Red Land – Rosso Istria
Storia della Medaglia d’Oro Norma Cossetto, di Maximiliano Hernando Bruno, Produzione Venice Film, novembre 2018, 150 minuti

Questo film, sebbene sia entrato nei circuiti distributivi per pochi giorni, e limitatamente a un numero irrisorio di sale cinematografiche (il 7‰ di quelle esistenti in Italia) ha avuto almeno un merito: il tentativo di elidere l’ignoranza storica di una tragedia epocale come quella del grande esodo e delle foibe, o meglio, del genocidio perpetrato ai danni del popolo giuliano, istriano e dalmata, come da lucida definizione del Professor Italo Gabrielli, la cui massima opera storiografica ha visto nuovamente la luce, per l’appunto, insieme al coinvolgente lavoro del regista argentino Max Bruno, richiamando la comune attenzione su vicende troppo spesso dimenticate, anche alla luce di connivenze istituzionali moralmente inconcepibili.

Presentato come storia di Norma Cossetto, il film rende omaggio a un’eroina italiana diventata simbolo del martirio istriano, fiumano e dalmata, che nel 2006 venne insignita della Medaglia d’Oro al Merito Civile da parte del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, non tanto per essere stata infoibata e violentata dagli scherani di Tito, al pari di tante altre Vittime innocenti, quanto per il nobile comportamento assunto davanti ai suoi aguzzini che le avevano proposto di passare dalla loro parte, e di tradire la sua patria e i suoi ideali, con la riserva mentale di utilizzarla per i propri scopi eversivi, e poi di ucciderla al pari degli altri Italiani colpevoli soltanto di essere tali, come la pellicola di Bruno attesta in modo davvero icastico.

Sin dal titolo, l’opera cinematografica del Bruno intende rendere omaggio alla tipica «terra rossa» dell’Istria, oggetto della tesi di laurea che Norma stava preparando all’epoca dei fatti e che avrebbe dovuto discutere a breve presso l’Università di Padova, dove nel dopoguerra le sarebbe stato riconosciuto il titolo «ad honorem»; ma nello stesso tempo, allude alla grande tragedia delle foibe e dei massacri indiscriminati che costarono tanto sangue innocente. Non a caso, il numero delle Vittime di guerra in Venezia Giulia e Dalmazia fu largamente superiore, nel rapporto con la popolazione, a quello di tutte le altre regioni italiane.

In realtà, non si tratta soltanto della storia di Norma: sia pure con qualche licenza narrativa, il film illustra il dramma di tutto quel popolo, espresso dai 20.000 infoibati o diversamente massacrati e dai 350.000 esuli, un quarto dei quali in Paesi lontani, a più forte ragione senza ritorno. Una storia tanto allucinante quanto iniquamente silenziata, nonostante abbia tratto origine dall’affermazione dei valori perenni di civiltà e giustizia, dal rifiuto dell’ateismo di Stato e del collettivismo forzoso, e da una straordinaria dignità nell’affrontare persecuzioni e diaspora.

Si diceva delle licenze, prontamente sottolineate in maniera strumentale dalla critica di Sinistra, di gran lunga minoritaria ma pervicacemente negazionista nonostante la cruda chiarezza dei fatti: è il caso di quella proposta sul web da Alessandra Kersevan, fedele al suo anacronistico veterocomunismo.

Qui basti chiarire che gli assassini di Norma, come la sorella Licia aveva rammentato in tante pertinenti testimonianze, agivano in base all’input di matrice slava, ma erano in larga misura Italiani suoi concittadini, cosa che non emerge dal film ma resta un’ombra obbrobriosa sui traditori sempre pronti a colpire, come accadde nella strage di Vergarolla del 18 agosto 1946, oltre che in tanti altri contesti territoriali giuliano-dalmati (e non solo).

Le altre recensioni dedicate a Rosso Istria, a iniziare da quelle proposte a opera della grande stampa d’informazione, e dalle interviste con taluni esponenti del mondo esule, hanno fatto a gara nel sottolineare l’efferatezza della fine riservata a Norma e alle altre Vittime pur indulgendo – in qualche caso – a immotivate suggestioni riduzioniste, e nello stesso tempo esprimendo giudizi storici non sempre pertinenti: a esempio, quando hanno affermato che Italiani e Slavi avevano sempre convissuto in modo assolutamente pacifico, cosa opinabile sin dal momento delle prime invasioni compiute nel VI secolo a opera di popoli avaro-slavi, per giungere fino alle discriminazioni di matrice asburgica, a tutto danno della componente italica.

Il film si avvale di attori generalmente giovani ma fedeli alle rispettive parti – come la bravissima Selene Gandini in quella di Norma – e alle direttive di un regista altrettanto giovane e attento che non ha disdegnato di farsi a sua volta attore. Ciò, con la qualificante aggiunta di presenze più sperimentate, fra cui quelle di Franco Nero nella parte del professore, e di Geraldine Chaplin in quella della nonna; senza dire degli attori sloveni nel triste ruolo degli uomini con la «malefica stella vermiglia» di cui alla lapide posta nel Sacrario Nazionale di Basovizza.

Non mancano scene crude nell’intento di fotografare con adeguato realismo il clima di truce violenza instaurato dai partigiani, anche se i momenti più drammatici sono stati opportunamente affievoliti a livello visivo: a esempio, lo stupro collettivo consumato su Norma si intuisce attraverso le ombre proiettate sul muro, in una sorta di angosciosa rivisitazione del mito della caverna proposto nella filosofia di Platone. Non altrettanto può dirsi per le feroci esecuzioni, dove la regia ha dovuto mettere in luce, quasi suo malgrado, la tragica sequenza dell’ultima anabasi sino alla foiba, dei morituri legati col filo di ferro a due a due, del colpo di pistola alla nuca del primo, della precipitazione nell’abisso, e in taluni casi, di una lunga, terribile agonia.

Una questione su cui il film di Max Bruno ha fatto il punto in maniera ineludibile è quella della pulizia etnica. Come fu ammesso senza reticenze dagli stessi luogotenenti di Tito, tra cui Edvard Kardelj e Milovan Gilas, all’epoca tra i massimi esponenti del regime, non bisognava espungere dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia soltanto coloro che non avessero abbracciato «toto corde» il verbo comunista, ma tutti gli Italiani, in adesione alla falsa presunzione di usurpatori della terra slava e in spregio del fatto che almeno da due millenni era stata dapprima romana e poi veneta.

In questo senso, si deve leggere un episodio come quello della brutale fine di Giorgio, che comprende finalmente la drammatica realtà davanti allo strazio estremo di Norma, da lui amata senza speranza, e che viene ucciso con proditoria prontezza, anticipando i tempi della stessa pulizia etnica dapprima rinviati dagli assassini per potersi avvalere della manovalanza italiana.

Conviene aggiungere che il film ha costituito un esempio di concreta cooperazione internazionale grazie al regista argentino che – come detto – si è giovato di attori sloveni per impersonare gli uomini di Tito dialoganti nella propria lingua, con traduzioni italiane in sovrimpressione. È un accorgimento pertinente, perché aggiunge una nota significativa all’atroce incomunicabilità che fu caratteristica di quella stagione davvero agghiacciante, e contribuisce a suscitare nello spettatore medio un rifiuto categorico del «male assoluto» e di sincera partecipazione al dramma delle Vittime: si fa presto a dire foiba in chiave accademica o storiografica, mentre le riflessioni indotte dalle immagini, prima ancora che dagli allucinanti dialoghi, sono destinate a lasciare nelle menti e nei cuori una traccia sicuramente non effimera.

Come accadde a suo tempo per Il cuore nel pozzo prodotto per la televisione, un ulteriore merito di questo film, a tratti scabro come un documentario, è proprio quello di suscitare, assieme a un ricordo emozionale, una meditazione più profonda sugli effetti perversi di talune ideologie, in un contesto potenzialmente molto più vasto rispetto a quello dei libri di storia e delle testimonianze affidate alla memorialistica. D’altra parte, tale obiettivo sarà tanto più perseguibile nella misura in cui la distribuzione sia programmata in modo quantitativamente congruo e funzionale, lungi da timori e tremori degni di miglior causa e da malintesi ossequi a pervicaci resipiscenze parapolitiche.

(febbraio 2019)

Tag: Carlo Cesare Montani, Rosso Istria, Red Land, Norma Cossetto, Maximiliano Hernando Bruno, film sulle foibe, Italo Gabrielli, Carlo Azeglio Ciampi, Giorno del Ricordo, Alessandra Kersevan, strage di Vergarolla, Geraldine Chaplin, Sacrario Nazionale di Basovizza, Edvard Kardelj, Milovan Gilas.