La Brexit
Quando l’Europa è un bluff

Sono sempre stata europeista. Sono cresciuta con Pasquale Paoli, con Giuseppe Mazzini, ma ho anche seguito il pensiero degli uomini che nel XX secolo hanno costruito l’idea di Europa. Non mi piacciono le ideologie, preferisco i fatti.

E a questo punto plaudo alla Gran Bretagna e alla sua dipartita dall’Europa. L’Europa del lavoro non esiste. Esiste l’Europa bancaria. Schiacciata tra due potenze, Germania e Francia, incapaci di liberarsi da una visione statuale in senso stretto. E il Parlamento, lo dico da cittadina e non da storica, un’accozzaglia di interessi di parte.

Non si può costruire un’Unione Monetaria senza una vera Unità Politica, un Parlamento che permetta di superare i tecnicismi e le dicotomie partigiane presenti nei singoli Stati Nazionali. Questo ce lo sentiamo dire da una vita e su questo tutti concordano. Ormai da troppo tempo la realtà Europa è venuta meno a quei principi guida che solo un Parlamento efficiente e soprattutto autorevole avrebbe potuto privilegiare.

Le vicende della Brexit, così come è conosciuta l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, lo confermano. Dopo il referendum è stata formalizzata nel 2017 tale uscita ma solo alla fine del 2020 si è concretizzata fattivamente. L’adesione del Regno Unito alle Comunità Europee (CE) risalente al 1973 fu sostenuta principalmente dalla sinistra politica. Il trattato di Maastricht del 1992 ha fondato l’Unione Europea, ma non fu sottoposto a referendum. Per tale motivo il partito per l’indipendenza del Regno Unito ha fatto pressioni sul Primo Ministro conservatore Cameron affinché tenesse un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, che si è tenuto a giugno 2016. Cameron fu costretto a dimettersi in seguito al voto referendario e gli successe Teresa May. I successivi avvenimenti sono stati sommariamente esposti. Ripercorriamo così le fasi salienti dei rapporti tra Regno Unito e Unione Europea.

L’idea di Unione Europea nacque nel primo dopoguerra per uscire dalla violenza del conflitto che aveva visto gli Stati contrapporsi inesorabilmente. Si mise in primo piano l’idea di stabilità economica del continente europeo. La discussione per il documento ufficiale che avrebbe segnato la costituzione dell’Unione fu discusso dal Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt e il Primo Ministro Britannico Winston Churchill a partire dal 1941 col nome di Carta Atlantica e venne realizzato solo a guerra finita nel 1949 quando si siglò il Patto Atlantico.

I sei Paesi fondatori firmarono il Trattato di Parigi nel 1951, istituendo la CECA, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Considerato un successo, nel 1957 a Roma con i trattati di Roma si istituì la Comunità Economica Europea (CEE) e la Comunità Europea dell’Energia Atomica (Euratom).

Quando a fine anni Sessanta il Regno Unito tentò di aderire fu posto un veto dal Presidente Francese Charles De Gaulle. Solo dopo le dimissioni di De Gaulle, nel 1969, il Regno Unito fece domanda di adesione. Il trattato di adesione fu firmato nel 1972.

Quell’Europa non esiste più da molto tempo. Per capire lo ieri e l’oggi basta esaminare chi era un personaggio come Marco Pannella, il leader dei radicali italiani deceduto qualche anno fa; e che cosa sono gli attuali personaggi che governano l’Unione. A lungo Marco Pannella si impegnò per gli Stati Uniti d’Europa, che era il primo obiettivo della sua scelta transnazionale e transpartitica e andava di pari passo con la sua lotta intransigente non solo per la difesa, ma per l’affermazione della democrazia liberale. Lo stesso Pannella ricordava però spesso che la storia della democrazia e dello Stato di diritto è come «un battito di ciglia» nei millenni e millenni di storia dell’umanità, e dunque una conquista tutt’altro che stabile e definitiva. L’edificio europeo, ancor più una costruzione miracolosa e fragile. Peccato che di miracoloso sia rimasto ben poco e questo evidentemente gli Inglesi lo hanno percepito. A risentirne maggiormente gli Stati del Sud Europa «meno virtuosi» e per questo non al passo con l’Unione monetaria. Ma anche la Gran Bretagna, che non appartiene all’area mediterranea, si è sentita coinvolta in queste dinamiche.

C’è da scommettere che un’Unione così concepita ha poco di politico e molto di economico. La Grecia e le sue vicissitudini sono state sotto gli occhi dei più. L’Italia non fa eccezione. Se il cittadino può toccarlo con mano, altrettanto possiamo dire per osservazioni più storicistiche, tecniche, sulla consistenza del sistema. La pandemia ha ulteriormente aggravato l’intera risultante. Politiche statuali completamente diversificate, nei tempi, nei modi, nella logistica. Vengono fuori le differenze ma anche gli «out out» su prestiti e sostegni che se anche elargiti, rispondono a logiche di mercato e non politiche. Come erano gli Stati prima della moneta unica e dell’Unione così come la conosciamo oggi?

Parlo da cittadina e non da storica e porto per questo personali ricordi.

Andavi alla frontiera e cambiavi moneta. Le frontiere erano presenti e a volte persino ti «spogliavano», sicuramente ti perquisivano per farti passare. Ricordo la frontiera della ex Yugoslavia. Qui non eri nell’Unione, ma quando dovevi andare in Dalmazia in vacanza, ragazzina negli anni Ottanta, ricevevi dei trattamenti anche poco garbati, questa la mia personale esperienza. Non così dissimile la frontiera austriaca, oppure quella francese. Qui meno marcati i controlli, ma c’erano ed erano consistenti. Mi si dirà, tutto questo per fortuna non esiste più. Ma a fronte di tale mancanza il cittadino prova spesso oggi insicurezza, disagio. Perché le forze dell’ordine erano in ogni Stato agguerrite e funzionali. Perché ci si sentiva paradossalmente più Europei senza la moneta unica!

La pandemia ci ha fatto di nuovo tornare al passato, ma con meno regole e più confusione. In ogni Stato dell’Unione in passato eri identificato per la tua nazionalità e non per essere cittadino europeo. Brutta cosa mi si dirà, ma avevi quasi la sensazione di essere più rappresentato!

Negli anni Ottanta per esempio, gli anni della mia giovinezza e quando avevo diverse occasioni per spostarmi in viaggi, l’Italia, quinta potenza mondiale sul piano economico, identificava anche i suoi cittadini, che ricevevano «considerazione». È chiaro, parlo del comune cittadino, del cittadino medio. Oggi i molti amici che si sono proiettati fuori a vivere e lavorare ricevono rispetto perché integrati nei contesti produttivi dei singoli Paesi, e non certo, per loro diretta testimonianza, per le comuni radici europee!

La retorica dei Governi non rende giustizia alla prova dei fatti. Ma soprattutto la percezione diretta è che l’idea di Europa sia divenuta più inconsistente e l’Unione monetaria abbia ancor più accentuato il solco politico. Io non sono più giovanissima e sono proiettata più a vivere la natura e una vita ormai privata e ritirata. Ma guardo ai miei nipoti, ai figli, ai giovani. Spero che loro rivoluzionino del tutto l’attuale realtà europea ridando alla politica e non al business la dovuta priorità. Per una Giovine Europa oltre che per un’Europa giovine.

(novembre 2021)

Tag: Elena Pierotti, Brexit, Unione Europea, Gran Bretagna, Cameron, Teresa May, Charles De Gaulle, Marco Pannella, Pasquale Paoli, Giuseppe Mazzini.