La teoria gender
Dalle origini al ddl Zan

All’inizio, il sottotitolo che avevo pensato per questo articolo era: «Quando il sonno della ragione genera mostri». Una tale affermazione, però, avrebbe potuto allontanare dalla lettura una certa fetta di persone favorevoli alla teoria gender. Mi limiterò quindi a una semplice analisi dei fatti senza voler imporre la mia posizione che spero sia già chiaro qual è. Ognuno, dopo aver letto l’articolo, si potrà formare l’opinione che meglio crede.

La teoria gender («teoria del genere») non è supportata da alcun dato scientifico; non si tratta, in realtà, di una teoria organica vera e propria, ma di una serie di «studi» con un chiaro orientamento ideologico. I suoi sostenitori distinguono tra sesso (un dato biologico e naturale) e genere (un dato psicologico e socio-culturale). Per chiarire: l’essere umano nascerebbe asessuato e la differenza tra uomini e donne, o meglio tra il genere maschile e il genere femminile, sarebbe solo una costruzione sociale. In pratica, l’identità sessuale di un individuo non verrebbe stabilita dalla natura ma dalla percezione che ognuno ha di sé e che sarà libero di assegnarsi il genere percepito anche se non corrispondente al sesso biologico, orientando la propria sessualità secondo i propri istinti e le proprie mutevoli pulsioni; non si è uomini e donne perché nati con certe identità fisiche, affermano i sostenitori del gender, ma lo si è solo se ci si riconosce come tali. Il numero dei generi tra cui si può «scegliere» non è definito: Tinder, la famosa applicazione per incontri, ne elena 29 (uomo, donna, trans, androgina, non dinario, pangender, gender fluid, gender queer, incerto...) e 9 orientamenti (eterosessuale, omosessuale, bisessuale, asessuale, demisessuale, pansessuale, queer...); Facebook consente di scegliere, per il genere, tra 58 opzioni, mentre per altri i generi sarebbero più di 100. Inoltre, poiché una persona si identificherebbe con un genere a seconda di come si percepisce in un dato momento (fluidità del genere), è possibile – per esempio – che un uomo si consideri maschio un giorno e femmina, o qualsiasi altra cosa, il giorno successivo. Per la teoria gender, quindi, le categorie tradizionali di maschi e femmine, e soprattutto della famiglia composta da due genitori di sesso diverso e dai loro figli, diventerebbero obsolete e superate, inadatte a rappresentare la complessità sociale moderna; per questo andrebbero rimosse. La parola chiave degli ideologi del gender è infatti «decostruire», ossia cancellare la natura, tentando di smantellare pezzo per pezzo un sistema di pensiero considerato oramai fuori tempo.


Inquadramento storico

Quali sono le origini di questa teoria?

Contrariamente a quello che saremmo portati a pensare, non nasce oggi ma si presenta come una sorta di «minestrone» che ha messo insieme e rielaborato pezzi del pensiero marxista e psicanalista, e idee della rivoluzione femminista, sessuale e culturale degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.

Come spiega Rodolfo de Mattei nel suo libro Gender Diktat. Origini e conseguenze di un’ideologia totalitaria, Solfanelli, Chieti 2014 (a cui rimandiamo per chi volesse maggiori approfondimenti), le sue premesse risalgono alle idee che Friedrich Engels (1820-1895) espresse nella sua opera L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884): in essa, l’economista tedesco parla della prevaricazione sulla donna come della massima espressione della lotta di classe nella sua forma originaria (ricordiamo che la visione di Engels e Marx è materialista: l’uomo non è che un’escrescenza della materia e non esistono valori spirituali o morali che lo trascendono). La donna viene quindi a costituire la prima forma di proprietà privata e l’oppressione delle donne da parte degli uomini è la prima oppressione di classe: «La prima opposizione di classe che appare nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo uomo-donna nel matrimonio monogamico, e la prima oppressione di classe coincide con quella fatta dall’uomo sul sesso femminile». Basandosi sulle teorie pseudo-scientifiche dell’etnologo inglese Lewis Henry Morgan (1818-1881), Engels sostiene che nella storia si è passati da un sistema matriarcale originario a un sistema patriarcale che ha alienato la donna dai suoi diritti trasformandola in una serva dell’uomo, obbligandola a maternità ripetute, lavori domestici ed emarginazione sociale (che in origine vi fosse un sistema matriarcale non è creduto neanche dalle femministe più acculturate: può essere un’ipotesi, ma non un dato di fatto, non vi sono prove a sostegno di questa idea). Il comunismo «libererà» la donna dalla schiavitù familiare da un lato tramite la distruzione della famiglia naturale e dell’istituto del matrimonio (una gabbia insopportabile per la donna), dall’altro attraverso l’affermazione dell’amore libero e dell’uguaglianza totale tra i sessi. Tali idee saranno fatte proprie dal femminismo radicale e dall’ideologia gender che nella famiglia naturale vedrà il principale ostacolo da abbattere sul proprio cammino: spetta alle donne compiere la rivoluzione, riappropriarsi del proprio corpo attraverso il controllo della propria fecondità e l’utilizzo delle nuove tecniche biomediche. Lo scopo finale è la soppressione totale di qualsiasi distinzione tra le classi, e ciò avverrà solo nel momento in cui saranno abolite tutte le differenze tra uomini e donne e in cui non avrà più alcun senso parlare di famiglia e matrimonio (oltre che di padre e madre), termini che rievocano una realtà storica superata.

Un altro nome va annoverato tra i padri della teoria gender: quello del fondatore della psicanalisi Sigmund Freud (1856-1939). Se per Marx la realtà dell’universo è materia e la morale e la famiglia sono «sovrastrutture» dei rapporti economici, per Freud l’unica realtà è l’«inconscio», che coincide con l’istinto sessuale e che occorre svincolare dalla morale. Il primo tentativo coerente di una sintesi tra marxismo e freudismo venne tentato negli anni Trenta del Novecento dallo psicanalista austriaco Wilhelm Reich (1897-1957): egli associò la pulsione sessuale o «libido», nella quale Freud vedeva una forza psicologica astratta, con un flusso concreto di energia attraverso l’organismo fisico. Questo approccio lo condusse al concetto di «bioenergia», una speciale manifestazione di una forma di «energia cosmica» da lui chiamata «energia orgonica». Attraverso l’assoluta, illimitata libertà sessuale, l’uomo si libererà dalle nevrosi. «Con lo scioglimento del crampo della muscolatura genitale – scrive Reich – scompare l’idea di Dio»; si tratta di una mistica sessuale, la religione di chi sa che «l’Amore nei lombi, la dolcezza dello struggente piacere dell’amplesso è il suo vero Dio». Reich morirà nel 1957, in un manicomio degli Stati Uniti; nel 1968 le sue idee saranno riproposte in forma meno grossolana da Herbert Marcuse (1898-1979).

Torniamo a Marx: egli aveva affermato che il compito dei filosofi non è quello di «conoscere» il mondo, ma di trasformarlo. Sotto questo aspetto la Rivoluzione russa del 1917 fu un «evento filosofico» che avrebbe cambiato profondamente la storia del Novecento. Fin dagli anni Venti i comunisti al potere in Unione Sovietica cercarono di attuare e diffondere nel mondo la loro ideologia anti familiare introducendo il divorzio e l’aborto. La loro rivoluzione doveva essere «totale» e coinvolgere l’uomo stesso, la sua natura, i suoi giudizi, i suoi costumi, il suo essere più profondo. Nel 1923 fu creato a Francoforte l’Istituto per il Marxismo oggi conosciuto come la cosiddetta Scuola di Francoforte, di cui fecero parte gli esponenti del marxismo-freudismo come i già citati Reich e Marcuse. La Scuola di Francoforte costituì il laboratorio ideologico della cosiddetta «controcultura» del Sessantotto fornendo le idee necessarie a compiere le varie lotte per le categorie più svantaggiate sotto il profilo socio-culturale, in favore del femminismo, dell’omosessualismo, contro la xenofobia e il proibizionismo delle droghe. Il ruolo centrale svolto dalla cultura in questa «neorivoluzione» determinò la nascita di un’industria culturale di massa, finalizzata a corrompere e sovvertire gli usi e i costumi in senso anti tradizionale e anti cristiano. Il sociologo tedesco Teodor Wiensenground Adorno (1903-1969), uno degli esponenti di spicco della Scuola di Francoforte, confidando nella capacità di persuasione e omologazione dei mezzi di comunicazione, ne raccomandò e promosse l’utilizzo strumentale ai propri obiettivi ideologici: fu così che le idee rivoluzionarie di una minoranza andarono via via conquistando spazi sempre più ampi, dalla televisione al cinema, dalla radio ai giornali, finendo con il monopolizzare la cultura e trasformando la mentalità comune. Al nome di Adorno va associato quello di Antonio Gramsci (1871-1937) che negli anni Trenta teorizzò la conquista comunista del potere attraverso l’egemonia esercitata sui gangli culturali della società: università, case editrici, mezzi di comunicazione. Le sue teorie, assieme a quelle di Marcuse e della Scuola di Francoforte, prepararono la Rivoluzione del Sessantotto.

Il Sessantotto non fu, come comunemente si crede, una rivolta giovanile spontanea, bensì un movimento rivoluzionario preparato per portare a compimento la rivoluzione marxista, liberando gli istinti vitali dell’individuo e delle masse dal giogo imposto da secoli di cultura e di civiltà. Questo movimento di contestazione si sviluppò a metà degli anni Sessanta negli Stati Uniti e raggiunse la sua massima espansione nell’Europa Occidentale, toccando il suo apice in quello che viene ricordato come il «maggio francese». Esso ben presto passò dal livello politico-sociale a quello culturale, teso a sovvertire i valori e i principi a fondamento dell’ordine naturale e cristiano; come sottolinea Corrado Gnerre, il Sessantotto «volle essere una rivoluzione totale, una rivoluzione culturale che toccasse tutto: il quotidiano, i costumi e l’essenza stessa dell’uomo». Herbert Marcuse, uno dei suoi ideologi principali, lo spiegò come «una ribellione allo stesso tempo morale, politica, sessuale. Una ribellione totale. Essa trova origine nel profondo degli individui. […] L’idea tradizionale di rivoluzione è tramontata, adesso dobbiamo intraprendere una sorta di diffusa e totale disgregazione del sistema». Accanto all’attacco nei confronti dell’istituto della famiglia, le conseguenze concrete di questa rivoluzione furono: lo snaturamento dell’atto sessuale, con la scissione del fine unitivo da quello procreativo; la legalizzazione e normalizzazione dell’aborto in tutti gli Stati Occidentali; la diffusione della pornografia, grazie al processo di banalizzazione del sesso ridotto a mero atto di piacere; il dilagare dell’omosessualismo come normale conseguenza di una sessualità libera e istintuale, svincolata da qualsiasi riferimento morale; e, infine, la diffusione della pedo-pornografia, logico e coerente risultato di questo processo teso a giustificare qualsivoglia perversione sessuale, in nome della liberazione dei propri istinti e delle proprie passioni. Il Sessantotto diede un contributo notevole al successo del femminismo e del nascente movimento omosessuale e rappresentò una fucina ideologica delle correnti di pensiero che avranno un impatto decisivo negli anni a seguire e porteranno a una profonda e radicale trasformazione della società. Le odierne pretese dei sostenitori del gender, che vorrebbero abolire le categorie di madre e padre, richiamano alla mente alcune rivendicazioni di quel periodo.

Dalla Quarta Conferenza Internazionale sulle Donne dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) tenutasi a Pechino nel 1995, il «paradigma del gender» si è infiltrato ovunque, dalle politiche governative alle organizzazioni filantropiche e umanitarie, dalle scuole alle università, dalle aziende al mondo dell’arte, della musica, del cinema e della pubblicità. Un ruolo chiave è stato svolto dalle potenti lobby LGBT (acronimo italiano di: Lesbica, Gay, Bisessuale, Transgender) e dalle altrettanto influenti Organizzazioni Non Governative (ONG) come ad esempio Amnesty International, Planned Parenthood, Women’s Environment and Development Organization, Greenpeace presenti presso le principali istituzioni. La parità dei sessi viene vista come una delle priorità della cooperazione internazionale, cosicché oggi l’ONU, il Consiglio d’Europa, il Parlamento Europeo, l’UNESCO, l’UNICEF, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono tutti schierati in prima linea nella promozione della teoria gender.


Caratteri della teoria gender

Quanto abbiamo detto fino a ora riguarda l’aspetto storico. Sul piano degli elementi distintivi della teoria gender, due sembrano essere i principali: il suo essere innaturale e il suo essere totalitaria.

Partiamo dal primo: i sostenitori del gender negano l’esistenza di una legge naturale fissa e immutabile, per la quale ciascuno di noi nasce maschio o femmina e ha la propria sessualità biologica definita attraverso il sesso genetico e il sesso gonadico. Al contrario di ciò che essi propagandano, la scienza spiega che ognuno di noi ha un sesso genetico, identificabile con il DNA, che è quello che viene stabilito al momento del concepimento e corrisponde ai cromosomi XX per la donna e XY per l’uomo. Dal sesso genetico deriva il sesso gonadico, quello responsabile dello sviluppo degli organi riproduttivi e dei caratteri sessuali secondari che danno forma al cosiddetto sesso somatico. Dal sesso biologico, gonadico e somatico discende l’identità sessuale che a sua volta influenzerà l’orientamento sessuale dell’individuo verso il sesso opposto. Se i vari aspetti riguardanti il processo di formazione della sessualità non sono connessi in maniera armonica tra loro si avranno patologie, disordini o disturbi della sessualità umana; in particolare, l’omosessualità viene vista oggi principalmente come un mancato sviluppo psicologico, spesso a causa di traumi infantili. La teoria gender invece ignora e rifiuta tutto ciò, rivendicando il diritto di ciascun individuo a stabilire in autonomia, a prescindere dalla propria realtà biologica, la sua sessualità: un uomo può sentirsi donna o viceversa, o ancora può sentirsi a volte uomo e a volte donna. Ciò che la teoria gender nega è quella legge naturale che è inscritta nel profondo di ogni uomo e può essere conosciuta dalla ragione (lo insegnava già San Paolo nella Lettera ai Romani 2, 14-15): la legge naturale non è la legge fisico-biologica della natura, ma l’ordine morale e metafisico del creato, che l’uomo può scoprire con la propria ragione. Seguire la legge naturale significa non seguire i propri istinti, come fanno gli animali, ma la ragione, uniformando il proprio comportamento a una legge che è anche impressa nella nostra natura; in definitiva, significa essere noi stessi, mentre allontanarci dalla legge naturale vuol dire perdere l’identità che ci è propria, per precipitare nella contraddizione e nel nulla. Questo ci porta a chiarire anche il concetto di libertà: libero è colui che vive secondo la propria autentica natura, non è colui che può fare quello che vuole in maniera istintiva (questa è la «legge di Thelema», seguita in particolare, in Italia, dai satanisti). Negando l’esistenza della legge naturale, la teoria gender proclama lecito ogni capriccio individuale, come ha notato il filosofo del Diritto Mario Palmaro: «Quando una civiltà rifiuta di accettare l’esistenza del diritto naturale il giudizio diventa impossibile; qualunque giudizio morale diventa impossibile; la coscienza è cieca. Una civiltà in preda a questo accecamento prima o poi ridefinisce il matrimonio come un fatto convenzionale: qualunque cosa può essere definita matrimonio purché la maggioranza dei consociati lo voglia. […] Rotti gli argini della verità oggettiva, tutto diventa possibile, magari in nome della “coscienza individuale” o del “bene che ognuno ritiene tale a suo giudizio”. La società è così ridotta a una landa desolata, battuta dal vento gelido del relativismo».

Alla realtà di cui abbiamo esperienza la teoria gender sostituisce una costruzione astratta, senza alcun carattere stabile e oggettivo, perché tutto è lasciato all’interpretazione del singolo che, in maniera del tutto soggettiva e autonoma, sarà libero di attribuire a qualsiasi fatto o cosa la propria personale ed esclusiva spiegazione; questo porta al rifiuto di ogni limite o confine naturale o morale. Per la teoria gender, la famiglia naturale composta da un uomo e da una donna è il principale nemico da abbattere, in quanto è vista come un’istituzione che frena e ostacola la libera autodeterminazione dell’individuo. Se nel Sessantotto si proclamava la «morte della famiglia», i sostenitori del gender celebrano la comparsa di diverse forme di famiglia per proclamare che «tutto è famiglia», uno stratagemma che, equiparando tra loro i diversi modelli di unione, svuota di significato l’istituto familiare tradizionale, perché, se «tutto è famiglia», si può dire anche che «niente è famiglia». Le nuove «famiglie» si basano su legami volubili, componibili e scomponibili secondo i propri gusti, costruiti a misura dei propri desideri e dove la confusione dei ruoli regna sovrana: un imprudente e letale approccio teorico che, mettendo da parte il giudizio morale, spalanca, potenzialmente, le porte a qualsivoglia tipo di relazione e rapporto.

Come tutte le teorie contro-natura, il gender utilizza un metodo aggressivo e intollerante verso chi sostiene opinioni diverse, volto a imporre la propria visione in maniera totalitaria. Per questo molti parlano non di «teoria gender» ma di «ideologia gender»: l’ideologia relativista per eccellenza, che respinge l’esistenza di qualsiasi valore assoluto e reclama il riconoscimento dei propri diritti in nome del principio di non-discriminazione, e pretende di imporre i propri principi, questi sì insindacabili, senza discussione alcuna e servendosi di tutti i mezzi a sua disposizione, soprattutto di un sistema mass mediatico compiacente.


Il ddl Zan

Arriviamo quindi a parlare dell’Italia e del ddl Zan (o anche Testo Unificato Zan) che prende il nome dal deputato del Partito Democratico Alessandro Zan e ha raccolto cinque proposte di legge sul tema dell’omo-transfobia (paura degli omosessuali e dei transessuali): prevedeva la multa o la reclusione per chi commette o istiga a commettere atti di violenza o discriminazione per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità, o fa parte di gruppi che incitano alla violenza o alla discriminazione per i motivi sopra riportati. Questo nonostante il nostro Codice Penale (articoli 575-612 bis) tuteli la persona da qualsiasi violenza, aggressione o offesa basata sull’orientamento sessuale; inoltre, l’articolo 61, al comma 1, presenta come una circostanza aggravante delle aggressioni discriminatorie «l’avere agito per motivi abietti o futili». Secondo i dati ufficiali di «Oscad – Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori» del Ministero dell’Interno, dal 10 settembre 2010 al 31 dicembre 2018 vi sono state 1.513 segnalazioni di crimini di odio: la maggior parte di esse (59,3%) hanno come matrice la razza o l’etnia, il 18,9% la religione e il 7,8% – particolarmente odiose – la disabilità; quelle sull’orientamento sessuale sono state 197 (il 13%) e quelle sull’identità di genere appena 15 (l’1%). Ci si chiede perché creare una nuova legge quando non c’è alcun vuoto normativo e i numeri non giustificano un intervento ulteriore.

(Naturalmente, i difensori del ddl Zan non hannio speso nemmeno una parola sulla situazione degli omosessuali nei Paesi Islamici: lì l’omosessualità è generalmente vietata, ed è passibile della condanna a morte in Afghanistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran, Mauritania, Pakistan, Qatar, Somalia, Sudan, Yemen).

Sembrava che il ddl Zan fosse destinato a una rapida accettazione in Parlamento, ma l’opposizione di Lega e Fratelli d’Italia prima, e il voto segreto poi (che ha favorito l’azione dei «franchi tiratori» dei partiti di Sinistra) lo hanno affossato, anche se c’è chi propone di riesumerlo in una forma leggermente modificata ma, nella sostanza, del tutto uguale.

Non è dunque inutile parlarne. Nonostante il ddl Zan nella forma si proponga di combattere ogni tipo di discriminazione, nella realtà – secondo questa legge – spetta a un giudice decidere se la «libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte» siano idonee o «non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti» (articolo 4). In particolare, può essere considerato discriminatorio e quindi passibile di denuncia affermare il principio antropologico della differenza fra maschile e femminile, sostenere che un bambino – per un sano ed equilibrato sviluppo psicofisico – abbia bisogno di un padre e una madre, dire che due uomini o due donne non possono concepire un essere umano, esprimere contrarietà alla maternità surrogata (l’«utero in affitto») in quanto pratica gravemente lesiva della dignità della donna e dei diritti del bambino, affermare che il matrimonio è solo tra due persone di sesso diverso e che le unioni civili sono un istituto differente, persino – se si è il datore di lavoro – chiedere al proprio dipendente uomo di vestirsi da maschio (a questo proposito, qualche tempo fa è stata denunciata una preside per aver sospeso dalle lezioni un ragazzo che pretendeva di andare a scuola vestito in modo bizzarro, con occhiali da sole rosa, unghie delle mani decorate ognuna in modo diverso e via dicendo; il giudice diede ragione alla preside in quanto la scuola è un luogo di formazione e non un palco per esibizionisti, ma col ddl Zan questa decisione basata sul buon senso sarebbe diventata difficile se non impossibile).

Inoltre, il ddl Zan prevede l’istituzione, il 17 maggio, della «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia» con il coinvolgimento delle scuole di ogni ordine e grado (quindi anche le primarie) per «l’organizzazione di cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile» (articolo 7).

In altri Paesi, dove vi sono leggi simili al ddl Zan, si sono già verificate situazioni paradossali: in Francia, alcune persone sono state arrestate per aver indossato in pubblico una felpa con il disegno delle sagome di un papà, una mamma e due bambini; negli Stati Uniti, il pasticciere Jack Phillips di Denver in Colorado è stato trascinato in tribunale per aver rifiutato di realizzare una torta personalizzata per il «matrimonio» di due suoi clienti omosessuali; in Canada, Rob Hoogland è stato messo in galera per non aver accettato che la figlia minorenne fosse stata indirizzata alla «transizione di genere» dalla scuola e dagli assistenti sociali a sua insaputa; in Inghilterra, Maya Fostater è stata licenziata per aver scritto su Twitter che un uomo non può diventare donna, e il pastore evangelico John Sherwood è stato arrestato a Londra per aver letto alcuni versetti del libro biblico del Genesi e aver difeso il matrimonio come una relazione tra un uomo e una donna. E ancora: in California 270 detenuti si sono dichiarati donne e hanno chiesto di essere trasferiti nel carcere femminile, con il terrore delle detenute; in Gran Bretagna è successo qualcosa di simile, con uno stupratore che si è dichiarato donna. Nel mondo sportivo, numerose donne si trovano a dover gareggiare contro atleti nati biologicamente uomini che hanno tutt’altra prestanza fisica: emblematico il caso di Chelsea Mitchell, la più veloce atleta del Connecticut, che da quando deve gareggiare contro due velocisti nati uomini ha perso sei premi e vari posti sul podio, ha provato a protestare ma è stata addirittura censurata; Martina Navratilova, campionessa di tennis e lesbica, ha scritto sul «Sunday Times» la sua contrarietà alle competizioni femminili a cui partecipano atleti che si sentono donne pur essendo biologicamente uomini: «Sono felice di rivolgermi a una donna transgender in qualsiasi forma preferisca, ma non sarei felice di competere contro di lei».

Come è ovvio, il ddl Zan ha avuto subito un coro di critiche in Italia: ovviamente dai partiti di Destra e dai Cattolici (soprattutto quelli che lo sono per convinzione e non per convenzione), ma anche da numerosi esponenti della Sinistra e delle associazioni femministe, oltre che della comunità LGBT: tra gli altri possiamo citare a titolo di esempio Cristina Gramolini, presidente di Arcilesbica; Marina Terragni, che ha fatto le battaglie accanto al MIT (Movimento Italiano Transessuali); Cristina Comencini, regista e scrittrice femminista; Francesca Izzo, politica e femminista; Valeria Valente, senatrice del Partito Democratico e presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere; Anna Paola Concia, ex deputata del Partito Democratico; Mauro Coruzzi, in arte Platinette, che ha definito il ddl Zan una legge «liberticida, da Germania dell’Est».

La nostra speranza è che alla fine il buon senso prevalga e la teoria gender, con tutti i suoi strascichi (ddl Zan compreso) venga presto scritta nell’insieme delle idee balzane che non hanno avuto seguito.

(gennaio 2022)

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