Foibe: dieci anni dal tema di licenza liceale dedicato alle Foibe (2010)
Un episodio di ingiustizia nella scuola italiana per motivazioni ideologiche

Trascorso un decennio dalla proposta ministeriale di un tema di maturità dedicato alle Foibe (2010), è utile riconsiderare in una prospettiva storica, ma non priva di motivi attuali, quella decisione d’epoca che cercava di ovviare a una lunga e non casuale dimenticanza; e nello stesso tempo, i fatti che ne conseguirono. Fu un tentativo commendevole ma velleitario, e destinato a promuovere qualche riflessione importante.

Anzitutto, bisogna precisare che quel tema (Ricordo della tragedia degli Italiani e di tutte le Vittime delle Foibe) venne svolto in Italia da una sparuta minoranza di candidati, pari al 5‰: cosa che la dice lunga sulla preparazione storica degli studenti, sebbene la Legge 30 marzo 2004 numero 92, istitutiva del Ricordo in parola, con obbligo di commemorazioni in ogni Istituto medio e superiore, fosse già in vigore da sei anni. Inoltre, almeno nelle zone più vicine al confine orientale, dove la conoscenza dei fatti è meno episodica, qualcuno ritenne opportuno astenersi da una scelta che avrebbe potuto indurre valutazioni compromettenti, se non altro circa il voto finale.

Quest’ultima presunzione non era infondata, diversamente da quanto sarebbe ragionevole in un contesto di valutazione storica oggettiva, tanto più auspicabile a 65 anni dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale. Infatti, al Liceo Scientifico «Martino Filetico» di Ceccano (Frosinone) uno studente (Fernando Incitti) venne respinto – stando alle cronache – perché gli argomenti proposti nella sua prova scritta non erano «graditi alla commissione». Del resto, come emerge dalla testimonianza diretta dell’interessato, secondo alcuni professori il dramma dell’Esodo sarebbe stato una «pseudo-invenzione» per cui la condanna del lungo silenzio in materia, formulata dallo studente nel suo elaborato e riproposta nel colloquio, non poteva essere accettata.

Vale la pena di aggiungere che il tema non fu oggetto di bocciatura per errori materiali o per altri motivi formali, ma per ragioni «idealistiche» e quindi in palese deroga alle libertà garantite dalla Costituzione, tra cui quella d’insegnamento e quella, speculare, di libera interpretazione dei fatti e delle loro matrici ideali, nel corso dell’apprendimento: ciò, nell’ambito di una ragionevole cooperazione tra docenti e discenti, finalizzata al perseguimento del confronto, della cultura, e quindi della pur complessa verità.

Oltretutto, al danno si aggiunse la beffa, perché al termine della prova orale lo studente fu gratificato dagli auguri di alcuni commissari per il prosieguo degli studi universitari, salvo scoprire all’indomani di essere stato l’unico respinto del suo Liceo, fra ben cinque classi di maturandi, promossi con una percentuale «bulgara».

Agli atti è rimasto il tema, che chiunque può leggere «on-line» e che, salvo qualche imprecisione, evidenzia una buona conoscenza della storia, inquadrando il dramma «dimenticato» di Venezia Giulia e Dalmazia nei fatti essenziali del Novecento, a far tempo dalla Vittoria italiana nella Grande Guerra per proseguire, in un’ottica meno schematica, con l’Impresa fiumana di Gabriele d’Annunzio e la sua conclusione nel «Natale di Sangue» dopo una lunga «resistenza» all’attacco dell’Italia ufficiale. Poi, il disastro dell’8 settembre 1943 avrebbe segnato l’inizio dell’orrore, con la pianificazione di «un vero e proprio genocidio nei confronti delle popolazioni d’Istria, Fiume e Dalmazia» tradotto in 20.000 Vittime di infoibamenti e massacri analoghi, e nel grande Esodo dei 350.000: un orrore compiuto con la connivenza dei partigiani italiani, che «la nuova Repubblica Italiana non rese mai noto, in sessant’anni di silenzi e di bugie». Tutto qui: con la coinvolgente e sempre valida conclusione secondo cui nelle zone del confine orientale trasferite alla Jugoslavia «anche le pietre parlano italiano».

Si deve precisare che, oltre al testo dell’elaborato, in rete è rimasto, quale commento prioritario, e quindi particolarmente visibile, quello assai polemico di Claudia Cernigoi, la nota docente giuliana assurta ai vertici nel negazionismo, che non potendo contestare alcune verità di fondo, ha preferito soffermarsi su qualche errore d’italiano da attribuire non certo a ignoranza, ma a evidenti refusi di stampa.

Alla luce della storiografia più aggiornata, il tema del maturando di Ceccano non peccava davvero di una presunta partigianeria. La Reggenza Italiana del Carnaro, lungi dall’essere un esperimento autoritario, produsse un modello di Costituzione particolarmente avanzata in campo giuridico e sociale, con la totale uguaglianza di uomini e donne e l’affievolimento del diritto di proprietà in funzione del pubblico interesse. Dal canto suo, l’armistizio del 1943, firmato in un clima da consorteria e senza le opportune disposizioni militari, è stato riconosciuto dalla storiografia di ogni orientamento come un’autentica «eclisse» della Patria, e prima ancora, dei valori umani calpestati dalla conseguente tragedia della guerra civile. Quanto ai silenzi della Repubblica Italiana, basti rammentare che la Legge istitutiva del Ricordo venne approvata dal Parlamento con voto quasi unanime (i voti contrari furono 15) proprio nell’intento di porre rimedio, sia pure tardivamente, all’oscuramento epocale che si era voluto stendere su Esodo e Foibe per opinabili motivazioni, tanto di politica interna quanto di politica estera.

È vero che quello di Ceccano resta un singolo episodio, a fronte del quale si possono citare diversi esempi di approfondimento storico della vicenda giuliano-dalmata anche a livello scolastico, con ricerche prodotte da vari Istituti, e oggetto di riconoscimenti istituzionali in occasione del 10 Febbraio. Nondimeno, non si può fare a meno di sottolineare che l’idra del negazionismo e del riduzionismo è pur sempre in agguato, anche a livello accademico: come è stato rammentato più volte, i libri di scuola continuano a essere «minus quam perfecti» tanto da avere affermato, fra le varie perle, che nel 1947 l’Italia «restituì» Venezia Giulia e Dalmazia a una Jugoslavia che non aveva mai esercitato la propria sovranità su quelle regioni, se non altro per non essere mai esistita prima del trattato di pace di Versailles, successivo alla Grande Guerra.

Anche per questo, quel tema di Ceccano passa alla storia come uno «scandalo» necessario, avendo dimostrato – costi quel che costi – come non sia possibile «spegnere l’ardire di tanti giovani italiani che non abbassano la testa».

(marzo 2020)

Tag: Carlo Cesare Montani, Giorno del Ricordo, Legge 30 marzo 2004 numero 92, Vittime delle Foibe, Liceo Scientifico di Ceccano, Fernando Incitti, Grande Guerra, Gabriele d’Annunzio, Natale di Sangue, Claudia Cernigoi, Reggenza Italiana del Carnaro, Silenzio della Repubblica, Trattato di Versailles, temi sulle Foibe.