Benedetto XVI: fede, ragione e speranza
Il pensiero di un grande Pontefice dei nostri giorni

Nel momento in cui è tornato alla Casa del Padre, proprio alla fine del 2022 che appare simbolicamente come quella di un’epoca, il grande Pontefice di Santa Romana Chiesa si è imposto alla comune riflessione circa il suo straordinario ruolo di pastore e di pensatore, esercitato in una lunga vita dedicata a fede e ragione, e nello stesso tempo, all’impegno per la loro ardua ma necessaria sinergia, nell’ambito di una sintesi all’insegna insopprimibile della speranza cristiana.

Papa Ratzinger è stato un grande teologo, oltre che demiurgo di pace e di conciliazione, ma nello stesso tempo, con singolari visioni profetiche. In proposito, basti rammentare la sua visione del futuro illustrata nelle celebri lezioni del 1969 quando si espresse in termini oltremodo chiari sul processo di scristianizzazione che stava già coinvolgendo il mondo occidentale, la Chiesa Cattolica e non solo quella, e che lo avrebbe fatto ancor più nell’avvenire, togliendole tanti residui poteri mondani e riducendola, come da profezia dello stesso Ratzinger, a un’eletta schiera di fedelissimi, se non anche di Martiri, da cui trarre gli spunti e gli auspici necessari per un’autentica rifondazione: vaticinio solo apparentemente pessimista ma conforme all’intenso spiritualismo delle origini e tanto più degno di riflessione a mezzo secolo da quella profezia, tristemente verificata nella «realtà effettuale» di oggi.

Essendo nato nel 1927, aveva vissuto gli anni del potere nazionalsocialista in età giovanile, ma aveva fatto in tempo a mutuarne esperienze indimenticabili, a cominciare da quelle di un potere cieco e assoluto, e di una tragica distruzione della propria terra, traendone motivi di sicura e forte opposizione, tanto più convinta, anche alla luce di quella che si «respirava» in casa, per opera categorica e prioritaria del padre. Come ha scritto con dovizia di particolari nella lunga autobiografia[1], avrebbe rischiato più volte la vita salvandosi, da un lato per la sostanziale rassegnazione all’incipiente sconfitta da parte di chi avrebbe potuto essere suo persecutore, e dall’altro per il mero dileggio riservato dagli avversari a una fede cattolica già professata alacremente dal futuro Papa; meglio ancora, per una sorta di intercessione divina che lo protesse nei momenti peggiori.

Non è un caso né tanto meno un mistero, che il Santo Padre avesse scelto il proprio nome di Papa ispirandosi a San Benedetto da Norcia con il grande invito a «pregare e lavorare» per farsi apportatori di pensiero e di meditazione, ma nello stesso tempo, di presenza attiva nel mondo fatto a immagine e somiglianza di Cristo, e quindi di Dio. D’altro canto, quella scelta si era ispirata anche a Benedetto XV, il Pontefice che durante il Primo Conflitto Mondiale aveva bollato la guerra con la celebre definizione di «inutile strage», tanto più pertinente nel cuore dei credenti, secondo cui i dissidi fra gli uomini e gli Stati si possono risolvere non già con le armi, ma con la riflessione e la cooperazione.

Alcuni esegeti sembrano scoprire soltanto oggi che Papa Ratzinger è stato un grande «incompreso» ancor prima di essere entrato nell’occhio di talune opposizioni sorte persino nell’ambito della Chiesa, in chiara antitesi a un corretto e beninteso tradizionalismo interpretato come autentica fedeltà alle origini, ben lungi dall’essere un qualsiasi orpello formale. In tal senso, quella di Papa Benedetto XVI è la ricerca di una rinnovata semplicità e di un adeguamento alle mutevoli esigenze del mondo sempre più piccolo, ma nello stesso tempo, impegnato ad accogliere una popolazione crescente con progressioni sempre più accelerate, al pari dei problemi sociali.

Nell’omelia del 18 aprile 2005, pronunciata il giorno precedente l’ascesa al Pontificato, il Cardinale Ratzinger aveva attirato l’attenzione del Sacro Collegio sulla «necessità di essere animati da una santa inquietudine»: quella dei paladini della fede e «dell’amicizia con Cristo» per donarla agli altri con un atto di servizio dal fondamentale rilievo nella missione sacerdotale.

Tutti gli uomini, aveva proseguito il Cardinale, hanno il desiderio di lasciare «una traccia che rimanga, ma bisogna fare in modo che diventi anche un frutto»: ebbene, non sono tali il denaro, gli edifici, i beni materiali, persino gli amatissimi libri. In un tempo breve o lungo, ma comunque ineluttabile, tutto ciò scompare, mentre l’anima rimane nell’eternità col patrimonio di amore e di conoscenza che abbia potuto sviluppare nell’impegno cristiano e nella fedeltà a Dio, anche attraverso l’opera della Chiesa.

Non a caso, aveva scelto come motto episcopale quello di «collaboratori della verità» che riteneva tanto più pertinente perché nel mondo contemporaneo la ricerca del vero è quasi scomparsa, essendo «troppo grande per l’uomo» e creando il presupposto di un vero e proprio crollo dell’ethos. Accanto a quel motto aveva posto due simboli: quelli della conchiglia e dell’orso. Il primo intende richiamarsi alla natura dell’uomo, che è quella di essere pellegrino sulla terra, nel senso che «non abbiamo qui una stabile dimora», non senza richiamarsi alla parabola di Sant’Agostino circa il bimbo che giocava sulla spiaggia con una conchiglia per attingere l’acqua del mare e trasferirla in una piccola buca, laddove quest’ultima «tanto poco può contenere l’acqua del mare, quanto la ragione può afferrare il mistero di Dio». Il secondo simbolo, invece, si richiamava alla leggenda di San Corbiniano che dopo l’uccisione del suo mulo da parte dell’orso, aveva costretto l’assassino, per espiazione del crimine, a farsi carico del fardello rimasto a terra, al pari di quanto accade all’uomo quando diventa «animale da tiro» al servizio del Signore, perché «chi sta dalla parte di Dio non sta necessariamente dalla parte del successo»[2].

Il momento politico contemporaneo non ha mancato di esternare un vasto campionario di commenti non appena Benedetto XVI è salito alla Casa del Padre. Fra i tanti, è da ricordare quello di Giorgia Meloni, cui si deve la definizione di «Gigante» proprio per la singolare capacità di pensiero manifestata da Papa Ratzinger nel promuovere la convergenza della ragione nell’ambito della fede. Ciò, si potrebbe aggiungere, non solo nella dottrina, ma nello stesso tempo con l’impegno attivo in un mondo sempre più piccolo, ma non per questo meno caro al Signore dell’Universo, tanto da essersi immolato sulla Croce per la salvezza degli uomini[3].

Benedetto XVI era consapevole di quanto sia importante il progresso tecnico, ma riteneva che non fosse accompagnato da quello morale e civile, vista la permanenza se non anche la crescita di grandi «problemi planetari» come quelli della «disuguaglianza nella ripartizione dei beni della terra» con tutto il corollario di povertà, sfruttamento, fame e malattie, per non dire dello «scontro fra le culture», come avrebbe detto a Subiaco, nel Monastero di Santa Scolastica, quando fu insignito del Premio per la «promozione della vita e della famiglia in Europa». Purtroppo, «la forza morale non è cresciuta come lo sviluppo della tecnica, anzi è diminuita», tanto che il pericolo maggiore dell’età contemporanea è costituito proprio da questo squilibrio, matrice non ultima, fra l’altro, della tentazione di un fallace «anarchismo distruttivo» se non addirittura del terrorismo. Carattere essenziale dell’odierna congiuntura etica e politica è la contrapposizione, non già fra diverse culture religiose, ma soprattutto quella di una «radicale emancipazione dell’uomo da Dio», ancor più visibile nel mondo occidentale, all’insegna di un relativismo che finisce paradossalmente per tradursi in un nuovo dogmatismo «che si crede in possesso della definitiva conoscenza della ragione» mentre noi «abbiamo bisogno di radici per sopravvivere e non dobbiamo perdere di vista Dio, se vogliamo che la dignità umana non sparisca». In effetti, come Papa Benedetto XVI avrebbe lucidamente riassunto, il maggiore problema del relativismo scaturisce dal fatto che non conosce limiti, tanto da essere «adottato espressamente anche sul piano della religione e dell’etica».

Tutto ciò era motivo di sofferenza tanto più viva nella consapevolezza di quanto la vera gioia sia perseguibile nel Nome del Signore e delle tante lezioni di vita cristiana, di cui è ricca la storia della Chiesa, ma nello stesso tempo non escludeva la speranza: al contrario, ravvisava nell’impegno che ne scaturisce, e quindi nella preghiera, uno strumento idoneo a contrastare le suggestioni di un razionalismo fine a se stesso, senz’altra prospettiva all’infuori di un arido nichilismo. A volte, quella sofferenza morale diventava un vero e proprio dolore, come quello che Papa Ratzinger avrebbe sperimentato con l’abolizione del latino liturgico nelle cerimonie ordinarie, ravvisando in tale provvedimento l’abbandono di una tradizione importante, e nello stesso tempo, di un simbolo di fedeltà alla Chiesa di Roma, pur comprendendo la necessità di farsi intendere in ogni luogo del pianeta con il «contemperamento» delle espressioni linguistiche.

Oggi si rende necessaria un’attenta rilettura di questo grande Pontefice nella sua straordinaria umiltà, non disgiunta dalla riservatezza e dal rispetto per tutte le creature, e dalla sua capacità di dialogo con chiunque, dai grandi della Terra ai «lavoratori nella vigna del Signore», come volle definirsi nel momento in cui fu chiamato al Soglio di Pietro. Nello stesso tempo è altrettanto fondamentale la fedele adesione ai «Valori non negoziabili» – come da sua felice allocuzione – che il popolo cristiano onora, ringraziando per le intercessioni e le preghiere in favore di un mondo mai tanto lontano da tali Valori, ma proprio per questo chiamato a nuova vita morale, nel segno di fede, ragione e speranza.


Note

1 Joseph Ratzinger, La mia vita. Autobiografia, traduzione dal tedesco di Giuseppe Reguzzoni, Edizioni San Paolo, Torino 2005, 154 pagine (ristampa del testo iniziale del 1997 con aggiunta di due testi successivi: L’Europa nella crisi delle culture, e l’Omelia del 18 aprile 2005 nella Basilica di San Pietro, prima del Conclave da cui sarebbe uscito Papa).

2 Per maggiori ragguagli sui fondamenti dottrinari dell’opera in questione, confronta Marco Tosatti, Il dizionario di Papa Ratzinger, con bibliografia essenziale, Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano 2005, 128 pagine.

3 Non meno notevole, pur nella sintesi, è stato il giudizio conclusivo proposto da un’umile suora africana, nella breve intervista televisiva del 5 gennaio 2023, concessa al termine delle esequie di Papa Ratzinger in Piazza San Pietro: «I Santi non muoiono mai!». In tale occasione, la sola cupola fu lungamente circonfusa da un sottile velo di nebbia, rendendo vagamente sfumata la sua percezione: soltanto un caso meteo, o un segnale di riservata e pronta accoglienza?

(febbraio 2023)

Tag: Carlo Cesare Montani, Papa Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, Papa Giacomo Dalla Chiesa, Benedetto XV, San Benedetto da Norcia, San Corbiniano, Sant’Agostino, Santa Scolastica, Giuseppe Reguzzoni, Giorgia Meloni, Sacro Collegio, Conclave, Santa Romana Chiesa, Premio per la promozione della vita e della famiglia, Europa, Subiaco, Piazza San Pietro.