Ultima testimonianza di Licia Cossetto Tarantola
Allocuzione per la scopertura del monumento alla sorella Norma Cossetto infoibata a Villa Surani (Pola) nella notte del 5 ottobre 1943
Muggiò, 3 febbraio 2013

Con mia sorella Norma, ricordo il nostro papà Giuseppe, infoibato anche lui, con parecchi altri miei familiari. La nostra sola «colpa» era quella di essere Italiani e di voler restare Italiani.

Norma avrebbe potuto salvarsi qualora avesse aderito alle richieste dei suoi aguzzini che le proposero di restare con loro e di diventare Croata: cosa che lei respinse coraggiosamente, alla luce della sua fedeltà alla Patria. Allora, la portarono ad Antignana, la legarono a un tavolo col filo di ferro uncinato ai polsi e alle gambe: erano una ventina, e fecero di lei quello che volevano, torturandola e usandole ripetute violenze. Norma chiedeva acqua e chiamava la mamma, ma nessuno si mosse a pietà.

Non sarò tanto diplomatica, diversamente da altri. Ho il dente avvelenato perché lo Stato Italiano si è ricordato di noi troppo tardi. D’altro canto, la colpa è anche nostra, perché quello istriano è soprattutto un popolo laborioso e paziente, che ha scelto l’Esodo in massa tirandosi su le maniche e mettendosi a lavorare: io stessa ho insegnato per 42 anni. Nell’esilio sono stata oggetto di tanti torti, ma anche in Istria ero stata imprigionata e riempita di botte; per mia fortuna trovai un compagno di scuola che mi sottrasse ai nostri carcerieri riportandomi a casa, da dove, quella stessa notte, potei fuggire con una zia, raggiungendo a piedi Trieste con una marcia di 60 chilometri!

Ho il dente avvelenato per tanti motivi, ma come ripeto, prima di tutto per il silenzio ufficiale che ha coperto per 60 anni la nostra tragedia. E poi, chiedo a chiunque sia andato a scuola se ha mai trovato in un libro di testo una parola sulla terribile vicenda istriana: ignoranza voluta e programmata. Il 10 febbraio 2006, quando il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, mi ha consegnato la Medaglia d’Oro al Valore concessa alla memoria di Norma, e mi ha chiesto se fossi contenta, gli risposi ringraziando ma rammentando che aspettavo da troppo tempo, senza che nessuno si fosse mai ricordato dei nostri Infoibati.

Dobbiamo dire grazie alle forze armate tedesche se a seguito della loro temporanea occupazione dell’Istria siamo riusciti a recuperare i resti di alcune Vittime, ma la gran parte sono ancora laggiù: io non so ancora e non saprò mai dove sia finita la maggior parte dei miei parenti scomparsi assieme a Norma. Le foibe sono custodi perenni del nostro dramma sconosciuto.

Bisogna informare meglio, anche sulla storia secondo cui il martirio istriano avrebbe avuto luogo a causa esclusiva dei partigiani slavi di Tito. In realtà, loro occuparono subito qualche centro maggiore all’indomani dell’8 settembre 1943, ma in quelli minori furono i partigiani locali a scatenarsi: venivano di notte a farci alzare e a sparare sopra i letti, e anche gli assassini di mia sorella erano compaesani comunisti, che ricordo benissimo uno per uno. Costoro hanno avuto persino la pensione dello Stato Italiano, compresi i superstiti del gruppo che aveva torturato e infoibato Norma. Infatti, la legislazione italiana del dopoguerra ha stabilito che era sufficiente aver prestato servizio, sia pure per pochi giorni, in forza all’Italia, per avere diritto alla pensione: cosa tanto più paradossale, visto che a noi, invece, nulla è stato dato. Personalmente, ho ricevuto un’autentica miseria solo come indennizzo per i beni cosiddetti «abbandonati» e, quindi, un’ulteriore beffa.

Questa è la nostra storia, tanto tragica che non posso perdonare: del resto, come è stato detto, «soltanto i morti hanno il diritto di perdonare, mentre i vivi hanno il dovere di ricordare». Questo è l’obbligo morale che lascio in eredità alla mia famiglia e al nostro popolo.


Licia Cossetto Tarantola è scomparsa il 5 ottobre 2013 – avendo appena compiuto 90 anni – proprio nel 70° anniversario della tragica morte di Norma, mentre si stava recando a Trieste per la commemorazione. Nell’intento di onorarne la memoria, assieme a quella di tutti gli Infoibati, si è ritenuto di riproporre, con alcuni adeguamenti meramente formali, il testo dell’ultima allocuzione pubblica pronunciata da Licia nel «Giorno del Ricordo» per la scopertura del monumento a Norma voluto dalla Municipalità lombarda di Muggiò.

Si tratta di un testo reperibile anche «on-line» nel video realizzato dal Comune in occasione della cerimonia, necessariamente breve ma assai significativo nei contenuti fondamentali, da offrire alla riflessione comune in una corretta ottica storiografica, ma prima ancora, etica. Già sofferente per le precarie condizioni di salute antecedenti la sua drammatica scomparsa nei pressi di Cessalto (Venezia), con questa allocuzione Licia ha lasciato un alto testamento spirituale in cui esorta a non dimenticare, a onorare i Caduti, e soprattutto a sceverare il buon grano dalla zizzania, anche nella storiografia.

Profondamente convinta della sua fede cattolica, in cui fiorivano venature di stampo rigorista, si poneva il problema del perdono in un’ottica di matrice universale secondo cui la facoltà di perdonare presume, in base alla dottrina, cuori sinceramente pentiti non certo assimilabili a quelli degli infoibatori, ma prima ancora, l’impossibilità di «rimettere» gravissime colpe collettive con un atto individuale che casomai, come emerge dalle conclusioni dell’allocuzione, dovrebbe competere alle Vittime e, in ultima analisi, al Dio che «atterra e suscita» accogliendole nella propria infinita misericordia.

Non a caso, in qualche conversazione della tarda età, ma caratterizzata dalla permanenza di una mente lucida e vivace, Licia aveva proposto meditazioni anche sul tema della Crocifissione, quando il Signore aveva profetizzato al ladrone pentito, ma non all’altro, che quel giorno stesso sarebbe stato con Lui in Paradiso.

Sta di fatto che il perdono è un atto privato di cui non pochi Esuli hanno dato testimonianza, alla luce di una fede orientata in direttrici che oggi, con tutti i distinguo del caso, si potrebbero definire buoniste. Licia non si era sentita di perdonare lasciando ai Martiri, e in primo luogo al padre Giuseppe e alla sorella Norma, un compito tanto impegnativo: posizione certamente sofferta ma pienamente consapevole, che merita rispetto e tutte le comprensioni del caso.

L’ultimo appello di Licia non è privo, allo stesso tempo, di una chiara valenza politica: in questo caso, con una critica amara ma ferma al silenzio dei tanti Governi di varia estrazione partitica che avevano ignorato la tragedia delle foibe e il grande dramma dei 350.000 Esuli, per ragioni di mera opportunità. Un silenzio vissuto con dolore e delusione da tutto il popolo giuliano, istriano e dalmata, e con sentimenti non dissimili da quelli con cui la stragrande maggioranza di questo stesso popolo vive il progressivo affievolimento del Ricordo, nonostante la legge 30 marzo 2004 numero 92 che avrebbe dovuto diffonderlo e promuoverlo, alla stregua di una necessaria informazione esaustiva, soprattutto sul piano etico.

Gli spunti di riflessione lasciati da Licia, cominciando dall’arcano simbolismo offerto dalla coincidenza delle date relative alla sua scomparsa e a quella di Norma (5 ottobre 1943-2013) sono un patrimonio anzitutto morale, per taluni aspetti analogo a quello di Maria Pasquinelli, che vale la pena di approfondire, e se del caso da discutere costruttivamente, ma soprattutto da onorare.

(ottobre 2018)

Tag: Carlo Cesare Montani, testimonianza di Licia Cossetto, foibe, Villa Surani, Pola, partigiani titini, Norma Cossetto.