclamò indipendente, e venne riconosciuta come tale dall’Europa il 15 gennaio 1992. Fiume entrò a far parte di questo Stato. In tal modo, la città risentì anche delle criticità derivanti dalla guerra d’indipendenza croata. Fu soprattutto il porto di Fiume a essere penalizzato dallo scontro in corso. Il traffico portuale, già segnato dalla crisi economico-finanziaria dell’ultimo periodo di esistenza della Jugoslavia unita, si indebolì ulteriormente. Per un non breve periodo di tempo Fiume poté contare sulle sovvenzioni statali, sul commercio e su quanto restava dell’industria dopo le rovine belliche. Quando gli equilibri politici interni e internazionali resero la situazione meno difficile, il porto di Fiume tornò a essere lo scalo principale della Croazia. La costruzione dell’autostrada Fiume-Zagabria, e ulteriori realizzazioni, consentirono di migliorare la crescita economica fiumana.

Il 1° luglio del 2013 la Croazia è entrata nell’Unione Europea. La città di Fiume/Rijeka, ove adesso è applicato il bilinguismo italiano/croato, si è così inserita nella Comunità Europea dei Popoli e degli Stati, uniti da comuni ideali di democrazia, pace, fratellanza e prosperità. Attualmente nell’abitato sono presenti alcune migliaia di Italiani, testimoni della lunga storia di Fiume. Messi da parte gli orrori del Novecento, sono state congiuntamente realizzate nella città alcune importanti iniziative come le tabelle storiche bilingui sui nomi delle vie e il ritorno dell’aquila bicipite sulla torre civica di Fiume. Inoltre, il sindaco della città, Vojko Obersnel, è stato a Roma a visitare l’Archivio-Museo storico di Fiume.


Qualche considerazione di sintesi

Sarebbe miope considerare la storia di Fiume solo alla luce di avvenimenti politici e di scontri bellici. Esistono infatti delle realtà che, sorte nella città del Carnaro, sono oggi diventate un patrimonio comune. Non possono cioè essere considerate situazioni «locali», o fatti «minoritari», perché hanno superato i confini delle entità politiche per diventare un qualcosa che è gelosamente protetto dall’intelligenza dei popoli. Su questo punto la mente dello studioso corre facilmente ad alcune realtà significative.

È possibile qui ricordare il valore dell’area archeologica, la storia della zona portuale (fin dai primi secoli), la vicenda legata alla chiesa dedicata alla Madonna in località Tersatto (1431; con precedente cappella), l’istituzione di una Scuola di Teologia (1632) che aprirà la strada all’Università di Fiume, il contributo pedagogico offerto dai Gesuiti (1638), le attività del Teatro Nazionale (fondato nel 1765; opere liriche, balletti, sede del Dramma italiano di Fiume), il contributo offerto da letterati e da traduttori.

Tra i letterati figura Enrico Morovich (1906-1994). Autore di romanzi e racconti, scriverà un anno prima di morire Un Italiano di Fiume (1993). Vi si trova una commossa rievocazione della propria città di origine e del proprio cammino esistenziale. È considerato un autore surrealista, o comunque vicino a tale corrente letteraria e di pensiero (molto sviluppata in Francia negli anni Venti e Trenta del Novecento).

È difficile, poi, dimenticare la bella figura dello studioso ebreo Paolo Santarcangeli (1909-1995). Fu un poeta, scrittore, saggista. Nel 1969 vinse la cattedra di Lingua e Letteratura Magiara presso l’Università di Torino, che fu chiusa dopo la sua morte nel 1995.

In ambito ecclesiale è doveroso ricordare Madre Maria Crocifissa Cosulich (1852-1922), fondatrice delle Suore del Sacro Cuore di Gesù; Monsignor Severino Dianich (nato nel 1934), esule dal 1948. Nel 1967 con altri teologi fondò l’Associazione Teologica Italiana, di cui è stato Presidente dal 1989 al 1995.

La storia di Fiume è ancora ricca di molti altri esponenti. Ci si limita a indicarne solo alcuni: Giovanni de Ciotta (1824-1903), politico di madrelingua italiana, di Fiume. Edoardo Susmel (1887-1948), storico e politico. Enrico Fonda (1892-1929), pittore morto a Parigi. Umberto D’Ancona (1896-1964), biologo e naturalista. Anita Schwarzkopf Seppilli (1902-1992), antropologa e filologa classica. Nuzzi Chierego Ivancich (1905-2001), pittrice e scultrice. Athos Goidanich (1905-1987), entomologo (biologo, studioso di insetti). Osvaldo Ramous (1905-1981), poeta e scrittore. Lucio Susmel (1914-2006), ecologo. Mirella Karpati (1923-2017), pedagogista, studiosa del mondo zingaro e della Romanologia. Antonio Slavich (1935-2009), psichiatra e politico. Giovanni Frau (1940), linguista e filologo. Giuseppe Raimondi (1941-1997), designer.

I nominativi in precedenza citati sono serviti, a titolo di esempio, per dimostrare che i contributi offerti dalla comunità italiana della città, nel corso del tempo, non solo si sono sviluppati seguendo le più diverse aree scientifiche, ma hanno – con il loro apporto – superato le barriere ideologiche e quelle confinarie. In tal senso si assiste oggi a una realtà ove molteplici Paesi hanno beneficiato e continuano a beneficiare della cultura fiumana. Tale contesto è poi ulteriormente arricchito dal fatto che la stessa Croazia è oggi membro dell’Unione Europea, ed è quindi spontaneamente orientata a favore di politiche multiculturali. Si tratta, adesso, di meglio conoscere quei Fiumani che sono stati presenti (e lo sono ancora oggi) negli ambiti scientifici più diversi. Non per esaltazioni mirate a oscurare altre identità socio-politiche-culturali, ma per arricchire un cammino di popoli segnato da una vera pace.


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Ringraziamenti

Dottor Marino Micich, laureato in Slavistica. Ricercatore. Archivista. Autore di molteplici pubblicazioni specialistiche. Attuale Direttore del Museo Archivio Storico di Fiume (Roma).
(marzo 2020)

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