Nazioni Unite
Una storia di problemi irrisolti e di grandi speranze a 75 anni dalla fondazione dell’ONU

A tre quarti di secolo dall’evento conviene ricordare che nel 1945, a guerra mondiale non ancora conclusa (ultimo atto fu la resa del Giappone dopo il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki avvenuto in agosto), la costituzione delle Nazioni Unite parve aprire un barlume di speranza sulle sorti di un mondo duramente provato dal conflitto: basti rammentare che secondo le stime più attendibili si erano avuti quasi cinquanta milioni di vittime (ma non mancano valutazioni maggiori). Dopo il fallimento della vecchia Società delle Nazioni, era un rinnovato tentativo di perseguire la pace mondiale che non è fuori luogo definire teleologico, con l’obiettivo di lunghissimo termine ancora più ambizioso, sebbene non dichiarato ufficialmente: la Repubblica Universale, che peraltro ha vissuto nei sogni, sinora utopistici, di una piccolissima «élite» etica piuttosto che politica.

Scopo subordinato formalmente, ma funzionale all’impegno prioritario per la pace, era ed è rimasto quello che impegna Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e Paesi membri a promuovere politiche di sviluppo economico e sociale, in guisa da incrementare progressivamente il prodotto lordo, da creare occupazione, e da potenziare i rapporti collaborativi fra gli Stati, compresi quelli a carattere culturale. Naturalmente, ciò non esclude una cospicua serie di obiettivi complementari.

L’ONU, nella sua qualità di massima Organizzazione internazionale, è un soggetto giuridico costituito nella Conferenza di San Francisco, convocata da Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Cina Nazionale per fondare un nuovo soggetto giuridico dotato di poteri adeguati, in grado di garantire pace, sicurezza, rispetto dei diritti umani e sviluppo economico: gli scopi essenziali nel cui perseguimento la Società delle Nazioni aveva fallito, alla stregua di quanto era stato dimostrato dai conflitti coloniali, dall’oppressione di tanti popoli e, infine, dalla nuova guerra mondiale.

La Conferenza istitutiva, cui parteciparono cinquanta Stati sovrani, si chiuse in giugno con l’approvazione dello Statuto che entrò in vigore nel successivo ottobre. Da allora, i Paesi aderenti all’ONU sono saliti a più riprese sino all’attuale numero di 193, comprendendo tutti quelli effettivamente indipendenti, con le sole eccezioni di Taiwan e del Somaliland, mentre la Santa Sede e l’Autorità Palestinese fruiscono del ruolo di osservatori permanenti.

Il caso taiwanese, che geograficamente si riferisce alla sola Formosa, e cioè a quanto rimane della vecchia Cina Nazionale di Chang Kai Scek, è un «quid sui» perché questo Paese fu estromesso nel 1971 non senza forti polemiche, per fare posto alla nuova Repubblica Popolare Cinese di Mao Tse Tung, di stretta osservanza comunista, che in tempi successivi ha sempre posto il veto all’ingresso di Taiwan. Quanto al Somaliland, che corrisponde in larga misura alla vecchia Somalia Britannica, la sua accessione all’ONU è stata sempre accantonata per la difficoltà di pervenire alla soluzione di un lungo contenzioso, non privo di ricorrenti problemi militari, riguardante la regione del Puntland e altri distretti contigui. Sta di fatto che questi due Paesi non fanno parte delle Nazioni Unite pur avendo una popolazione pari a 23 milioni di abitanti nel primo caso, e almeno a quattro nel secondo: in definitiva, si tratta della permanenza di un «vulnus» a tempo indeterminato.

Il numero degli Stati membri, come emerge dalle cifre, è cresciuto di circa quattro volte rispetto al tempo della fondazione. Si tratta del risultato dovuto alla caduta del Muro di Berlino e alla comparsa sulla scena internazionale degli Stati – formalmente indipendenti – sorti dalla dissoluzione dell’URSS, cui avrebbero fatto seguito in tempi rapidi quelle della Jugoslavia e della Cecoslovacchia. Il resto è stato indotto, in misura quantitativamente maggiore, dalla progressiva fine del colonialismo, se non altro sul piano giuridico formale, e dalla trasformazione dei vecchi «possedimenti» in altrettanti Stati sovrani, particolarmente numerosi in Asia e soprattutto in Africa: se non altro, a ciascuno di essi è stato riconosciuto il diritto alla pari dignità. Oggi, le possibili nuove «entries» sono ridotte ai minimi termini: da questo punto di vista, non c’è dubbio che in sede ONU abbia trovato realizzazione una rappresentanza mondiale quasi completa.

Per quanto riguarda l’Italia, la sua attesa, al pari di quanto accadde ad altri, ebbe lunga durata: infatti l’adesione di Roma fu accettata nel dicembre 1955, dopo dieci anni di attesa e cinque veti dell’Unione Sovietica, mentre erano in carica il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e il Capo del Governo Antonio Segni, entrambi democristiani. Nell’occasione, l’opera diplomatica italiana fu agevolata dalla disponibilità occidentale ad accogliere contestualmente alcuni satelliti di Mosca, mentre il Giappone e la Mongolia rimasero ancora in lista d’attesa.

Organi fondamentali dell’ONU sono l’Assemblea Generale, il Consiglio di Sicurezza, il Consiglio Economico e Sociale, la Corte Internazionale di Giustizia e il Segretariato Generale, che hanno sede a New York, con la sola eccezione della Corte, operante all’Aja (Paesi Bassi) nel Palazzo della Pace. Nella storia dell’ONU si sono avvicendati dieci Segretari Generali: oggi tale Organo esecutivo, affidato al Portoghese Antonio Guterres (quinto Segretario di estrazione europea) coordina l’attività di parecchie migliaia di persone, appartenenti a una grande maggioranza dei Paesi membri.

All’ONU è collegata, direttamente o indirettamente, una ventina di Organizzazioni internazionali con compiti specifici molto diversi. Tra le più importanti si devono ricordare: Banca Mondiale (finanza), FAO (alimentazione), Fondo Monetario Internazionale (economia), Organizzazione Internazionale del Lavoro (sviluppo), World Trade Organization (commercio), World Health Organization (sanità), UNIDO (cooperazione), UNESCO (cultura), UNEP (ambiente), UNICEF (tutela dell’infanzia).

Con la complessa macchina organizzativa dell’ONU è stato creato un soggetto di diritto internazionale le cui competenze istituzionali sono di portata talmente vasta da affievolire in maniera oggettivamente sostanziale la piena sovranità degli Stati membri: innovazione davvero importante, e in larga misura programmata sia dal punto di vista strettamente giuridico, sia sul piano delle implicazioni politiche; in effetti, l’obiettivo di tutela della pace e della sicurezza, codificato nello Statuto e accettato da ciascun Paese parrebbe giustificare pienamente la formula di una sovranità ridotta.

L’obiettivo principale è stato conseguito solo parzialmente. I conflitti sono sempre all’ordine del giorno, ma la possibilità di utilizzare forze militari internazionali per il conseguimento della pace (i cosiddetti caschi blu) rimane un punto fermo nella strategia dell’ONU, sebbene in diverse circostanze la ragione di Stato dei maggiori Paesi abbia prevalso in modo decisivo, anche per la straordinaria ampiezza dei problemi. L’assunto ha trovato conferma in epoche anche lontane, come accadde per le grandi tragedie umanitarie del Biafra o del Ruanda, o come attesta la permanente tensione arabo-palestinese; e non sono mancati casi talvolta clamorosi di corruzione, che non hanno giovato all’immagine dell’Organizzazione, pur senza discuterne la filosofia. In altri casi, come quelli del Kosovo, della Serbia o di Timor Est, l’opera dell’ONU ha potuto conformarsi meglio agli scopi statutari, sia pure fra tante difficoltà, contribuendo alla conservazione di un precario equilibrio, sebbene tuttora lontano da prospettive reali di pace definitiva.

La strozzatura più importante ha riguardato il funzionamento del Consiglio di Sicurezza, ossia l’Organo di quindici membri preposto al governo della pace e agli interventi necessari per la sua difesa. Infatti, se per le normali decisioni di procedura è richiesto il voto favorevole della maggioranza, per quelle di carattere strategico, di forte rilevanza politica, serve il voto di tutti i membri permanenti (gli altri sono a rotazione). In altri termini, le grandi Potenze possono avvalersi di tale «status» che nella pratica si traduce in un vero e proprio diritto di veto, inidoneo all’adozione di una concreta e funzionale strategia sanzionatoria.

Ciò induce una divergenza fondamentale rispetto alle procedure applicabili nei confronti dei Paesi minori o presunti tali, soprattutto nel caso degli interventi militari. Al riguardo, conviene ricordare, per attenersi a vicende tra le più note, come gli interventi degli Stati Uniti in Iraq, della Russia in Afghanistan, Caucaso e Crimea, della Cina in Tibet, e persino quello della Gran Bretagna contro l’Argentina per la vicenda delle Malvine, non abbiano trovato coperture in linea con le disposizioni statutarie dell’Organizzazione, evidenziando l’ennesimo successo della «Realpolitik» tanto cara al vecchio Cancelliere Tedesco Otto von Bismarck. Non sono mancati casi in cui l’ONU, non essendo riuscita nell’intento di dirimere qualche contenzioso considerevole come quello tra Argentina e Cile per il Canale di Beagle, abbia dovuto cedere il passo all’intermediazione altrui, e nella fattispecie a quella del Vaticano: in realtà, le vie della pace sono multiformi e non appartengono all’esclusiva di chicchessia.

Da questo punto di vista è lecito affermare che l’affievolimento della sovranità non è stato uguale per tutti. Nondimeno, gli obiettivi dell’ONU non sono rimasti sempre sulla carta. A livello istituzionale, e nello stesso ambito della cittadinanza comune, si è diffusa l’idea di un impegno concreto e realistico a favore della pace, e quindi di uno sviluppo reale e duraturo, idoneo a garantire condizioni di vita migliori per una popolazione mondiale in rapida crescita. Oggi nessuno discuterebbe i grandi principi giuridici che furono garantiti nelle grandi Dichiarazioni promosse da parte ONU nei primi anni di attività dell’Organizzazione: la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, approvata dall’Assemblea Generale il 9 dicembre 1948, e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo proclamata il giorno successivo. Si tratta di iniziative etiche e politiche ad alto valore prescrittivo nei confronti degli Stati membri, con riferimento all’ottica «de jure condendo», nell’ambito dei grandi principi già codificati nello Statuto dell’ONU, e quindi di rapporti fra Stati che devono muovere proprio da questi presupposti, estendendo tali principi ai rapporti internazionali, al «patto sociale» che unisce i Paesi appartenenti alle Nazioni Unite, e in ultima analisi alle misure poste a garanzia. Giova aggiungere che i suddetti principi erano stati anticipati, almeno per grandi linee, nella Carta Atlantica del 14 agosto 1941, sottoscritta da Stati Uniti d’America e Regno Unito con le firme di Franklin Delano Roosevelt e di Winston Churchill; e che, sia pure fra deroghe e compromessi, avrebbero costituito la premessa politica delle successive Dichiarazioni solenni votate in Assemblea.

Nel 2020, ricorrendo il LXXV anniversario dalla fondazione dell’ONU, sono state promosse importanti iniziative anche nel campo della comunicazione, non senza continuare un processo irrinunciabile: quello di riconsiderare gli scopi dell’Organizzazione ai fini di un aggiornamento idoneo a tenere conto della «realtà effettuale» di un mondo in crescente modificazione strutturale.

Non a caso, si è confermato che gli obiettivi prioritari restano quelli di mantenere la pace e la sicurezza, di proteggere i diritti umani e di sviluppare gli aiuti umanitari, ma non senza integrare l’assunto con la necessità di promuovere lo sviluppo sostenibile e con quella di potenziare la legislazione internazionale in termini effettivamente sovranazionali. Tali chiose non hanno valenza puramente formale perché i problemi maturano rapidamente: basti dire che dal 1945 sono stati ottanta i Paesi usciti dallo «status» coloniale per acquisire l’indipendenza; che nel 2050 un sesto della popolazione planetaria avrà oltre 65 anni, con tutti i problemi connessi all’invecchiamento; e che nell’attuale configurazione non certo etica della società sono pervenute a un terzo del totale le donne vittime di abusi o violenze sessuali. Proprio per questo, l’azione dell’ONU è chiamata a un costante divenire, sulla scorta di quanto era già accaduto in passato: basti pensare alla Risoluzione per i diritti dei minori approvata nel 1989 e tradotta in Convenzione nell’anno successivo, anch’essa di primaria rilevanza morale e sociale. Va da sé che tutto ciò comporta la necessità di un costante controllo sull’adeguamento delle legislazioni nazionali e sulla perequazione degli interventi, non esclusa la «ratio extrema» delle sanzioni, evitando ogni soluzione discriminante a favore degli Stati leader, cui si accennava in precedenza.

Per tornare alle speranze di lungo termine, la nobile utopia di un pensatore italiano, Padre Ernesto Balducci, che aveva espresso la nobile convinzione di doversi creare una Confederazione mondiale di Stati idonea a trascendere ogni residua sovranità nazionale come garanzia autentica di pace e di progresso, sembra diventata, se non altro, degna di percezione a livello deontologico grazie agli ideali che furono codificati nello Statuto dell’Organizzazione. La meta è lontana, gli interessi divergenti abbondano, i conflitti prosperano, i diritti umani sono frequentemente calpestati: eppure, rispetto ai secoli bui della schiavitù, delle guerre di religione e dei campi di sterminio, almeno il piccolo «Paradiso Occidente» di cui alle lucide valutazioni di Stefano Zecchi è riuscito a porre fondamenta relativamente solide; e con esse, a promuovere maggiore fiducia nel pervicace impegno degli uomini di buona volontà.

(dicembre 2019; ripubblicato: maggio 2021)

Tag: Carlo Cesare Montani, Società delle Nazioni, Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Internazionale del Lavoro, World Trade Organization, World Health Organization, UNIDO, UNESCO, UNEP, UNICEF, Carta Atlantica, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, Risoluzione per i diritti dei minori, Chang Kai Scek, Mao Tse Tung, Giovanni Gronchi, Antonio Segni, Antonio Guterres, Otto von Bismarck, Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill, Padre Ernesto Balducci, Stefano Zecchi, Giappone, Hiroshima, Nagasaki, San Francisco, Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica, Cina, Taiwan, Somaliland, Santa Sede, Autorità Nazionale Palestinese, Formosa, Puntland, Berlino, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Africa, Asia, Italia, Roma, Mosca, Mongolia, New York, L’Aja, Biafra, Ruanda, Kosovo, Serbia, Timor Est, Iraq, Russia, Afghanistan, Caucaso, Crimea, Tibet, Argentina, Isole Malvine, Cile, Canale di Beagle, Città del Vaticano.