Bandiera della speranza e della fede
Venezia Giulia, Istria e Dalmazia: auspici e riflessioni attuali a un ottantennio dall’armistizio (8 settembre 1943)

Il plumbeo autunno del 1943, che nella storia dell’Alto Adriatico e del confine orientale coincise con l’inizio delle grandi persecuzioni a danno degli Italiani e di quanti non intendevano piegarsi alla violenza elevata a sistema, deve essere ricordato per avere proposto alla memoria storica contemporanea tanti esempi di fede nei grandi valori di civiltà e di giustizia: in tutta sintesi, di Ethos e di Patria. Basti pensare, fra i tanti, all’estremo sacrificio di Norma Cossetto, violentata da diciassette aguzzini e infoibata a Villa Surani il 5 ottobre dell’anno in parola, assunta a simbolo perenne del martirio di un intero popolo, tradotto in cifre agghiaccianti come quelle, peraltro prudenziali, di 20.000 vittime e di 350.000 esuli[1].

Nella memoria degli eroi si devono annoverare gli esempi di coraggio e di forza, non soltanto morale, dati da coloro che in quei giorni infami profusero il proprio impegno per la difesa di una nobile terra italiana, e combatterono fino all’ultimo senza alcuna certezza di successo, se non quella di tenere alta la bandiera dell’onore.

Si possono ricordare, sempre in chiave simbolica: 1) Libero Sauro, figlio di Nazario (il celebre eroe di Capodistria e martire del primo irredentismo) e poi Presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia in tempi di sano patriottismo; 2) Bruno Artusi, impegnato nel Gruppo «Mazza di ferro» battutosi nell’ultima difesa istriana, che più tardi sarebbe stato tra gli artefici del Libero Comune di Pola in Esilio; 3) Luigi Papo da Montona, che il 4 ottobre 1943 avrebbe animato un’altra formazione patriottica definita «Unghia di Leone», ugualmente distintasi nell’impari lotta per l’italianità; 4) Italo Gabrielli da Pirano, indimenticabile Presidente dell’Unione degli Istriani che avrebbe animato l’opposizione triestina al trattato di Osimo del 1975, affidandone la memoria imperitura a un’importante opera storiografica e testimoniale[2].

Oggi, tutti questi patrioti sono «andati avanti» e hanno portato a termine la loro «buona battaglia» ma lasciando agli esuli superstiti, ai loro amici, ai loro eredi e a tutti gli Italiani di buona volontà un messaggio di speranza e di fede suffragato dall’impegno delle proprie vite. A esempio, sono quasi cento le opere di carattere storico e celebrativo che Papo ha pubblicato per la causa, a cominciare dal grande Albo d’Oro in cui sono riportati i nomi di tante migliaia di martiri e di caduti infoibati o altrimenti massacrati nelle acque dell’Adriatico, nelle cave istriane e nei campi di detenzione jugoslavi[3], scrivendo una pagina incancellabile circa la grande tragedia da cui fu colpito un popolo che ebbe una sola colpa: quella di essere italiano.

In proposito, vale la pena di rammentare, fra l’altro, che dopo il «Diktat» del 10 febbraio 1947 la Repubblica Federativa di Tito chiese all’Italia, in conformità all’articolo 15 del trattato di pace, la consegna di oltre 700 «criminali di guerra» o presunti tali: cosa che lasciava molti dubbi circa l’attendibilità di quella iniziativa, se non altro perché si trattava di una cifra abnorme, di gran lunga superiore a quella complessivamente richiesta dagli altri Paesi vincitori, ivi compresi Albania, Etiopia e Grecia, protagonisti di conflitti molto sanguinosi.

Almeno nella predetta occasione il Governo Italiano ebbe un sussulto di residua dignità perché quei «criminali» non furono lasciati alla vendetta di Tito e dei suoi solerti corifei. Al riguardo, giova rammentare che nell’elenco, paradossalmente, figuravano anche i nomi di alcuni fra i patrioti prima citati, che non avevano responsabilità di sorta, salvo quella, imperdonabile da parte slava, di essersi battuti per la difesa dell’italianità giuliana, istriana e dalmata, e dei suoi valori umani e civili.

Non sono mancati gli esegeti, anche di casa nostra[4], pronti a sostenere che costoro si erano impegnati dalla «parte sbagliata» ma quanto accadde in quel periodo tragico e nei lunghi anni successivi che videro la persecuzione sistematica della stessa dissidenza croata e slovena dimostra che si tratta di una tesi opinabile, e nella fattispecie, a più forte ragione inaccettabile.

Come scrisse Teseo Tesei, Medaglia d’Oro della Seconda Guerra Mondiale, in alcuni casi la prima priorità non è quella di vincere militarmente, ma di «agire bene, con coraggio e con dignità»: principio cui si attennero indubbiamente quei patrioti, e chi ne condivise le convinzioni e gli auspici, affidando ai posteri un messaggio che non può e non deve essere disperso. Intendiamoci: l’azione fondata su valori etici, e quindi sempre degna di essere onorata e assunta a esempio, non ubbidisce alla logica di una variabile indipendente, ma a quella dell’imperativo categorico di matrice kantiana, e come tale ha da essere considerata nel giudizio della storiografia, e prima ancora, degli uomini di buona volontà.

Sono passati quasi ottant’anni dalla plumbea stagione dell’8 settembre 1943 e dalle drammatiche vicende che si protrassero per tanto tempo in conseguenza di quella tragedia, ma questo non è un buon motivo per stendere un velo di oblio su quelle pagine di storia e sulle responsabilità che ne furono matrice ormai indiscussa. Non è nemmeno tempo di indulgere alla rassegnazione indotta da uno strisciante e malinteso buonismo, che non deve essere considerato espressione di perdono cristiano, appartenente soltanto alla libera coscienza individuale, e non può essere esteso a livello di giudizio politico collettivo, suffragato da vaghe considerazioni messianiche, ma idoneo ad alimentare il culto del «particulare» di cui al triste pensiero di Francesco Guicciardini, perennemente attuale nella sua lucida, pessimistica esegesi dell’individualismo assoluto.

Al contrario, è sempre tempo di riflessioni mature e consapevoli, e quindi, di formulare convincimenti chiari da cui «trarre gli auspici» per «egregie cose», come da felici spunti del migliore Risorgimento. Soprattutto, il «vir bonus cum mala fortuna compositus» di cui al celebre pensiero di Seneca deve essere sempre consapevole della necessità di onorare e difendere costantemente i valori della ragione e del bene comune, sulle orme di Orazio, il grande poeta latino che aveva già sostenuto l’obbligo, in primo luogo etico, di stabilire «quid deceat, quid non». Ed è tempo di agire in conseguenza, oltre ogni dubbio, e soprattutto, contro ogni compromesso.

La storia, che non è maestra di vita ma è comunque in grado di promuovere la riflessione, non si è chiusa col «Diktat» del 10 febbraio 1947 e non finisce certamente oggi: anzi, gli onori tributati all’ultima Bandiera dell’Istria e della Dalmazia Italiane, di cui alle opere di Luigi Papo e degli altri storici patrioti, non si limitano a costituire un pur doveroso e coinvolgente rito, come quelli conseguenti alla Legge 30 marzo 2004 numero 92 istitutiva del Ricordo, ma sono manifestazioni della sana volontà di ispirarsi a grandi esempi di beninteso patriottismo, di speranza indomita, e di autentica forza morale.


Note

1 Non mancano fonti bibliografiche a supporto ragionato di cifre superiori alle cifre esposte, anche in misura ragguardevole. A titolo esemplificativo, confronta AA.VV., Slovenia. Anche noi siamo morti per la Patria, traduzione di Guido Deconi, Associazione per la sistemazione dei Sepolcri tenuti nascosti, Lubiana 2000, 792 pagine. Accenni analoghi sono reperibili in: Flavio Fiorentin, L’Eredità del Leone, Aviani & Aviani Editori, Udine 2018, pagina 360.

2 Italo Gabrielli, Istria Fiume Dalmazia: Diritti negati – Genocidio programmato, con prefazione di Carlo Cesare Montani, seconda edizione ampliata, Luglio Editore, Trieste 2018, 168 pagine.

3 Luigi Papo, Albo d’Oro: la Venezia Giulia e la Dalmazia nell’ultimo conflitto mondiale, con premessa di Silvio Delbello, seconda edizione, Unione degli Istriani, Trieste 1989, 780 pagine. L’opera contiene parecchie migliaia di nomi e cognomi delle vittime, costituendo una fonte tuttora primaria.

4 Un esempio recente e probante dell’assunto, in chiave fortemente riduzionista, è quello di Eric Gobetti, E allora le foibe?, Edizioni Laterza, Bari-Roma 2021, 136 pagine.

(settembre 2022)

Tag: Carlo Cesare Montani, Norma Cossetto, Nazario Sauro, Bruno Artusi, Luigi Papo, Italo Gabrielli, Maresciallo Tito, Teseo Tesei, Francesco Guicciardini, Seneca, Orazio, Guido Deconi, Flavio Fiorentin, Silvio Delbello, Eric Gobetti, Venezia Giulia, Istria, Dalmazia, Villa Surani, Capodistria, Montona, Pirano, Adriatico, Albania, Etiopia, Grecia, ANVGD, Mazza di Ferro, Libero Comune di Pola in Esilio, Unghia del Leone, Unione degli Istriani, trattato di Osimo, trattato di pace (Diktat) del 10 febbraio 1947, Repubblica Federativa Jugoslava, Giorno del Ricordo.