Il conflitto Iran-Iraq
Una guerra di aggressione voluta dall’Iraq con lo scopo di diventare una potenza regionale in Medio Oriente, ma che di fatto segnò l’inizio della caduta del regime di Saddam Hussein

La rivoluzione islamica avvenuta in Iran del 1979 rappresentò un pericolo per l’egemonia del partito del Ba’t in Iraq, che tramite il suo maggior esponente, Saddam Hussein, guidava l’Iraq dal 1958. Le forze di sicurezza irachene avevano il timore che il «contagio rivoluzionario» si potesse propagare anche in Iraq.

L’Ayatollah Khomeini esortò la popolazione sciita irachena ad abbattere «il regime ateo batista» in Iraq.

«Abbattete questo regime corrotto nel vasto Paese musulmano...» (Khomeini).

Nella metà degli anni Settanta, in Iraq si diffuse una serie di partiti politici di stampo islamista che erano tollerati dal regime, ma al tempo stesso tenuti sotto stretta osservazione. Questi partiti propugnavano l’instaurazione di un Governo che avrebbe dovuto imporre la legge islamica. Il più importante tra questi partiti fu il Da’Wah, fondato nel 1957, guidato da Muhamed Baquir as Sadr, costituito da giovani funzionari appartenenti alla corrente islamica sciita. Grazie al sostegno finanziario dell’Iran, il partito del Da’Wah indisse diverse manifestazioni a Bagdad contro il Governo batista.

A seguito dell’isolamento internazionale in cui era incappato l’Iran a causa del sequestro del personale dell’ambasciata degli Stati Uniti, Saddam Hussein richiese all’Iran di modificare un trattato bilaterale stipulato nel 1975 che stabiliva i confini tra i due Paesi sul fiume Shatt al Arab. L’intento dell’Iraq era estendere il confine a Est in modo di poter aumentare lo sbocco sul Golfo Persico, per movimentare più greggio. Al perentorio rifiuto dell’Iran, Saddam Hussein decise di appoggiare un colpo di Stato da parte di gruppo di ufficiali iraniani che volevano organizzare un «golpe» contro la neonata Repubblica Islamica, tramite l’invio di armi, e un supporto logistico. Il «putsch» fallì, gli organizzatori vennero scoperti dai servizi di sicurezza iraniani e condannati a morte per alto tradimento.

L’Iraq fece leva sulle sanzioni economiche internazionali contro l’Iran e sull’appoggio implicito delle due superpotenze USA e URSS; il 22 settembre del 1980, Saddam Hussein ruppe il trattato e ordinò a diverse divisioni corazzate di invadere i territori al confine del Sud dell’Iraq per un fronte di 500 chilometri.

I carri armati iracheni non incontrarono nessuna resistenza e i principali analisti militari sostennero che il conflitto sarebbe durato al massimo un paio di mesi.

Gli Stati Uniti e la Russia, come già preventivato dallo Stato Maggiore dell’esercito iracheno, preoccupati per lo sfrenato radicalismo religioso della rivoluzione islamica, decisero entrambi di fare da spettatori, sperando in fondo in una vittoria dell’Iraq in tempi brevi. Anche Israele era interessato perché l’Iraq uscisse vincitore dal conflitto, e gli fornì del supporto finanziario. Invece dalla parte dell’Iran si schierarono la Giordania e la Siria che chiuse un oleodotto che dall’Iraq arrivava fino al Mediterraneo, causandogli una grave perdita di ricavi.

A novembre, l’Iran arrestò l’avanzata delle truppe irachene grazie all’utilizzo di milizie volontarie formate anche da adolescenti.

Nel mese di gennaio del 1981 l’Iran lanciò una controffensiva che riuscì a respingere le armate dell’Iraq nel loro confine. L’Ayatollah Khomeyni dichiarò alla radio che le truppe guidate da Allah avrebbero puntato direttamente su Bagdad.

Un gruppo di ufficiali dello Stato Maggiore dell’esercito iracheno accusò Saddam di aver causato la disfatta. A quel punto entrarono in azione gli Stati Uniti al fianco dell’Iraq, che, preoccupati di un’invasione iraniana in Iraq, avrebbero a sua volta minacciato direttamente il Kuwait e l’Arabia Saudita, fondamentali per la sussistenza degli Stati Uniti in quanto loro fornitori di greggio.

Decisivo fu l’intervento diretto a Bagdad di Donald Rumsfeld, all’epoca inviato speciale del Presidente Americano Ronald Reagan, che ebbe un lungo colloquio con Saddam Hussein in cui vennero definiti tutti i dettagli sulla partecipazione americana in Iraq. Gli Stati Uniti misero a disposizione gli aerei radar Awacs che fornivano all’esercito iracheno le informazioni sui movimenti delle truppe iraniane, oltre al rifornimento a basso costo dei prodotti agricoli che sarebbero serviti per la creazione di armi chimiche da parte dell’esercito iracheno.

Nel 1983 il conflitto si trasformò in una guerra di trincea. L’Iran, debole dal punto di vista degli armamenti, era forte grazie alla retorica della dottrina del regime, in cui inneggiava alla jihad contro l’invasore iracheno al soldo del padrone capitalistico degli Stati Uniti. Dall’altra parte l’esercito iracheno mantenne la sua compatezza, anche grazie alle forze sciite irachene che si organizzarono in milizie armate per contrastare l’avanzare degli Iraniani.

«Le linee del fronte iraniane tendono a presentare scene di caos e di dedizione; mullah in turbante, col fucile a tracolla, scorazzano a bordo di motociclette dai colori vivaci incoraggiando le truppe. Slogan regiliosi sono affissi ovunque, in segno della loro disponibilità al martirio» (Al-Khalil, Repubblic of Fear: the politics of Modern Iraq).

Nel 1986 l’Iran organizzò un’imponente offensiva nel Sud dell’Iraq, a poche decine di chilometri da Bassora.

A quel punto, entrarono in azione direttamente gli Stati Uniti che con uno squadrone di caccia bombardieri F-16, fecero un massiccio bombardamento che annientò quasi interamente la flotta iraniana stanziata nel porto di Al-Faw, nel Golfo Persico.

Contemporaneamente, la stessa aviazione irachena bombardò i territori vicino alla città di Al-Faw, controllata dall’esercito iraniano, facendo uso del gas mostarda e che consentì di riconquistare le roccaforti perdute nel corso dell’avanzata iraniana.

L’esercito iracheno, vedendo che l’utilizzo del gas era stato fondamentale per raddrizzare le sorti del conflitto, decise di impiegare lo stesso gas per bombardare la città curda di Habalgrah, nel Nord-Est Iracheno. La scelta di bombardare la città a maggioranza curda fu dovuta al fatto che i partiti di opposizione curdi avevano sostenuto l’Iran durante la controffensiva tra il 1982 e il 1983. Il bombardamento provocò la morte di 5.000 civili e altri 12.000 morirono in un secondo momento. Sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica decisero di ignorare vergognosamente il massacro. L’Iran di fronte alle sanzioni delle Nazioni Unite, alla quasi esaurita riserva di petrolio dovuta alle sanzioni, decise di accettare la risoluzione dell’ONU in cui si richiedeva il cessate il fuoco da entrambi le parti. Il 18 luglio del 1988 venne firmato un armistizio e la pace venne ratificata dopo due anni, il 20 agosto del 1990. Il conflitto si chiuse con più di un milione di morti.

(marzo 2020)

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