Il Ministro Valditara, la difesa delle frontiere e il «pericolo fascista»
Ideologia vs realtà storica

Il fatto è avvenuto la mattina del 18 febbraio di quest’anno, fuori dal Liceo Classico Michelangiolo di Firenze: un tafferuglio, una rissa tra due ragazzi di un collettivo di Sinistra che distribuivano volantini e sei ragazzi di Azione Studentesca, un’organizzazione giovanile di estrema Destra. Tutto ripreso da alcuni video. Un episodio grave, che però alcune circostanze hanno ingigantito a dismisura, fino a farne un caso a livello nazionale, che è poi approdato in Parlamento.

Facciamo un po’ di chiarezza. Il 20 febbraio appare sul sito dell’Istituto una dichiarazione di Rita Gaeta, Dirigente del Liceo: «Il Dirigente e tutta la comunità scolastica esprimono profonda riprovazione e sdegno per l’aggressione subita da alcuni studenti del Liceo Michelangiolo la mattina del 18 febbraio. Si manifestano, inoltre, vicinanza, solidarietà e partecipazione nei confronti dei liceali aggrediti e delle loro famiglie. Il patrimonio valoriale su cui si fonda l’ordinamento scolastico, improntato ai principi della nostra Costituzione, risulta ignobilmente vilipeso da tale esecrabile azione». Si tratta di una risposta condivisibile da tutti e che rimane nel solco della correttezza istituzionale, senza esposizione mediatica.

Lo stesso 20 febbraio Luca Stefani, Dirigente dell’Istituto di Istruzione superiore Salvemini-D’Aosta di Firenze, situato a pochi isolati dal luogo del pestaggio, indirizza «Al Liceo Michelangelo [ma il nome corretto è Michelangiolo], a Firenze, agli studenti, alle famiglie eccetera» un messaggio in cui l’accento viene spostato dall’esame del fatto in sé a una lettura pretesa storica: l’evento, si legge nel messaggio, riporterebbe «con la memoria ai tempi bui del cosiddetto “Ventennio” dove imperava il pensiero unico e la vita delle persone era scandita da riti propagandistici ossessivi e deliranti». E ancora, in un crescendo di tono rozzo e violento che mal si addice a un’istituzione che dovrebbe educare i giovani alla pace: «La violenza squadrista, come allora, si ripropone oggi con tutta la sua violenza ed aggressività ideologica e fisica. L’episodio non può essere rubricato come “rissa”. La sua matrice è evidente e non dobbiamo avere timori a catalogarla come vera e propria “azione squadristica” tipica della Mala Pianta del Fascismo che è dura a morire e si ripropone come funesto rigurgito anche nel XXI secolo. […] Dobbiamo vigilare e tenere alta la guardia e sfidare ogni veleno autoritario ed antidemocratico che in maniera strisciante riaffiora dalla palude della storia come un’Idra le cui teste non sono state mai del tutto mozzate»; il messaggio si chiude con l’invito ai docenti a darne lettura nelle classi. Per poi cadere (giustamente!) nell’oblio.

E qui si potrebbe pensare che il tutto finisca. Invece, nella giornata del 22 febbraio comincia a girare sui siti «social» la foto della circolare interna a firma della Dirigente del Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze, Annalisa Savino, datata al giorno precedente, che diventa ben presto virale, anche perché viene spesso attribuita alla Dirigente del Liceo Michelangiolo. Il testo è diverso da quello dell’altra Dirigente, e si concentra ancora sul considerare la rissa una spedizione punitiva di stampo squadrista/fascista, dandone un’interpretazione in chiave storico-didascalica molto spendibile nel dibattito pubblico, oltre a mettere in relazione il «disgustoso rigurgito» identitario con la politica dell’attuale Governo: «Cari studenti, in merito a quanto accaduto lo scorso sabato davanti al Liceo Michelangiolo di Firenze, al dibattito, alle reazioni e alle omesse reazioni, ritengo che ognuno di voi abbia già una sua opinione, riflettuta e immaginata da sé, considerato che l’episodio coinvolge vostri coetanei e si è svolto davanti a una scuola superiore, come lo è la vostra. Non vi tedio dunque, ma mi preme ricordarvi solo due cose.

Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a se stessa da passanti indifferenti. “Odio gli indifferenti” – diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee.

Inoltre, siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza. Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti Italiani per bene cento anni fa ma non è andata così».

Il testo, oltre a essere del tutto fuori luogo (soprattutto perché il fatto aveva coinvolto studenti di un altro Istituto, e aveva già avuto adeguata risposta dalla Dirigente Gaeta, che sicuramente non aveva bisogno di «aiuto», quasi che si volesse insinuare che non era capace di ricoprire il proprio ruolo), contiene numerosi errori e una lettura dei fatti chiaramente improntata a una precisa posizione ideologica.

A parte il fatto che equiparare dei ragazzi di un collettivo di estrema Destra a degli squadristi o definire «spedizione punitiva» quella che sembra essere una rissa scoppiata per la presenza casuale di giovani di diverse idee politiche (a prescindere dalla gravità del fatto, sulla quale non ci possono essere dubbi), è perlomeno opinabile; mi stupirei se quelli coinvolti nel tafferuglio avessero una reale conoscenza di che cos’è stato il fascismo in tutti i suoi aspetti (è ovvio che decenni di propaganda in cui è stato etichettato come il «male assoluto» non hanno giovato a una comprensione chiara del fenomeno, né del perché abbia raccolto intorno a sé un consenso tanto numeroso e genuino).

Ma andiamo oltre: la circolare afferma che «il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a se stessa da passanti indifferenti». La frase è quantomeno oscura: la prima azione squadrista organizzata avvenne il 15 aprile 1919, quando un gruppetto di fascisti rispose a un tentativo socialista di assalire la sede del «Popolo d’Italia» (il giornale diretto da Mussolini) dando l’assalto alla sede del giornale socialista «Avanti!». Da una delle finestre del giornale fu sparato un colpo di pistola che uccise uno dei poliziotti posti a sua difesa; la polizia reagì lasciando agio ai fascisti di entrare e rompere quello che volevano, mentre giornalisti e redattori fuggivano incolumi dal retro. Mussolini non aveva alcuna responsabilità nell’accaduto, probabilmente non lo approvò, ma per questioni di opportunità sul suo giornale lodò questo «movimento spontaneo di folla, movimento di combattenti, di popolo, stufi del ricatto leninista». Fu la miccia che innescò il cosiddetto «biennio rosso», una sorta di guerra civile che insanguinò l’Italia negli anni 1919-1920 provocando un migliaio di morti, egualmente distribuiti tra fascisti e comunisti. (Confronta: Giovanni Curatola, Ritmi littori, Aurora Edizioni, Stradella – Pv – 2002, pagina 15; Indro Montanelli, Storia d’Italia, volume 38: La fine del regime liberale, Fabbri Editori, Milano 1994, pagine 75-76; Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Mondadori, Milano 2003; Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, volume I, Il Mulino, 2012).

La violenza politica, del resto, non è nata col fascismo ma aveva origini molto più antiche, connesse al difficile cammino di modernizzazione dell’Italia dopo l’Unità: il Paese presentava la compresenza di realtà sociali e culturali assai diversificate e talvolta contraddittorie (per esempio, lo scontro tra la politica anticlericale del Parlamento e la rigidità degli uomini di Chiesa restii ad accogliere i cambiamenti richiesti dalla nuova situazione, la disparità economica tra le diverse regioni, la violenza con la quale il Governo Centrale aveva trattato le questioni locali). Gli scontri presero forza a partire dal 1864, quando giunse in Italia l’anarchico russo Bakunin e il movimento operaio cominciò ad assumere un carattere più chiaramente socialista. I socialisti italiani si trovarono divisi tra riformisti, che volevano riformare gradualmente lo Stato, e massimalisti, che puntavano a sovvertire lo Stato con la rivoluzione. Gli ultimi tre decenni del XIX secolo furono segnati da un’intensa attività rivoluzionaria di gruppi radicali (vi furono insurrezioni, tra le principali, a Bologna nel 1874 e in Sicilia nel 1893); la situazione si aggravò a seguito della disfatta di Adua nella Guerra d’Abissinia (1896), quando le agitazioni divennero generali: nel Nord del Paese si manifestarono con comizi, cortei e scioperi che paralizzavano la produzione e la vita stessa delle città, mentre nel Sud vi furono municipi saccheggiati, prefetture messe a sacco, cariche di cavalleria, fucilate, morti e feriti sul selciato (molto prima che esistesse il fascismo!), arresti indiscriminati. Si arrivò all’apice con la repressione delle agitazioni a Milano nel 1898, quando il Generale Bava Beccaris fece sparare coi cannoni sulla folla, provocando circa 90 vittime, e provocando nel 1900 l’assassinio del Re Umberto I da parte dell’anarchico toscano Cresci. Autori di tutto questo erano i socialisti con le loro tentazioni eversive, ma anche molti Cattolici. Alcune persone reagirono a tutto questo col nazionalismo, che nacque allora e che più tardi, nella grande tragedia della Prima Guerra Mondiale, preparerà la strada al fascismo. Lo stesso Partito Comunista d’Italia, costituitosi nel gennaio del 1921 come scissione dell’ala sinistra del Partito Socialista Italiano, si trovò sempre diviso al suo interno tra la conquista del potere seguendo la strada della legalità istituzionale, e la presa del potere con la forza (dalla lotta partigiana finalizzata alla rivoluzione, al tentativo di Togliatti di imporre una Costituzione di stampo sovietico, all’epurazione selvaggia del secondo dopoguerra, al sostegno economico dell’Unione Sovietica al PCI, alla Gladio Rossa, alle Brigate Rosse, ad alcune correnti del Sessantotto, al predominio culturale odierno...). Il Partito Comunista è sempre stato capace di cambiare nome e forma ma di rimanere con gli stessi uomini, e di procedere verso il superamento (formale) del comunismo stesso fino a divenire parte del sistema democratico occidentale, pur di avere il potere e di conservarlo il più a lungo possibile, impedendo il necessario rinnovamento politico, economico e culturale. (Confronta: Guido Zagheni, I Cattolici Italiani e il PCI, Istituto Superiore di Scienze Religiose, Milano 2008, pagine 54-56; Indro Montanelli, Storia d’Italia, volume 34: La questione cattolica e la questione sociale, Fabbri Editori, Milano 1994, pagine 93-94).

Anche l’affermazione che i fascisti chiusero in carcere Antonio Gramsci fino alla morte è falsa: fu arrestato in seguito ad alcuni attentati contro Mussolini, in quanto era uno dei fondatori e primo segretario del Partito Comunista d’Italia, che aveva come obiettivo dichiarato la presa del potere con metodi rivoluzionari ed esaltava la violenza come metodo di lotta. Fu portato prima a Ustica, poi a San Vittore, dove poté scrivere e consegnare alla cognata Tania oltre 900 manoscritti, che – pur essendo contrari al regime – poterono circolare liberamente. Furono però manipolati da Togliatti, che si oppose sempre ai tentativi di far liberare il suo compagno di partito («Esiste un tribunale più crudele di quello fascista» scrisse Gramsci alla cognata Tania nel 1932). Già nel 1930, Gramsci era stato espulso dal partito con l’accusa di svolgere attività «trotzkista». Era afflitto fin dalla nascita dal morbo di Pott, una malattia polmonare degenerativa che lo rese informe; quando le sue condizioni si aggravarono, fu trasferito nella clinica Cusumano a Formia; nel 1933 ebbe da Mussolini la libertà condizionata e poi la grazia. Fu trasferito in una delle migliori cliniche private di Roma, la «Quisiana», specializzata in malattie polmonari: poiché non disponeva del denaro necessario a pagare il ricovero, Mussolini stabilì che il Governo si accollasse per intero il costo delle cure. Gramsci morì da uomo libero il 27 aprile del 1937. (Confronta: Gianfredo Ruggiero, I danni del fascismo e le colpe di Mussolini, Edizioni Excalibur, Torrazza Piemonte – To – 2022, terza edizione, pagine 37-42).

Quanto alla polemica sulla difesa delle frontiere (è chiaro il riferimento ai disperati che attraversano quotidianamente il Mediterraneo per sbarcare in Europa), non varrebbe neppure la pena dilungarsi sull’argomento: a parte il fatto che l’immigrazione clandestina è un reato, le responsabilità dei morti in mare non sono della guardia costiera o delle autorità italiane che salvano spesso migliaia di persone al giorno, ma degli scafisti che fanno soldi a palate sulla vita delle altre persone, e di alcuni Stati, come la Francia e Malta, che rifiutano categoricamente di soccorrere i migranti nelle loro acque territoriali o li traghettano verso le nostre coste. Non c’è nessun Paese Europeo che stia facendo quanto fa l’Italia per salvare i profughi. Si potrebbero fare numerose altre considerazioni, ma occorrerebbe troppo spazio.

La circolare della Dirigente Savino, come detto più sopra, ha avuto subito un’eco mediatica inaspettata, nonostante tutte le pecche che sono state segnalate, tali da svalutarla del tutto. La mattina del 23 febbraio è arrivata la risposta del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, dai microfoni di Mattino 5. Si tratta di una risposta dai toni pacati: «È una lettera del tutto impropria, che mi è dispiaciuto leggere. Non compete a una preside, nelle sue funzioni, lanciare messaggi di questo tipo» (soprattutto, aggiungerei, è particolarmente grave, se non addirittura ignobile, usare la scuola per esasperare il clima e fare quella che sembra propaganda politica, oltretutto di bassissimo livello culturale). «E poi il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà dei fatti. In Italia non c’è pericolo fascista, né una deriva violenta e autoritaria» (è vero: a parte che l’equazione Governo attuale = Governo fascista non funziona, nell’Italia di oggi non c’è nessuna delle condizioni politiche, economiche, sociali o culturali che hanno permesso il sorgere e l’affermarsi del fascismo). «Difendere le frontiere e ricordare l’identità di un popolo non ha nulla a che vedere con il fascismo, o peggio con il nazismo. Non voglio creare martiri; queste iniziative sono strumentali ed esprimono una politicizzazione che auspico che non abbia un ruolo nelle scuole. Poi, se questi atteggiamenti dovessero persistere con comportamenti che vanno al di là dei confini istituzionali, vedremo se sarà necessario prendere delle misure. Attualmente non è necessario intervenire. Di queste lettere ridicole non so che farmene, sono propaganda». Sulle minacce di morte che gli sono arrivate da militanti di Sinistra (si vede che utilizzano gli stessi strumenti di violenza che hanno sempre rinfacciato ai fascisti), Valditara ha detto: «Non mi preoccupano, ma si sta creando un brutto clima. Occorre abbassare i toni della polemica. Ho lanciato la sfida di un nuovo patto repubblicano che presupponga dialogo, e non una contrapposizione. Mi aspetto dall’opposizione solidarietà nei confronti di queste deliranti minacce. Ad oggi non mi è arrivata».

Lascio al lettore ogni ulteriore considerazione.

(maggio 2023)

Tag: Simone Valtorta, Ministro Valditara, difesa delle frontiere, pericolo fascista, 18 febbraio 2023, Liceo Classico Michelangiolo di Firenze, Rita Gaeta, Luca Stefani, Annalisa Savino, Antonio Gramsci, fascismo, 15 aprile 1919, biennio rosso, fascisti, violenza politica, Giuseppe Valditara.