La lotta contro l'Unione Sovietica nei Paesi dell'Est Europeo 1944-1956
Genesi e fallimento del movimento resistenziale contro l’Unione Sovietica nei Paesi Baltici, in Ucraina e in Romania

La resistenza armata ai regimi comunisti, appena sorti nell’Europa orientale subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, è un argomento trapelatosi subito dopo la dissoluzione dei regimi comunisti in URSS ed Europa Orientale, all’inizio degli anni Novanta. Prima di allora, i regimi comunisti hanno evitato di divulgare queste vicende, stessa cosa dicasi dell’Occidente, che sebbene sapesse di quella realtà, ha preferito tacere sulla vicenda per non complicare i rapporti con l’Unione Sovietica. Le prime notizie, anche se scarse, risalgono alla metà degli anni Ottanta. Pochissimo è stato pubblicato in Occidente. Gli artefici sono stati alcuni studiosi d’origine baltica. Negli ultimi anni, con l’entrata nell’Unione Europea di molti Paesi ex comunisti, è stata finalmente possibile l’apertura degli archivi rumeni, estoni, lituani ma anche della stessa Russia, fondamentali per ricostruire tutto il «mosaico» storico di che cosa avvenne effettivamente in quelle aree geografiche tra il 1945 e gli anni Cinquanta (forse oltre). Le origini della resistenza baltica, che si è diffusa in Estonia, Lettonia e Lituania, ebbe origine con l’occupazione sovietica di queste Repubbliche Baltiche nel 1940, le quali persero la loro indipendenza. I partigiani baltici lottarono poi contro i nazisti nel 1941 e dopo la fine della guerra proseguirono la lotta anti-sovietica. Il gruppo di combattenti, composto da volontari estoni, lettoni e lituani fu quello dei «Fratelli della Foresta». Tali gruppi di combattenti esistevano in realtà nel 1905, quando in quelle regioni baltiche si diffusero i primi tumulti della Rivoluzione Russa, ed erano composti da contadini ed impiegati pubblici in rivolta. Con la Rivoluzione del 1917 ed il conseguente crollo dell’Impero Russo nel 1918, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania proclamarono l’indipendenza. Molti di questi combattenti aderirono agli ideali di nazionalismo ed indipendenza delle proprie terre. Quando, come accennato già, Stalin nel 1940 rioccupò queste aree geografiche, a cui subentrò il Terzo Reich negli anni 1941-1944, riprese la guerriglia. In quegli anni gli Alleati avevano redatto la famosa Carta Atlantica, la quale, tra i suoi presupposti, riconosceva il diritto degli stati ad autodeterminarsi. Tutto ciò aveva suscitato la speranza, presso questi combattenti baltici, che ciò potesse finalmente verificarsi. Ma purtroppo non fu così, perché l’Armata Rossa nel 1944 riconquistò le regioni baltiche tenendole sotto controllo fino al 1991, attuando delle dure repressioni. In Lituania, alcuni gruppi di resistenza anti-comunisti, vennero appoggiati dagli occupanti tedeschi allo scopo di contrastare i partigiani filosovietici. Successivamente, questi vennero sospettati di condurre la lotta per finalità opposte a quelle del raggiungimento dell’indipendenza. Venne così deciso, da parte dei nazisti, di deportare i vertici della resistenza anti-sovietica il 15 maggio 1944 nel campo di concentramento di Salaspils in Lettonia. In Estonia e Lettonia, sia molti combattenti della Legione Estone «Grenadier Division SS», sia partigiani che avevano combattuto i nazisti, si rifugiarono nelle campagne e nelle foreste dove formarono i gruppi dei «Fratelli della Foresta». Gli storici, circa una connivenza tra i membri dei Fratelli della Foresta e i Tedeschi, hanno espresso punti divergenti: c’è stato chi, come Mart Laar, politico e storico estone, ha sostenuto che la resistenza baltica nel proprio entourage comprendeva attivisti anti-nazisti ed ex partigiani sovietici. Tutto questo per smentire quanto in precedenza affermato dalla propaganda sovietica, la quale aveva detto che questi gruppi di resistenza erano appoggiati da alti ufficiali del III Reich e dai facoltosi proprietari terrieri anticomunisti. Altri studiosi hanno affermato che i legami tra i Fratelli della Foresta e i Tedeschi erano avvolti da un alone di mistero.

In Estonia, che nel maggio 1945 divenne una Repubblica federativa annessa all’URSS, Stalin diede ordine all’NKVD (la polizia politica) di attuare una feroce repressione contro tutti coloro sospettati di collaborazionismo con gli occupanti nazisti. Si calcola che più di 50.000 Estoni siano stati deportati. Gli Estoni avevano sperato come del resto gli altri popoli baltici di recuperare la propria indipendenza, confidando nelle potenze vincitrici alleate (USA, Regno Unito e Francia). Prospettiva che si è rivelata illusoria, perché in virtù degli accordi internazionali, fu permesso ai Sovietici di estendere la loro influenza su tutta l’Europa Orientale. Tra i capi di quest’organizzazione clandestina, figurava Ulo Altermann. Le armi a disposizione dei partigiani appartenevano all’esercito tedesco in ritirata nell’estate del ’44. I primi attacchi alle forze d’occupazione russe risalgono al marzo 1945, diretti verso piccoli distaccamenti e alcune colonne motorizzate. I Sovietici, allora, incrementarono i rastrellamenti nei boschi e zone limitrofe. Per individuare le cellule clandestine ricorsero a vari mezzi, tra cui la taglia e la tortura. Vennero minacciate e torturate persone, non coinvolte direttamente nella resistenza, ma che comunque avevano qualche legame di parentela con qualche partigiano. Addirittura, i soldati sovietici bruciarono i villaggi dei contadini, i quali erano simpatizzanti dei nazionalisti estoni. Per fronteggiare l’emergenza, Mosca aveva inviato altre migliaia di soldati ed agenti scelti della polizia segreta (NKVD). Dagli archivi della polizia segreta, è trapelato che gli attacchi contro i presidi dell’Armata Rossa siano stati ben 136, condotti sotto la regia di uno tra i più grandi capi, Arnold Lindermann. All’inizio del 1946, altre migliaia di soldati vennero inviati nella regione per fronteggiare la guerriglia. Stalin aveva ordinato una dura repressione contro le popolazioni, accusate di collaborazionismo. La popolazione, soprattutto i ceti agrari ridotti in miseria per via della «collettivizzazione» che li aveva privati dei propri beni terrieri, con tenacia ha appoggiato i partigiani, i quali per anni hanno resistito con accanimento. Verso la fine del 1948 Stalin, dopo essere stato informato di un attacco condotto ad un deposito militare, ordinò la deportazione di 2.000 cittadini estoni, che in realtà erano innocenti. Altre rigorose misure vennero prese dallo stesso dittatore sovietico, tra cui quella di tagliare i rifornimenti alimentari alla popolazione, con lo scopo di far perdere il consenso ai partigiani. Nel 1949, 100.000 cittadini estoni vennero deportati per ordine di Stalin. L’episodio è stato tanto cruciale, da indurre alcuni partigiani del movimento nazionalista a mollare. Ma per intervento dei leaders più noti e carismatici, alla fine tutto il movimento si pronunziò compatto per la lotta ad oltranza. I Fratelli della Foresta ebbero assistenza da parte degli Americani e degli Inglesi, i quali, con aerei che decollavano dall’isola di Bornholm (Danimarca), rifornivano i guerriglieri. Col tempo le autorità sovietiche riuscirono ad avere ragione dei vari gruppi di resistenza, inviando forti contingenti di soldati e poliziotti per la battaglia finale, procedendo a deportazioni, esecuzioni eccetera. Secondo i rapporti del KGB, nel 1955 rimanevano 900 uomini nascosti nelle foreste. Ciò è stato la premessa per potere stanare gli ultimi nuclei di resistenza, che poi vennero stanati. Sempre secondo i rapporti del KGB, l’ultimo gruppo partigiano, quello di Oskar Lillenurm, venne circondato ed annientato dalle forze di polizia nel 1975. Lillenurm è sfuggito al massacro, ma morì in circostanze, ancora da verificare, nella primavera del 1980.

Al pari dell’Estonia, anche in Lettonia tra il 1944 e gli anni Cinquanta si diffuse un movimento nazionalista che ha avuto l’appoggio del clero e della popolazione. In base ai rapporti dei servizi segreti sovietici, i guerriglieri nazionalisti hanno eliminato circa 3.000 tra agenti e soldati dell’NKVD e dell’esercito sovietico (periodo 1944-1955). I Sovietici nel marzo 1949, deportarono nei campi di concentramento 10.000 civili, tutti o in parte in legami anche di parentela coi partigiani. Dopo la guerra, molti combattenti per la libertà si rifugiarono in Occidente raggiungendo l’Inghilterra e mettendosi a disposizione dei servizi segreti inglesi, con lo scopo di sostenere i loro compagni rimasti in patria a combattere. Tra il 1949 e il 1952 i servizi segreti americani e inglesi addestrarono questi combattenti lettoni. Secondo alcune testimonianze, vennero paracadutati tramite aerei decollati dalla Germania Occidentale sul loro territorio d’origine. Una volta giunti sul proprio territorio, compirono azioni di sabotaggio, molte delle quali si rivelarono un fallimento. La causa probabile di questo fallimento, è da attribuire all’agente segreto britannico (al soldo di Mosca) Kim Philby, che ha passato molte informazioni ai Russi. La resistenza lettone, comunque, tra il 1951 e il 1955, venne destinata a sfaldarsi. Mosca, cominciò da parte sua a concedere una serie di amnistie, che portarono i pochi gruppi di partigiani, nascosti nelle foreste, a consegnarsi alle forze di polizia. Ma ciò, non li salvò dalla deportazione nei campi di concentramento. Poi sopravvenne una pacificazione imposta da Mosca a tutta la regione. Alcuni fuoriusciti baltici, poterono rientrare in patria con l’autorizzazione del Governo Centrale.

Anche in Lituania, per iniziativa del Generale Motiejus Peciulionis, nasce un movimento di resistenza ai Sovietici, il 9 luglio 1944. Erano le squadre Samojtian. La repressione sovietica contro i partigiani e contro la popolazione è stata spietata. Vennero deportati nella primavera del ’45 ben 40.000 cittadini lituani, accusati di collaborazionismo con la resistenza. Il popolo lituano, nonostante ciò, proseguì con coraggio la propria lotta contrastando la feroce repressione del Generale Sovietico Mikail Suslov. Il movimento di resistenza lituano era composto da forze consistenti, ognuna di 600-800 individui. I vari gruppi agivano ognuno in forma autonoma. Essi erano ben organizzati secondo schemi tipicamente militari, ed avevano armamento di fabbricazione tedesca e cecoslovacca. I più autorevoli leaders partigiani, Luksas e Pajaujis, riuscirono a fuggire all’estero, arrivando in Germania Occidentale, esattamente a Baden Baden, dove incontrarono i vertici in esilio del Vlik (Comitato supremo per l’indipendenza della Lituania), nei giorni 7-9 luglio 1948. Si era discusso su come si sarebbe dovuto condurre la resistenza antisovietica. Come è successo in Lettonia, anche in Lituania il movimento di resistenza era destinato a fallire di fronte al rafforzamento del potere sovietico. Addirittura, si decise di cambiare tattica: ossia dalla resistenza armata passare a quella cosiddetta «passiva», coinvolgendo così gran parte della popolazione. Ciò comunque era destinato ad un epilogo negativo. Gli ultimi gruppi sono stati annientati dalle forze sovietiche nel 1955.

Analoghi gruppi di resistenza sono sorti in Ucraina e Romania. In Ucraina, esisteva a partire dal 1929 l’OUN (Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini) formata da nazionalisti ucraini ed anticomunisti. L’obiettivo originario di questo movimento, è stato quello di fondare uno stato indipendente ucraino, sin da allora ha condotto la propria lotta per il suo perseguimento, contro Paesi stranieri come Polonia, Cecoslovacchia e Russia, i quali controllavano i territori occidentali ucraini. Nel 1940 l’OUN si spaccò in due gruppi: quelli più moderati che sostenevano Andriy Melnyk, quelli più radicali invece Stepan Banderas. Nel giugno 1941 Banderas fondò uno stato indipendente ucraino. Il gesto gli costò l’arresto e lo scioglimento della sua organizzazione da parte delle autorità occupanti tedesche. Nell’ottobre 1942 venne fondato l’esercito insurrezionale ucraino (UPA). Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, i guerriglieri dell’UPA, oltre a continuare la lotta contro i nazisti, proseguirono i loro attacchi contro la minoranza polacca e gli Ebrei. Gli storici hanno stimato che almeno 60.000-100.000 Polacchi siano stati massacrati in Galizia e Volinia. Finita la guerra, l’UPA ha continuato a combattere contro gli occupanti sovietici e i Polacchi. I Polacchi nel 1947 con la cosiddetta «Operazione Vistola», hanno dato il via nei territori sud-orientali della Polonia alla deportazione di 140.000 Ucraini dei gruppi etnici «Boyko» e «Lemko», togliendo il sostegno ai guerriglieri. Invece i Sovietici hanno deportato 500.000 civili ucraini. Nel periodo della Guerra Fredda, i servizi segreti americani, inglese e tedesco-occidentale hanno sostenuto l’UPA nella lotta contro il potere sovietico. Tra il 1948 e il 1952 vaste operazioni di lanci di commando in territorio sovietico, sono state effettuate partendo da aeroporti della Turchia, di Cipro e della Germania Ovest. Gli sponsorizzatori erano gli Inglesi del SIS, artefici dell’operazione «Integral», consistente nell’addestramento e nel paracadutamento di gruppi di Ucraini sul territorio avversario. Quasi tutti questi piani fallirono a causa della già accennata spia doppiogiochista Kim Philby. Quest’ultimo nel marzo 1951 aveva riferito ai Sovietici che gli Americani avevano in programma di lanciare in territorio ucraino tre commandos di sei uomini ciascuno. L’operazione venne effettuata nel successivo mese di maggio, quando dall’isola di Cipro un Douglas C47 dell’aviazione inglese aveva trasferito dei combattenti ucraini in Turchia, da dove avrebbero raggiunto la Bulgaria, per passare in Romania e poi in Moldavia. Appena entrati in Bulgaria, furono individuati ed annientati dalle forze di polizia locali. Altre successive operazioni avvenute, si conclusero in modo fallimentare. Intanto nel marzo 1950 in Ucraina ed esattamente nel villaggio di Chornylis, reparti del Ministero degli Interni, scovarono ed uccisero il capo partigiano Roman Shukhevych. Molti partigiani, nonostante altissime perdite, riuscirono a rifugiarsi ad Occidente, per esempio nella Germania Ovest. Il nuovo leader dell’UPA, Vasyl Kuk, venne arrestato dagli agenti del Ministero degli Interni Sovietico nel 1955. Ciò ha inferto un duro colpo al movimento di guerriglia che si dissolse rapidamente, anche se gli ultimi gruppi rimasero in armi fino al 1960.

In Romania negli anni tra il 1944 e il 1945, all’indomani dell’ingresso delle truppe sovietiche e della caduta del Governo fascista del Generale Antonescu, i vertici del potere politico furono assunti dal Partito Comunista Rumeno. Il Paese era destinato oramai ad entrare nella sfera d’influenza russa. Molti ufficiali fedeli al Re Michele I e al Conducator (Duce) Ion Antonescu, cominciarono ad organizzare la resistenza armata contro le forze d’occupazione sovietiche. I primi gruppi di resistenza, formati anche dalle minoranze etniche ungherese e tedesca, sorsero sui monti della Transilvania, ed ebbero l’appoggio dei Tedeschi attraverso una copertura aerea denominata «Fallschirmschpringer-Aktion», in cui aerei tedeschi paracadutarono consiglieri militari del Fak (Front Aufklarungs Kommando) per addestrare i rivoltosi. Dopo la caduta del dittatore Ion Antonescu, Re Michele cercò di riavvicinare la propria Nazione alle potenze occidentali, anziché all’Unione Sovietica. Gli Americani pianificarono l’operazione «Hammerhead» che consistette nella raccolta di tutte quelle informazioni riguardanti la situazione politica del Paese e nell’appoggio dei gruppi militari filo-occidentali. Questa fu una cosa preliminare, ed a attuarla è stato Frank Wisner, funzionario dell’OSS. Il piano venne ripreso e rielaborato nel 1946, quando gli Americani organizzarono 14 operazioni segrete con l’invio di agenti segreti occidentali e ricognizioni aeree di supporto. Nel febbraio di quell’anno due ufficiali americani, il Maggiore Thomas Hall e il tenente Ira Hamilton si misero in contatto con i gruppi armati della Transilvania e della Bucovina. Nicolae Radescu, ex Generale Monarchico, che dal 1946 viveva negli USA, presentò alle autorità statunitensi il progetto di arruolare molti profughi rumeni in unità combattenti, le quali sarebbero poi rientrate in patria, lottando così contro le autorità comuniste. Molti di questi combattenti, durante la guerra avevano dimostrato il loro coraggio combattendo prima nella Guardia di Ferro (formazione fascista rumena) e poi nella Wehrmacht e nelle SS tedesche. Secondo quanto riportato nei rapporti dell’intelligence americana, in Transilvania i gruppi di resistenza combatterono con coraggio contro le soverchianti forze russe e rumene. I partigiani, sul campo ebbero dei notevoli successi, testimoniati da un agente della CIA, Gordon Mason, inviato sul posto per raccogliere informazioni su tutte le formazioni operanti sul campo. Mason li vide combattere in Transilvania, in Bucovina, nei Carpazi Centrali. Quando la CIA lesse i rapporti, autorizzò lo stesso Mason ad incontrarsi con i capi della resistenza e a riferir loro che il Governo Americano avrebbe inviato rifornimenti di armi e finanziamenti. Lo stesso Mason fece richiesta alla stessa CIA di inviare per via aerea oltre ai rifornimenti in armi, denaro e apparecchiature radio, anche «gruppi» di volontari rumeni. La richiesta venne infatti accolta. Tra il 1950 e il 1953, da un aeroporto vicino ad Atene, gli aerei C47 da trasporto decollarono alla volta della Romania, paracadutando uomini e mezzi indispensabili per la resistenza. Molte di queste missioni, secondo i resoconti dei servizi americani, fallirono a causa della spia doppiogiochista Philby. Il Paese in quel momento era cambiato, la Monarchia era decaduta nel dicembre 1947, l’ultimo Sovrano, Re Michele II, costretto all’esilio. Venne instaurata la Repubblica Popolare, d’ispirazione sovietica. Tutti i partiti politici messi al bando, la proprietà privata posta sotto il controllo dello stato. Alla resistenza anti-comunista, aderirono anche studenti, operai e proprietari terrieri, vittime quest’ultimi degli espropri. La resistenza armata durò fino al 1960. Tra i più valorosi capi, che inflissero duri colpi alle forze di polizia rumene e dell’Armata Rossa sovietica, figurò Georghe Arsenescu, attivo sui monti Fagaras fino al 1952, per poi ritornare nel 1959. Nel 1960 venne imprigionato, torturato e poi costretto a suicidarsi. Sempre sui monti Fagaras, un’altra unità, quella guidata da un certo Gavrilachw, combatté con accanimento contro l’occupante sovietico e le autorità locali comuniste nel 1956. Un altro grande capo partigiano è stato Altromitru Moldoveanu. Egli resistette a vari tentativi di tortura allo scopo di estorcergli tutte le informazioni. Morì poi strangolato con un filo di ferro. Nonostante il coraggio e la determinazione, dimostrati in battaglia, moltissimi di questi gruppi di partigiani, vennero costretti alla resa, come il caso di un gruppo di guerriglieri attivo in Transilavania nel 1956, il quale dopo essersi arreso, venne fucilato. Anche i civili rei di avere appoggiato i guerriglieri, vennero passati per le armi. All’interno del movimento di resistenza, figurò Elisabeta Rizea, la quale nel 1945 si unì ai partigiani come staffetta. Venne imprigionata nel 1949, subendo torture fisiche e psicologiche. Nel 1958 uscì dal carcere, intenzionata ancora ad aiutare i partigiani. Nel 1961, fu arrestata una seconda volta e condannata a 25 anni di carcere. Venne scarcerata in seguito ad un’amnistia nel 1964, tenuta sotto stretta sorveglianza dal regime comunista fino al 1989, anno della caduta di Ceausescu.


Bibliografia

Di Keith Lowe, Il continente selvaggio: l’Europa alla fine della Seconda Guerra Mondiale

Alberto Rosseli, La resistenza antisovietica e anticomunista in Europa Orientale 1944-1956, Edizioni Settimio Sigillo, Roma 2004

M. Laar, War in the Woods: Estonia’s Struggle for Survival, 1944-1956, The Compass Press, Washington, 1992

Alberto Rosselli, La Resistenza antisovietica dei Paesi dell’Est Europa, «RAIDS», Editore Lupo, Vicchio (Firenze), marzo 2004

Alberto Rosselli, I Fratelli della Foresta, «AREA», giugno 2003

Alberto Rosselli, La Resistenza anticomunista in Romania, «AREA», settembre 2003

N. West, MI 6 British Secret Intelligence Service Operations, 1909-1945, Weidenfeld & Nicholson, London 1983

Alfonsas Eidintas, Alfredas Bumblauskas, Antanas Kulakauskas, Mindaugas Tamošaitis, The History of Lituania, Publishing House «Eugrimas», 2015.

(novembre 2017)

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