Giampaolo Pansa, il sangue dei vinti
Un intellettuale onesto e coraggioso, deciso a studiare la Storia senza dogmi o fideismi

Giampaolo Pansa non è uno storico, come ci tiene a dirsi, è un giornalista che ritiene di avere molto da dire, anche a coloro che studiano il nostro passato. È un uomo attento alle questioni della politica ma anche all’elemento umano che nei suoi lavori emerge con una certa consistenza.

Ha scritto uno di quei libri che non può rimanere inosservato, e che può invece molto contribuire a cambiare la nostra società e la nostra cultura. Siamo vissuti per decenni nella cultura dell’antifascismo, i nostri fondamenti, anche costituzionali sono antifascisti, ma questo nostro pilastro ci impedisce di studiare la nostra storia?

Se uno dice che le colonie britanniche d’America che per prime si sono date un ordinamento democratico erano litigiose e gelose delle loro economie, distrugge l’idea di democrazia?

Che alcuni gruppi partigiani, soprattutto quelli di ispirazione comunista, avessero scatenato un’orrenda caccia all’uomo contro chiunque avesse anche vagamente a che fare con il fascismo, è cosa nota fra gli storici. Alcuni mesi dopo la fine della guerra si ebbe il massacro delle carceri di Schio dove oltre cinquanta fascisti con presunte responsabilità vennero di notte ammassati in un locale comune e uccisi. Che le uccisioni proseguirono per molti mesi e per alcuni anni, e ne fecero le spese anche molti religiosi (circa una trentina nella sola Emilia Romagna) e gente solamente responsabile di essere proprietaria di un appezzamento di terra o di essere dirigente d’azienda, è cosa altrettanto ben conosciuta fra gli storici. Uomini ritenuti scomodi dal partito comunista, che aveva creato un suo Stato nello Stato nella regione rossa, furono condannati a morte, e gli autori di simili atti, quando la giustizia stava avvicinandosi a loro, vennero fatti fuggire in Cecoslovacchia. I fatti del dopoguerra dovrebbero essere un elemento importante su cui riflettere, prima ancora di schierarsi politicamente.

Anni fa fece scalpore l’uccisione degli Italiani nella zona di Trieste, la morte di oltre diecimila Italiani negli anni compresi fra il ’43 e il ’45 era caduta nel completo oblio. Dobbiamo chiederci allora se noi storici abbiamo il diritto di approfondire la documentazione storica, di studiare in autonomia, o se dobbiamo prima verificare che i nostri lavori non turbino troppo le menti dei cittadini, non cancellino troppo bruscamente i luoghi comuni stratificati nella società. Ciascuno è libero di darsi le regole che crede, di ciò che scrivo ne rispondo alla mia coscienza, ma anche di fronte agli altri studiosi della materia di cui non nascondo nulla. Ciò che scrivo non è un atto di fede, tutti coloro che hanno dati storici diversi dai miei possono tranquillamente criticarmi, ed una critica onesta può essere fonte di arricchimento, ma allora diciamo chiaramente che lo studio della storia non può essere confuso con i dogmi che sono tutta un’altra cosa.

(anno 2000)

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