La falsificazione della storia contemporanea
Un fenomeno triste, particolarmente vivo negli anni Settanta ma ancora presente

La storia contemporanea è fortemente soggetta a politicizzazione, esponenti e commentatori di politica da sempre intervengono nella delicata questione con approssimazione, incompetenza e faziosità, ma con un insieme di mezzi molto potenti per trasmettere il loro messaggio. La scarsa reazione degli storici qualificati lascia comunque interdetti, non sarebbe difficile smontare tesi piuttosto grossolane spesso fondate sul nulla, dove l’intenzione manipolatoria spesso emerge con facilità. Negli anni Settanta non furono pochi gli storici che si fecero prendere dal clima culturale vigente e alimentarono loro stessi molti luoghi comuni (pensiamo anche alle aggressioni nei confronti dello storico Renzo De Felice), oggi la situazione è migliore ma i danni prodotti si fanno ancora sentire. Viene da chiedersi, la gente (intellettuali compresi) è sprovveduta o trova piacere a vivere in un mondo palesemente finto? Quando nel 1989 divenne impossibile tacere le nefandezze e i crimini contro l’umanità commessi dai regimi comunisti, non pochi politici iniziarono a dire che solo un personaggio, Stalin, ne era il responsabile, in pratica sostituirono ad una menzogna un’altra solo leggermente meno grave. La falsificazione della storia non costituisce un disegno premeditato, ma nasce dall’azione di molte componenti e si avvale di teorie sofisticate come di affermazioni generiche e ambigue, colpisce comunque molto duramente per chi ha dedicato decenni di studi al nostro recente passato notare la confusione esistente.

La nuova economia introdotta prima in Gran Bretagna e successivamente negli altri Paesi Occidentali non poteva non essere oggetto di controversie. Il capitalismo e la Rivoluzione Industriale hanno peggiorato le condizioni di vita dei lavoratori? Dove e quando, viene da chiedersi, qual è la statistica storica che conferma un decremento dei salari e dei consumi? Perché milioni di persone avrebbero dovuto abbandonare le proprie attività in campagna e cambiato spesso anche Paese, se gli industriali delle nascenti fabbriche proponevano retribuzioni peggiori? I sostenitori della tesi citano spesso gli «slums», ma queste erano abitazioni precarie e provvisorie sorte presso centri industriali di nuova formazione dove vi era stata eccessiva immigrazione. Negli anni 1860-1890 (il periodo del cosiddetto «capitalismo selvaggio») i salari in America aumentarono del 50% e successivamente proprio uno dei massimi esponenti del capitalismo, Henry Ford, stabilì di alzare ulteriormente i salari delle sue fabbriche, già notevolmente più alti di quelli di qualsiasi altro Paese al mondo. Connessa a tale questione è quella del riconoscimento dei diritti sociali a favore degli operai, il Governo che mise mano per primo alla legislazione sociale fu il Governo più conservatore che avevamo in Europa, quello di Bismark (1881) che fu anche fra i primi a concedere il suffragio universale che negli Stati Uniti, Paese all’avanguardia del capitalismo, era presente già da tempo così come l’accesso alle massime cariche dello Stato da parte delle classi popolari. Interessante notare infine che l’analfabetismo, fenomeno plurisecolare, crollò successivamente alla nascita della nuova economia e all’avvento dei Governi Liberali, il fenomeno ancora ben diffuso a metà dell’Ottocento in Europa era quasi scomparso ai tempi della Prima Guerra Mondiale.

Altro tema sul quale la confusione è notevole è quello del colonialismo europeo della fine dell’Ottocento, fu sostenuto con molto favore dalla Sinistra Francese repubblicana, dalla Sinistra crispina italiana e scarsamente sostenuto dai liberali inglesi. Non fu esattamente una politica di conquista, le battaglie combattute dagli Europei furono pochissime, l’impegno di forze militari scarso, molte popolazioni in Africa come molti Raja in India stabilirono accordi e alleanze con i Governi Occidentali in quanto duramente vessati dai Governi locali più potenti che avevano gestito con estremo arbitrio quei territori. Il colonialismo ebbe le sue pagine infelici ma eliminò un male gravissimo nell’Africa Nera, quello dello schiavismo che aveva pesantemente martoriato il continente per molti secoli. In un certo modo simile alla questione coloniale è quella del rapporto fra nativi e coloni europei in America, si parla di massacro degli Indiani, ma la confusione sul modo in cui si sarebbe verificata la violenza (o forse solo contagio batteriologico) sui primi risulta piuttosto pesante.

Passando alla storia italiana, un tema abbastanza dibattuto negli ultimi anni è stato quello del brigantaggio, il malcontento verso i Piemontesi che avrebbero vessato le popolazioni locali sarebbe la causa scatenante. I provvedimenti del nuovo Governo contestati riguardavano in realtà l’Italia nella sua interezza, coscrizione obbligatoria, assegnazione di terre destinate ad uso comune e costituivano misure ordinarie intraprese in tutte le Nazioni Europee, lo stesso Garibaldi non era contrario. I deputati meridionali sostennero i Governi della Destra cavouriana, ma soprattutto è da notare che l’insorgenza non nacque sotto i Governi postunitari ma nel momento stesso (settembre 1860) in cui Garibaldi mise piede a Napoli: esponenti dell’esercito borbonico allo sbando, alcuni componenti del clero fortemente sostenuti dai Borboni (il brigantaggio non si diffuse in Sicilia dove gli ex Regnanti non disponevano di mezzi) furono i protagonisti del tristissimo fenomeno. Risulta poi molto strana l’idea del brigantaggio come forma di protesta sociale, perché coloro che si sentivano oppressi avrebbero dovuto sostenere le forze della conservazione?

Arrivando al Novecento, la polemica diviene ancora più pesante quanto velleitaria. Fino a non molto tempo fa si sosteneva che la Rivoluzione d’Ottobre fosse il maggiore evento del secolo e si minimizzava la repressione contro tutti i gruppi politici (compresi anarchici e socialisti) scatenata dai bolscevichi. Non ci voleva molto a notare che il numero delle vittime politiche (circa 200.000 contadini fucilati, mezzo milione fra cosacchi deportati e uccisi) sotto Lenin fosse di molto superiore a quello raggiunto in molti decenni di zarismo e a quello di qualsiasi altro Governo Europeo degli ultimi cento anni. Molti che scrivono sulla materia non parlano della eliminazione della giornata lavorativa di otto ore introdotta dai capi bolscevichi e dalla introduzione nel 1920 del codice di militarizzazione del lavoro che prevedeva una normativa in materia estremamente più dura di quella di qualsiasi Paese Capitalista. Molti hanno tentato di scrivere che i regimi duramente repressivi creati dai comunisti furono dovuti a cause contingenti o a ragioni di ordine pubblico, eppure nei loro scritti Lenin, Bucharin e Trotsky parlavano non solo di imposizione della dittatura ma esplicitamente di annientamento delle classi sociali ostili e di ricorso al «terrorismo rivoluzionario» come modo di governo. Il mito rivoluzionario, nonostante il fatto che il nuovo regime non avesse prodotto alcun miglioramento per la classe lavoratrice, fu a livello mondiale fortemente sentito. Interessante a proposito del rapporto fra intellettuali e politica, i diversi viaggi che scrittori e giornalisti compirono nei Paesi Comunisti nell’epoca successiva, alcuni si resero conto che ciò che veniva loro proposto di visitare era palesemente falso, altri presi dal fervore rivoluzionario tornarono ai loro Paesi d’origine parlando dei risultati eccezionali compiuti dai regimi totalitari marxisti.

La questione fascismo e antifascismo è stata a lungo un tabù, sebbene lo stesso Gaetano Salvemini avesse scritto delle violenze scatenate dalla Sinistra come una delle cause dell’affermarsi del regime totalitario. Le violenze nel primo dopoguerra sarebbero state scatenate dai soli fascisti contro individui inermi, difficile trovare un qualche riscontro a questa tesi, i bilanci di morti e feriti negli scontri (riportati anche nell’opera di De Felice) parlano chiaro, l’uso delle armi da parte dell’estrema Sinistra (rivolta di Ancona, occupazione delle fabbriche) precede la nascita dello stesso squadrismo fascista avvenuto nell’autunno 1920. Significativo al riguardo il programma ufficiale del 1921 del Partito Comunista d’Italia Sezione della Terza Internazionale, prevedeva esplicitamente l’«abbattimento violento dello Stato borghese» e la «organizzazione armata» del proletariato. Nel secondo dopoguerra lo stesso Ferruccio Parri parlò dei migliaia fascisti uccisi a guerra finita; quando negli anni Novanta Giampaolo Pansa riprese il tema, molti gridarono allo scandalo ma nessuno capì quale era il dato storico che l’autore avrebbe citato arbitrariamente. Negli stessi anni si iniziò a parlare degli Italiani uccisi nelle foibe, in maniera incredibile nessuno le aveva menzionate prima, così come l’esodo dei 350.000 Italiani dalle regioni passate alla Jugoslavia. Quando il tema divenne caldo qualcuno parlò (fra i quali lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) di vittime della «rabbia popolare», eppure molti erano stati gli antifascisti uccisi e le uccisioni avvennero principalmente attraverso una organizzazione centralizzata, l’Ozna, del Partito Comunista Jugoslavo. La Repubblica «fondata sulla Resistenza» divenne un mito potente per decenni, ignorando che una parte della stessa, quella di ispirazione comunista, non si era mai riconosciuta nei valori della libertà, ovvero pensava alla democrazia pluralista come a un passaggio intermedio per realizzare un regime sul modello sovietico.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale il mondo si divise in due blocchi a causa, sostenevano alcuni, di «reciproche incomprensioni», un modo molto strano di analizzare la guerra fredda, da una parte c’erano le principali democrazie mondiali, dall’altra un insieme di regimi totalitari molti dei quali aggregatisi per imposizione e sui quali l’Unione Sovietica esercitava un dominio. La guerra civile scatenata dai comunisti in Grecia, l’occupazione di Trieste, la soppressione delle libertà nei Paesi dell’Europa Orientale, il Blocco di Berlino ed infine l’aggressione in Corea, difficilmente possono far pensare che i due «blocchi» tenessero gli stessi comportamenti o fossero nati casualmente. Nello stesso periodo iniziò la decolonizzazione, per molti popoli afroasiatici significò il passaggio sotto regimi totalitari sanguinari che scatenarono un gran numero di guerre e impoverirono i rispettivi Paesi. Diversi intellettuali parlarono di «neocolonialismo» sebbene residenti europei e aziende europee avessero subito requisizioni e vessazioni molto pesanti, e una gran parte di questi Paesi divenne per un lungo periodo «off limits» per gli investimenti mondiali.

Le manipolazioni della storia contemporanea, considerando anche gli episodi minori, sono state molto numerose, si rimane pesantemente sconcertati pensando a quanta gente ne è stata vittima e a quanti intellettuali abbiano vaneggiato: lo studio della storia serio fondato sulla diversificazione delle fonti storiche rimane uno strumento imprescindibile.

(febbraio 2016)

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