Il difficile mestiere dello storico
Alcune particolari riflessioni sulla ricerca storica; il lavoro dello storico può essere assimilato a quello della magistratura: istruttoria (ovvero raccolta e valutazione di documenti), dibattimento (confronto con altre opinioni di storici), giudizio

Nell’immaginario della maggior parte delle persone, anche di buona cultura, lo storico è uno che «sa», che «conosce» la Storia: uno che dall’alto della propria sapienza dispensa la verità sul passato al volgo ignorante assiepato ai suoi piedi.

Niente di più falso: lo storico è, innanzitutto, uno che cerca di sapere o, ancor meglio, un ricercatore. Potremmo paragonarlo ad un investigatore che, a partire da indizi, a volte da piccoli frammenti, cerca di ricostruire una scena, un evento; senza, per questo, aver la pretesa di dire l’ultima parola, meno che mai la presunzione di scrivere un’eterna, inconfutabile verità.

Ci sono due parole fondamentali per chi si interessa allo studio della Storia: «selezione» ed «interpretazione».

La «selezione» riguarda tutto quanto ci è stato tramandato dal passato e sul passato: meno di una goccia nel mare. Gli uomini di ogni epoca, operano già una selezione su quanto lasciare per iscritto ai posteri. Si può pensare ai moderni telegiornali: come ha fatto notare il linguista Eddo Rigotti nel suo articolo «La manipolazione» (pubblicato nel 2008 sul sito internet dell’Università Cattolica di Milano), ci sono molti telegiornali diversi, non tanto perché certi dicano il vero ed altri il falso; tutti dicono fatti materialmente veri, ma non sono gli stessi fatti, perché la selezione è diversa, e noi ricaviamo che la loro posizione è di Destra, di Centro o di Sinistra anche se non lo hanno detto in modo esplicito. Si parla del «telegiornale» che dice «le cose» che sono successe: ma, nella scelta dei fatti da raccontare, ciò che conta è ciò che dà il senso della giornata, ciò che dà il «sapore» della giornata, ciò per cui, per esempio, il 27 maggio 2013 è diverso da tutti gli altri giorni; si esegue una selezione in funzione della significatività, dunque di un intento di dare il senso, ma questo dipende dall’ideologia di fondo. Non tutto ciò che accade nell’Universo è Storia, ma solo ciò che si decide di tramandare ai posteri.

La seconda parola è in un certo senso correlata alla prima: «interpretazione». Degli eventi del passato non abbiamo verità, ma solo interpretazioni: già operare una selezione significa dare una propria interpretazione di ciò che è importante, di ciò che «conta». Ma ci sono anche interpretazioni più macroscopiche.

Pensiamo a due storici diversi che commentino Karl Marx e il comunismo. Il primo sosterrà entusiasta che Marx ha denunciato con vigore lo sfruttamento a cui era sottoposta la classe operaia, e ha permesso ai «proletari» di tutto il mondo di acquisire coscienza del loro peso nella società e dei loro diritti; il secondo obietterà che nei Paesi dove le teorie marxiste sono state applicate con più rigore, la situazione dei poveri è addirittura peggiorata e si è determinata la più grave forma di schiavismo che l’umanità ricordi.

Un altro esempio: di Nerone abbiamo un’immagine estremamente negativa – dissoluto, incendiario, matricida; una tradizione ebraica lo vuole figlio del demonio. Questo, perché tutto ciò che ci è stato tramandato su di lui è stato scritto dai suoi oppositori politici. Secondo gli ultimi studi, Nerone non fu un cattivo Imperatore; anzi, qualcuno lo definisce addirittura uno dei migliori Imperatori della Storia…

Oggi, in un’epoca di inculturazione delle masse, la situazione degli studi storici è alquanto complessa: la Storia è una disciplina pericolosa, e lo sanno molto bene i poteri che se ne impossessano e la orientano ai propri intenti di propaganda. E quando non è possibile corrompere o addomesticare tutti gli storici perché tacciano, occultino e scrivano una Storia asservita e funzionale al dominio, allora si possono sempre sostituire gli storici con un folto manipolo di mestieranti (giornalisti, funzionari di partito, diplomatici, incantatori, opinion leader) ai quali concedere tribune ascoltate, remunerate e convincenti in grado di trasformare ogni menzogna e manipolazione in una indiscutibile e assoluta verità storica perché questa diventi subito conoscenza comune e diffusa. Si tratta di un processo di mistificazione ben mimetizzato, un uso pubblico che è parodia della Storia, grazie al quale si persegue l’obiettivo di avere una Storia senza più storici, una Storia spettacolarizzata e di successo, perfettamente adeguata ad una società impegnata a far tracimare il fiume Lete per disfarsi di qualsiasi memoria. E anche quando la memoria è apparentemente preservata, essa viene schiacciata nelle celebrazioni rituali che la rendono innocua e inservibile fino al punto che in nome della libertà di opinione si lascia campo libero a tutta quella schiera di coloro che sono sempre disposti a sostenere, con la forza dei media, le frottole più sensazionali spacciate per nuove e decisive scoperte storiche, cementando luoghi comuni e false credenze (sul tipo: tutti i partigiani combatterono per la libertà contro i nazifascisti, tacendo di tutti quegli eccidi che videro partigiani comunisti accanirsi su partigiani cattolici già all’indomani dell’8 settembre 1943). La paziente ricerca delle fonti, la loro analisi, comprensione e confronto, un metodo critico rigoroso e scientifico sono presentati oggi come strumenti obsoleti e indesiderabili, vecchi arnesi di una storiografia da alchimisti che avanza lentamente formulando ipotesi nel corso di una ricerca, mentre è molto più semplice ratificare tesi ideologiche preconcette. Soprattutto per quanto riguarda la storia recente: sugli eventi del secolo scorso, sul fascismo e sul comunismo molto è stato modificato, molto è stato omesso per adattare i fatti alle logiche di partito.

Gli storici condividono la passione per un mestiere difficile sottoposto a fraudolenta concorrenza. Una passione che è anche riconoscimento di responsabilità e di impegno civile, soprattutto nei confronti dei giovani. Marina Caffiero, professore ordinario di Storia Moderna presso il Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea dell’Università di Roma La Sapienza, raccomandava agli storici di «riappropriarsi del proprio ruolo, per sottrarsi alla logica del conflitto mediatico e della controversia, e per avviare una visibilità pubblica ancorata però a una forte autoconsapevolezza della propria funzione, capace di far loro riprendere saldamente in mano il proprio mestiere e di rivendicare la capacità di certezze critiche».

(agosto 2013)

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