Martiri delle Foibe: il ruolo della memorialistica e della toponomastica in Italia e all’estero
Memoria di una tragedia

La tragedia del popolo giuliano, istriano e dalmata, compiutasi con la pulizia etnica voluta dal regime jugoslavo del Maresciallo Tito che aveva coniugato il comunismo con forti pregiudiziali sciovinistiche, e tradottasi nell’eccidio delle foibe, indissolubilmente legato all’esodo plebiscitario dei 350.000, è stata volutamente ignorata per almeno mezzo secolo, alla luce di un disegno politico che non è azzardato definire perverso. Nel secolo scorso la vergogna del trattato di pace imposto nel 1947 e quelle non meno aberranti degli accordi di Osimo firmati nel 1975 con successive derivazioni altrettanto obbrobriose, erano state nascoste nell’armadio degli scheletri, in ossequio alle aperture a sinistra, alle convergenze parallele, al compromesso storico, ai confini più aperti del mondo, e analoghe amenità.

Coloro che sapevano, e quanti avevano vissuto direttamente quel dramma non ebbero, loro malgrado, la forza sufficiente per far udire alto e forte il proprio grido di dolore, ma alla fine la verità ha cominciato a prevalere sulle tenebre diffondendosi già prima della Legge 30 marzo 2004 numero 92 che ha istituito il «Giorno del Ricordo»[1], quasi a confermare che le menzogne e le resipiscenze sono destinate a non pagare, se non altro a lungo termine. La grande storia, quando sia supportata da documentazioni inoppugnabilmente probanti, come nel caso di specie, non perdona, e senza bisogno di scomodare il «cane rabbioso» sempre pronto ad azzannare, come nell’immaginifica definizione di Hegel.

Un caso indubbiamente ragguardevole di maturazione delle coscienze italiane circa le foibe, con l’orribile calvario imposto alle Vittime, è quello che emerge dalla toponomastica: ormai, le città italiane che hanno dedicato una piazza, una via, un viale o un qualsiasi luogo pubblico[2] al dramma istriano, giuliano e dalmata, hanno raggiunto la notevole cifra di un migliaio, quintuplicando quella del 2009, con presenze in tutte le Regioni e in buona parte dei capoluoghi di provincia. Considerazioni analoghe valgono per la memorialistica similare, affidata a lapidi e monumenti.

Ciò significa che oltre un Comune su 10 ha già attirato la propria attenzione sul grande dramma storico delle foibe e degli altri massacri perpetrati a danno di una popolazione italiana come quella di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, che era esente da ogni colpa. Certamente, si deve fare ancora di più, ma il riconoscimento è una realtà ormai irrefutabile, non senza aver travolto in modo plebiscitario la scelta operata da una sparuta dozzina di Comuni (fra cui tre capoluoghi) che in tempi ormai lontani tributarono al Maresciallo Tito l’onore di essere ricordato nella loro toponomastica.

La memoria in questione non è cosa da poco, perché contribuisce a potenziare la coscienza collettiva, al pari di quanto era accaduto per le vicende dell’unificazione nazionale e per altre pagine della storia nazionale. Chi scrive a qualsiasi destinatario con recapito in Via Martiri delle Foibe (la titolazione più frequente nel pur vasto ventaglio della toponomastica in parola) o in altro luogo con indicazione analoga, non può fare a meno di ricordare, se consapevole, e di acquisire una nuova conoscenza storica, se ignaro.

Comunque sia, quelle iscrizioni sono in costante crescita, con parecchie proposte già presentate; e senza aggiungere che in molti Comuni la memoria delle foibe trova spazio, appunto, anche nella realizzazione di monumenti commemorativi, quali cippi, lapidi, e talvolta vere e proprie statue di rilevante valore sul piano artistico, non meno che etico. In questo senso, non è fuori luogo il paragone prioritario col Risorgimento, che fu esaltato nei suoi protagonisti grandi e piccoli in tante piazze d’Italia.

La Legge del 2004 ha dato un impulso notevole a questa forma di ricordo permanente, ma è bene precisare che prima della sua promulgazione, e in alcuni casi già nel secolo scorso, come quelli iniziali di Loano (Liguria) e di Baucina (Sicilia), oltre 90 Amministrazioni comunali avevano onorato le Vittime delle foibe e, più generalmente, tutti i Martiri delle violenze nazional-comuniste che si erano manifestate in modo indiscriminato anche attraverso annegamenti, fucilazioni, impiccagioni, lapidazioni e torture varie, talvolta sadiche ed efferate. Per citare un solo esempio, si pensi ai 12 Carabinieri in servizio alla centrale elettrica di Cave del Predil (Tarvisio) lungamente seviziati per mano slava prima della terribile morte alla Malga Bala.

Alcuni riconoscimenti sono stati personalizzati, onorando diversi Caduti originari dello specifico Comune deliberante, o anche Martiri particolarmente noti come la studentessa istriana Norma Cossetto[3] diventata un simbolo della tragedia vissuta da tutto il suo popolo. Non a caso, le intitolazioni al nome di Norma sono pervenute a poco meno di un centinaio, e quindi nell’ordine di un decimo del totale.

Ciò posto, è logico confidare, a più forte ragione, che gli esempi siano seguiti da tutti, anche senza bisogno di attendere (talvolta a lungo) la creazione di nuovi luoghi pubblici dove installare la memoria. Nello stesso tempo, è congruo auspicare che nei rari casi in cui la proposta di delibera non sia stata approvata per anacronistiche opposizioni, oggettivamente degne di miglior causa, l’assurdo ostracismo possa essere solertemente rimosso.

La toponomastica non può bastare alla creazione di una memoria storica condivisa ed esaustiva che presume altri approfondimenti[4] ma per lo meno esprime un messaggio consapevole e visibile con immediatezza, che bisogna riconoscere e proporre ad esempio. Diverso, anche dal punto di vista dell’impatto simbolico e psicologico, è il linguaggio della memorialistica, e più specificamente di quella monumentale, dove la trasfigurazione del sacrificio di tanti Martiri assume una ben diversa valenza civile e morale, talvolta assai coinvolgente.

David Ben Gurion[5], con un giudizio generalmente condiviso, ha scritto che «un popolo senza memoria storica sarebbe un popolo senza futuro». In tal senso, certo da condividere, quei monumenti hanno un ruolo destinato ad andare ben oltre le loro stesse dimensioni, promuovendo riflessioni non effimere soprattutto da parte di chi vuol capire, ma prima ancora da parte dei giovani, le cui conoscenze storiche sono generalmente limitate, e non certo per colpe proprie.

Conviene aggiungere che col passare degli anni la «pietas» per un delitto contro l’umanità come quello costituito dalle foibe e dalle altre efferatezze di cui si diceva, ha cominciato a diffondersi anche in altri Paesi, a dimostrazione della rilevanza, in primo luogo etica, di quella stagione ferina. Dapprima, ciò è avvenuto in ambito viciniore – più specificamente in Austria e nella stessa Croazia – e poi anche in ambito extra-europeo, come attestano i memoriali realizzati in Australia, Canada e Sudafrica, talvolta per iniziativa delle comunità esuli ma sempre con l’adesione locale. Se non altro, è un esempio di condivisione che implementa, a più forte ragione, il valore spirituale di un Ricordo idoneo a trascendere il pur encomiabile valore celebrativo, per assumere quello di evidenti messaggi prescrittivi.

La memorialistica e la toponomastica, alla luce di questa diffusione in Italia e nel mondo, hanno assunto il valore di una testimonianza che integra in maniera funzionale quello della storiografia e di una cronaca ormai necessariamente datata. Infatti, utilizzano un linguaggio proposto da materiali di altissima durata nel tempo come la pietra o il bronzo, e messaggi essenziali ma non per questo meno esaurienti, affidati a poche parole molto efficaci, destinate a raggiungere anima, cuore e menti dell’Italia migliore.


Note

1 La legge in questione, di cui fu primo firmatario l’Onorevole Roberto Menia di Alleanza Nazionale, figlio di esuli, fu approvata dal legislatore italiano dopo un iter complesso ma con voto quasi unanime, a conferma di un ritrovato giudizio unitario. Più precisamente, si ebbero 15 suffragi contrari, tutti dell’Estrema Sinistra, soltanto alla Camera dei Deputati.

2 Alcune intitolazioni di luoghi hanno assunto particolare significato memorialistico, perché legati all’esercizio pubblico della potestà normativa municipale o allo sviluppo della cultura: nel primo caso è accaduto, ad esempio, per Calalzo (Belluno) dove l’intitolazione ha riguardato la sala consiliare del Comune; e nel secondo, per Este e Limena (Padova) e per Siculiana (Agrigento) dove ha interessato le Biblioteche locali di competenza.

3 Norma Cossetto (1920-1943) stava per discutere la tesi di laurea all’Università di Padova, quando fu arrestata nella sua abitazione di Santa Domenica di Visinada, violentata e barbaramente uccisa dai partigiani, diventati padroni della situazione dopo la svolta dell’8 settembre. Infoibata a Villa Surani assieme a tanti altri Martiri, le Spoglie mortali di Norma furono riesumate dalla squadra del Maresciallo Arnaldo Harzarich nella breve stagione di ripristino della sovranità italiana. Alla sua memoria, a parte le intitolazioni toponomastiche, sono state conferite la laurea «honoris causa» dall’Ateneo patavino (1949) e più tardi, la Medaglia d’Oro al Merito Civile (2006) per iniziativa del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

4 Tra le questioni più dibattute si deve annoverare anche quella riguardante il numero delle Vittime. In realtà, era stato chiarito nella critica più matura, fra cui quella di Italo Gabrielli, che si tratta di un argomento importante ma non decisivo, tanto più che la definizione del numero, ormai di improba soluzione, è stata spesso strumentalizzata per ragioni di evidente ordine politico. Qui basti ricordare che la «forchetta» è straordinariamente ampia, passando da un minimo di 2.000 Caduti infoibati o diversamente massacrati, secondo le interpretazioni più riduttive, a un massimo di 45.000 per quelle opposte. In ogni caso, la tesi del genocidio, sostenuta da Gabrielli, conserva tutta la sua validità etica e giuridica: in effetti, accanto ai Caduti si deve tenere conto anche degli Esuli, che secondo la pertinente definizione di «Sradicati» datane da Monsignor Luigi Stefani, furono costretti a lasciare la propria terra, disperdendosi nella diaspora, nel numero di ben 350.000.

5 David Ben Gurion (1886-1973) fu il fondatore dello Stato d’Israele e primo Capo del Governo, cui si deve la proclamazione ufficiale del 14 maggio 1948, nonché primo firmatario della Dichiarazione d’indipendenza. Durante il suo governo si distinse per l’impulso dato al rientro dalla «diaspora» ebraica e per l’amicizia con la nuova Repubblica Federale Tedesca del Cancelliere Konrad Adenauer, che diede un contributo finanziario molto importante all’avviamento della nuova compagine statale israeliana.

(ottobre 2021)

Tag: Laura Brussi, Maresciallo Tito, Georg Friedrich Hegel, Norma Cossetto, David Ben Gurion, Roberto Menia, Arnaldo Harzarich, Carlo Azeglio Ciampi, Italo Gabrielli, Luigi Stefani, Konrad Adenauer, Loano, Liguria, Baucina, Sicilia, Cave del Predil, Tarvisio, Malga Bala, Austria, Croazia, Australia, Canada, Sudafrica, Calalzo, Belluno, Este, Limena, Padova, Siculiana, Agrigento, Santa Domenica di Visinada, Villa Surani, Stato d’Israele, Trattato di Osimo, Legge 30 marzo 2004 numero 92, Giorno del Ricordo.