Cecenia
Tre giorni da incubo

La Cecenia è una piccola Repubblica della Federazione Russa, che si trova in una zona interna del territorio fra il Mar Nero e il Mar Caspio con una superficie di 9.200 chilometri quadrati.

Ha sempre avuto grossi problemi con il Governo Centrale, anche perché le fedi religiose sono diverse, essendo i Ceceni prevalentemente di religione musulmana. Non mancarono dispute legali, conflitti militari, arresti e uccisioni. Dal 2000 è tenuta sotto il pugno di ferro del fedele collaboratore di Vladimir Putin, Ramzam Kadyrov. Ma il desiderio secessionista del popolo non è morto e la pace stenta a restare. E invero le reazioni revansciste dei Ceceni possono scoppiare in ogni momento: insomma, si tratta di un pentolone di acqua in fase di avanzata e persistente ebollizione.

L’ultimo scontro militare avvenne fra il 1994 e il 1996; fu una guerra che, purtroppo per la Cecenia, finì rovinosamente e i Russi, che non l’avevano immediatamente occupata, lo fecero subito dopo che i Ceceni fecero diversi attentati nel loro Paese.

Comunque, i patrioti ceceni non mollarono e fecero tutta una serie di azioni contro il Governo Centrale. Di queste, una fece particolarmente rumore, attirando l’attenzione del mondo intero.

Il fatto iniziò la sera del 23 ottobre 2002, attorno alle ore 21:00, a Mosca. Al Teatro Dubrovka era in atto una rappresentazione musicale, quando un uomo armato di mitra comparve sul palcoscenico e, per attirare l’attenzione su di sé, qualora ce ne fosse stato bisogno, sparò una raffica di colpi contro il soffitto del locale. Comparvero altri uomini armati insieme con donne, che mostrarono di avere legate attorno al corpo cinture colme di esplosivo, pronte a saltare in aria, se le cose non fossero andate come previsto. Inoltre, molte cariche esplosive furono sistemate in vari punti del teatro.

Naturalmente, le reazioni degli spettatori furono diverse: ci furono quelli che riuscirono a mantenersi calmi, altri che si disperarono e reagirono in modo angosciato e altri ancora che perdettero i sensi.

Il commando, composto da una quarantina di unità, prese in ostaggio le 850 persone presenti e, dopo aver dichiarato che appartenevano all’esercito ceceno e aver manifestata la loro fede separatista, avanzarono la loro richiesta, che consisteva nel ritiro immediato delle truppe russe dal loro Paese senza condizioni, per consentire il ritorno alla pace. In caso contrario, si sarebbero fatti fuori gli ostaggi.

Secondo l’atteggiamento dei sequestratori, vario da un momento all’altro, il clima dell’ambiente cambiava, passando da una calma irreale a maltrattamenti e minacce di uccisioni, quando giungevano notizie che non promettevano nulla di buono. Era nelle loro intenzioni anche l’eventualità di far saltare in aria il teatro, come lo dimostravano le cariche esplosive distribuite un po’ dovunque all’interno della struttura.

Alcune persone, che in quel momento erano dietro le quinte, riuscirono a squagliarsela passando attraverso una finestra e provvidero ad allertare la polizia, descrivendo ciò che stava succedendo, riferendo che i terroristi erano dotati di armi automatiche e di bombe a mano e che molti avevano cinture gonfie di esplosivo; inoltre, confermarono che molte cariche esplosive erano state disposte in varie parti dell’edificio. Che fosse vero lo dimostrò il ritrovamento degli esplosivi disposti in giro e di quelli indossati dalle donne più tardi, a conclusione della faccenda.

A organizzare l’attentato fu il creatore delle Brigate Islamiche che operavano per l’indipendenza della Cecenia, Shamil Basayev, più moderato del predecessore, Aslan Aliyevich Maskhadov, che professava l’ideologia integralista wahabita, cioè di quel movimento che propone la rigida lettura del Corano.

Lo stesso giorno fu rilasciata una quindicina di bambini e un uomo cardiopatico. Ci fu il tentativo di portare a miti consigli i sequestratori da parte di una certa Olga Romanova: questa superò i cordoni di sicurezza disposti dalla polizia ed entrò nel teatro, dopo aver affrontati, incoscientemente, i terroristi ed esortati gli ostaggi a reagire; ritenuta una agente dell’FSB, le spararono, uccidendola. Solamente più tardi, il suo corpo fu recuperato.

Ci furono diversi colloqui dai quali risultò fra l’altro che, secondo quanto riportato dai Russi, i sequestratori, che erano capeggiati da Movsar Baraev, avevano chiesto pure un riscatto in denaro esageratamente elevato.

L’intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite («United Nations Security Council», in sigla UNSC) del 24 ottobre chiedeva che immediatamente gli ostaggi fossero rilasciati, mentre il Governo Russo concedeva ai terroristi la possibilità di andarsene liberamente fuori dal Paese, al fine di evitare quella strage che stava incombendo. I sequestratori chiesero, invece, l’intervento della Croce Rossa Internazionale e di Medici Senza Frontiere, affinché conducessero le trattative. Il colonnello dell’FSB Konstantin Vasiliev, che tentò di entrare nell’edificio, fu fatto fuori senza tanti complimenti.

Il 25 ottobre, ci furono anche molti altri tentativi di importanti personaggi politici e pubblici, fa cui Michail Gorbaciov, ex Presidente dell’Unione Sovietica, di intervenire. Molti Governi, attraverso le loro Ambasciate, fecero sentire la propria voce, tanto da far promettere ai sequestratori che gli ostaggi stranieri sarebbero stati liberati. E, infatti, stando a quanto riportato dall’FSB, furono rilasciati 39 ostaggi, mentre altri 50 sarebbero stati liberati se il capo dell’amministrazione cecena Achmad Kadyrov si fosse presentato nel teatro; per di più, il comando chiese a Vladimir Putin di ritirare immediatamente le sue truppe dalla Cecenia e di non fare assalire il palazzo.

Ulteriori tentativi di dirimere la questione furono tentati da giornalisti, da politici ma i sequestratori volevano rappresentanti di Putin. Insomma, si verificavano alti e bassi, con momenti di calma seguiti da atti di violenza estrema.

Ma alla fine, i contatti non approdarono a nulla, tanto che passarono due giorni fra violenze e calme irreali. Dopo un’attesa durata 57 ore, le forze russe del Corpo Speciale decisero di intervenire, anche perché due ostaggi erano stati uccisi.

Così, il mattino del 26 ottobre, queste, convinte che era inutile aspettare ancora che succedesse ciò che ormai era impossibile che avvenisse, vale a dire la resa da parte dei sequestratori, entrarono in azione.

Prima di tutto, per prepararsi la strada, usarono un potente gas insensibilizzante o peggio, che pomparono direttamente nell’edificio sfruttando il sistema di condizionamento dell’aria. Dopo una ventina di minuti, videro una donna che usciva dalla sala, il che significava che il gas non aveva ancora fatto effetto, per cui continuarono a pomparlo per un’altra quarantina di minuti per essere certi che avesse fatto il richiesto effetto, addormentando tutti. E a quel punto, alle ore 6:00, fecero irruzione nell’edificio passando attraverso brecce aperte nei muri, calandosi da aperture praticate nel tetto del teatro, percorrendo gallerie sotterranee e fogne.

Una buona parte dei Ceceni e degli ostaggi aveva perso i sensi, mentre il resto dei guerriglieri reagì violentemente, tanto che alla fine della sparatoria sul pavimento si poterono contare i corpi di 39 Ceceni e di non meno di 120 ostaggi; secondo altre fonti, i morti fra gli ostaggi furono più di 200. E, purtroppo, si ritiene che il numero dei morti in parte sia stato causato dalla natura del gas usato, che si pensa fosse Fentanyl, sostanza di natura oppioide, oppure gas nervino Dubrovka, del quale tutti conoscono gli effetti, vale a dire soffocamento e morte.

A conclusione dell’attacco, furono aperte le porte e si iniziò a portare all’esterno i corpi dei terroristi e degli ostaggi deceduti in file separate e un primo soccorso ai sopravvissuti, feriti o intossicati dal gas. Con difficoltà, le prime autoambulanze iniziarono a compiere il loro lavoro umanitario.

All’inchiesta per a conoscere le ragioni per le quali si era deciso di usare il gas, fu risposto che, per evitare che le cariche esplosive situate nell’edificio fossero state fatte esplodere, bisognava agire di sorpresa per bloccare senza indugio i terroristi in modo da non concedere loro il tempo necessario per farle scoppiare. L’ordine era provenuto da Putin.

Si è concluso che la morte degli ostaggi avvenne a causa del terrorismo, ma non si deve sottacere che non meno di 700 di loro furono avvelenati dal gas, e che molti, successivamente, accusarono problemi alla salute, principalmente di carattere cardiaco, mentre altri divennero invalidi di seconda e terza categoria.

Alla fine, malgrado ci sia stata un’inchiesta durata più di tre anni per individuare la natura del gas e, in caso positivo, anche l’eventuale antidoto, questa non portò a nessun risultato, per cui rimase un mistero, anche se non mancarono coloro che insistentemente ritenevano che fosse proprio Fentanyl.

Ora ci si può chiedere se gli incursori fossero a conoscenza della natura e della pericolosità della sostanza utilizzata; certo che, sia che lo sapessero, sia che lo ignorassero, in entrambi i casi si trattava sempre di un atto criminale perché, se da un lato l’eliminazione dei terroristi poteva essere un vantaggio, giacché evitava processi con tutto quanto ne è connesso, non lo era essendo gli ostaggi persone del tutto innocenti.

In ogni modo, il Presidente Russo Vladimir Putin comparve la sera del 26 ottobre in televisione e confermò che la decisione di effettuare la sanguinosa incursione era scaturita allo scopo di salvare il numero maggiore possibile di ostaggi; indi, fissò la data per un lutto nazionale in memoria dei sequestrati che avevano perso la vita.

Le reazioni in tutto il mondo furono diverse, perché ci fu chi ritenne che Putin non potesse fare diversamente che coinvolgere le forze speciali, ma per altri rimaneva in atto la grave accusa in merito al gas usato.

L’incursione terroristica di Mosca indusse Putin ad agire violentemente nella Repubblica Cecena, con azioni che avevano lo scopo di far abbassare la testa ai suoi abitanti; infatti, il 28 ottobre 2002, ci fu uno scontro violento presso Groznyj, dove una trentina di ribelli restò sul terreno, e Putin rincarò le minacce contro ogni forma di rivolta. Questa sua presa di posizione gli attirò addosso pesanti accuse di uccisioni, sequestri, torture, però mai dimostrati.

Alla fine, dopo il 2005 non ci furono ulteriori inchieste, perché non si era individuato il colpevole dell’attacco terroristico e pertanto valeva la pena di finirla lì.

Naturalmente, i familiari degli ostaggi uccisi dalle armi o dal gas velenoso non avevano cessato di richiedere l’applicazione dei diritti dell’uomo, previsti dalla Corte Europea di Strasburgo, da parte del Governo Russo.

E nel 2007, ci fu l’intervento dell’avvocato Igor Trunov a rendere noto che la Corte Europea aveva studiato quanto era avvenuto nei tre giorni fatidici e le richieste dei familiari dei morti russi, cui si aggiunsero pure le voci di alcuni cittadini ucraini, olandesi, kazaki. Sempre nello stesso mese, si unì la voce della vice Presidente dell’Organizzazione Nord-Ovest, fondata da ostaggi sopravvissuti e da familiari delle vittime, Tatjana Karpova, che fra l’altro si lamentò del comportamento negativo delle autorità sia in merito alla carenza di cure mediche alla fine dell’azione terroristica, sia alle conseguenze fisiche subite dai sopravvissuti.

Il 20 dicembre 2007, la Corte Europea emise il suo verdetto, dichiarando la Russia colpevole di errori e decisioni inadeguate nella gestione del fattaccio del 2002 e per non essere andata più a fondo in merito a cause e conseguenze. Pertanto, il Paese fu condannato a pagare il risarcimento di più di un milione di euro a decine di richiedenti.

(dicembre 2022)

Tag: Mario Zaniboni, Cecenia, Federazione Russa, Vladimir Putin, Ramzam Kadyrov, 2002, Mosca, Teatro Dubrovka, terrorismo ceceno, Brigate Islamiche, Shamil Basayev, Aslan Aliyevich Maskhadov, Olga Romanova, FSB, Movsar Baraev, Konstantin Vasiliev, Michail Gorbaciov, Achmad Kadyrov, Fentanyl, Dubrovka, Repubblica Cecena, terroristi ceceni, Igor Trunov, Tatjana Karpova.