L’indipendenza dei Paesi dell’Africa Occidentale
Ghana, Guinea e Mali: speranze e delusioni

L’Africa Occidentale che si affaccia sul Golfo di Guinea, regione relativamente più popolosa rispetto al resto del continente nero, fu quella dove si ebbero i più attivi movimenti anticolonialisti, ed una serie di crisi che destarono l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale.

Il Ghana, uno dei Paesi relativamente più evoluti economicamente e politicamente, fu il primo Paese dell’Africa Subsahariana a raggiungere l’indipendenza, attraverso un processo di riforme graduali.

Ottenuta la piena sovranità nel 1957, il Paese conobbe una involuzione a carattere autoritario, attraverso la repressione dell’opposizione, l’emanazione di leggi che prevedevano la detenzione fino a cinque anni senza processo, e l’allontanamento dei giudici non graditi dal Governo Centrale. Anche le autonomie locali e i poteri tradizionalmente riconosciuti alle tribù vennero aboliti e concentrati nelle mani di funzionari di nomina governativa, con grave danno per le popolazioni che vivevano nelle regioni interne del Paese. Nello stesso anno dell’indipendenza venne introdotto un sistema elettorale che prevedeva l’attribuzione di tutti i seggi parlamentari al partito che avesse ottenuto la maggioranza. Tale sistema introdotto successivamente anche in altri Stati, consentì l’affermazione di un regime totalitario. L’artefice del nuovo Stato Africano, Kwame Nkurumah, eliminò in breve tempo gli avversari ed ex alleati politici, concentrò tutti i poteri dello Stato nella sua persona, e divenne oggetto di un culto della personalità che fondeva elementi religiosi e principi marxisti. Negli anni successivi il leader africano, che si fece insignire del titolo di Osagiefo (= redentore), fece erigere numerosi monumenti alla sua persona, e si diede ad un lusso sfrenato, dissipando fra l’altro una parte delle non floride finanze dello Stato.

Mentre Nehru o Nasser venivano esaltati come grandi personaggi, il leader africano al pari di Kim il Sung in Corea, si propose come qualcosa al di sopra degli altri esseri umani, toccando livelli patologici che influirono negativamente sulla vita del Paese. Parlando dei leader dei nuovi Paesi Africani, di cui Nkrumah rappresentava uno degli esempi più significativi, il Presidente Zambiano Kaunda ha sostenuto una sua personale tesi: «So bene che molti dirigenti dei nuovi Stati Africani sono stati aspramente criticati per aver dato alla propria immagine dopo l’indipendenza proporzioni sovrumane. Da qui derivano le accuse di fascismo o di messianismo. Sono critiche però che non tengono abbastanza conto della funzione del capo per salvaguardare l’unità nazionale. Spesso il capo è il solo punto fermo di una società in rapida e tumultuosa trasformazione. Non si può negare comunque che l’esaltazione del capo comporti dei rischi. È necessaria una forte fibra morale per non lasciarsi corrompere da un eccesso di potere e la sua politica deve essere tanto razionale da convincere anche l’ultimo cittadino che non agisce per fini esclusivi del potere ma al servizio della Nazione»[1]. Lo stesso Kaunda ha infatti dimostrato con la sua azione di governo che è possibile dirigere Nazioni anche eterogenee dal punto di vista etnico-culturale senza degenerare nell’autoritarismo.

Sul piano economico l’esperimento di Nkrumah si risolse in un fallimento e provocò la formazione di una vasta opposizione popolare nel Paese. Vennero realizzati dei grandi complessi industriali inservibili, nazionalizzate numerose industrie e le piantagioni di cacao, di cui il Paese era stato il maggiore produttore mondiale, ed imposte una serie di restrizioni al commercio che risultarono fatali all’economia. Il Governo amante delle grandi realizzazioni, progettò la costruzione di una imponente diga sul fiume Volta; il progetto, risultato dispendioso, venne portato a termine negli anni successivi, ma la difficile situazione economica ne ha impedito la piena utilizzazione, e non ha potuto impedire il consistente calo della produzione agricola e alimentare del Paese.

Il leader africano prima di essere rovesciato nel 1966 da un colpo di Stato militare legò il suo nome ad alcune importanti iniziative nel campo della politica estera con la creazione di una confederazione con la Guinea (anch’essa retta da un regime marxista), la sottoscrizione di un accordo con la Cina Popolare, e soprattutto con il progetto per l’unità africana, che sebbene sia stato oggetto di alcune conferenze internazionali non ha trovato alcuna attuazione. Il momento di maggiore popolarità internazionale venne raggiunto nell’aprile del 1958 con l’organizzazione della conferenza di Accra dove venne posto l’obiettivo di superare la contrapposizione del mondo in due blocchi, combattere il colonialismo e il razzismo, fornire appoggio ai movimenti indipendentistici antifrancesi dell’Algeria e dell’Africa Occidentale, ma come molte altre iniziative non superò la fase dei semplici propositi.

La Guinea, anch’essa relativamente ricca di risorse naturali, conobbe uno sviluppo non diverso da quello del vicino Ghana. Il Paese raggiunse l’indipendenza nel 1958 sotto la guida del leader politico Sekou Tourè, il quale cercò di instaurare nel Paese un regime marxista particolarmente rigido, diverso dai Governi ispirati al «socialismo africano» diffusi nel resto del continente. L’estremismo di questo Governo portò il Paese alla rottura delle relazioni diplomatiche con la Francia (accusata di complotto contro il Presidente), ad uno stato di tensione con gli altri Paesi dell’area francofona e con lo stesso regime progressista senegalese di Senghor. Il Paese nonostante il suo isolamento ottenne degli aiuti dagli Stati Uniti e soprattutto dalla Cina che non alleviarono comunque la difficile situazione economica del Paese.

Nel corso degli anni Sessanta le popolazioni non appartenenti al gruppo di potere dominante furono oggetto di dure repressioni (si contarono un numero incredibile di prigionieri politici, di internati nei campi di concentramento e circa due milioni di profughi in un Paese che contava cinque milioni di abitanti), vennero eliminati numerosi ex compagni politici di Tourè, e istituita una milizia popolare per far fronte ai numerosi complotti politici (o ritenuti tali) contro la sicurezza del Paese.

L’economia della Guinea nonostante le sue notevoli risorse ha conosciuto una involuzione non inferiore a quella del vicino Ghana. L’aspra contesa con la Francia determinò la fuga della maggior parte dei cittadini francesi lasciando il Paese sguarnito di quadri e di tecnici. Vennero nazionalizzate le banche e le attività commerciali, e riorganizzata l’agricoltura con la collettivizzazione delle terre. Come nella Cina Comunista a cui il regime si ispirava, vennero creati comitati di villaggio e fatto largo ricorso alla mobilitazione delle masse, istituzioni attraverso le quali il Governo Centrale del Paese attuava il suo sistema di controllo sulla collettività. Solo il settore minerario sfuggì al controllo dello Stato e i diritti delle società straniere in questo settore vennero sostanzialmente rispettate, per impedire il disastro economico del Paese.

Nel 1970 la Guinea subì una grave violazione da parte di mercenari guidati da ufficiali bianchi che cercarono di eliminare le basi dei movimenti guerriglieri della Guinea Portoghese, azione che avrebbe potuto avere più gravi conseguenze e implicazioni internazionali. In seguito forse a questo episodio, il regime di Conacry pur mantenendo intatte le sue strutture dittatoriali, ricercò un compromesso con i Paesi vicini e riprese le relazioni con il Governo Francese. Il Governo Comunista non poté comunque sopravvivere alla morte del suo leader nel 1984, e di lì a poco venne sostituito da un regime militare che comunque si rese anch’esso responsabile di gravi atti contro le minoranze etniche e non garantì la pacificazione del Paese.

Anche il Mali, che per un breve periodo di tempo costituì una sorta di federazione con la Guinea, ha conosciuto un sistema di pianificazione economica e collettivizzazione delle terre che ha prodotto come maggiore risultato un calo nella produzione del miglio, alimento base della popolazione, l’ostilità dei nomadi Tuareg e dei capi tradizionali musulmani. Tale politica economica produsse inoltre una notevole inflazione, che ha provocato un netto peggioramento della situazione economica del Paese.


Nota

1 K. Kaunda, Una Zambia zambiana, traduzione italiana, Bologna, 1971, pagina 54.

(settembre 2015)

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