Antistoria italiana
Gli oltraggi ai Caduti esprimono un rinnovato esempio di tradimento dell’«ethos». Il caso di Nettuno (settembre-ottobre 2021)

A tre quarti di secolo dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale, quando le voci della discordia avrebbero dovuto cedere il passo all’analisi storica oggettiva, per non dire delle conclamate ipotesi di riconciliazione nazionale rese tuttora impervie da interpretazioni per lo meno settarie della realtà, gli oltraggi ai Caduti continuano a dimostrare che in Italia le voci della giustizia e dell’onore sono pervicacemente sopraffatte dai cultori di una violenza non soltanto morale. Ultimi episodi di particolare rilevanza etica sono stati quelli di Nettuno, con l’oltraggio ai sepolcri del «Campo della Memoria»[1] e con la successiva offesa alla targa cittadina in ricordo delle vittime infoibate dai partigiani di Tito.

Il primo delitto, di particolare rilevanza mediatica[2], ha avuto luogo nella notte dell’8 settembre, quasi a voler «celebrare» con un atto inutilmente dissacratorio una data ormai ritenuta quella d’inizio della Resistenza, e come tale, inserita d’ufficio nel calendario storico della Repubblica Italiana, e nella negazione dei valori di Fede e di Patria che, diversamente dall’assunto aprioristico delle «vulgate», avevano presieduto alla fondazione della Repubblica Sociale[3]. La profanazione di alcuni sepolcri e dell’area circostante è stata riparata nel corso di un’intensa celebrazione tenutasi il 23 ottobre, volta a restituire il «Campo della Memoria» alla «pietas» che si deve a tutti i Caduti, senza esclusioni né elucubrazioni di sorta: meno che mai, a quelli che, come si è detto con felice sintesi, «ripresero le armi per l’onore d’Italia».

Serve aggiungere che la riconsacrazione non ha contemplato il restauro integrale delle tombe offese, in modo da lasciare traccia imperitura di un turpe vandalismo ideologico, da affidare al giudizio degli uomini di buona volontà, e prima ancora, a quello divino.

Nel corso della cerimonia, a maggiore esplicitazione dei fatti anche dal punto di vista giuridico, è stata letta la sentenza emessa dal Tribunale Supremo Militare in data 26 aprile 1954, laddove si afferma che «i combattenti della Repubblica Sociale Italiana avevano la qualità di belligeranti perché erano comandati da persone responsabili e conosciute, indossavano uniformi e segni distintivi riconoscibili a distanza e portavano apertamente le armi» mentre «gli appartenenti alle formazioni partigiane, viceversa, non avevano la qualità di belligeranti perché non portavano segni distintivi riconoscibili e non portavano apertamente le armi né erano assoggettati alla legge penale militare». Si tratta di un documento chiaro, inoppugnabile, e tale da confermare una precisa verità storica, ancor prima che giuridica, oltre ogni interpretazione deviante.

Un secondo caso di minore impatto sul piano dei danni materiali ma di analoga rilevanza su quello etico, ha avuto luogo a distanza di breve tempo con l’oltraggio e il danneggiamento della targa comunale che ricorda la tragedia dei 20.000 infoibati o diversamente massacrati dalle bande partigiane: forse, non è un caso che anche questo episodio, verificatosi ai primi di ottobre, abbia avuto luogo contestualmente al 78° anniversario del martirio di Norma Cossetto, Medaglia d’Oro al Merito Civile «ad memoriam», assurta a perenne simbolo del dramma di un intero popolo[4].

Non serve aggiungere che i fatti di Nettuno sono soltanto un esempio di quanto accade con analoga pervicacia in varie regioni e città italiane, quasi a perpetuare un messaggio di sostanziale inconciliabilità dovuta a precise scelte politiche, in antitesi ai tentativi di segno opposto che avevano avuto luogo sin dallo scorcio conclusivo del Novecento per commendevole iniziativa di alcuni esponenti di entrambe le parti, ma rimasti allo stato di mero auspicio. Purtroppo, nell’attentato al «Campo della Memoria» si è colto un salto «in pejus» nell’offesa ai simboli, ma prima ancora, alle spoglie mortali dei Caduti: un delitto che non avveniva dai plumbei tempi bellici e da quelli immediatamente successivi.

Con buona pace di qualche storico antico e di qualche cattedratico contemporaneo, la storia non è maestra di vita. Al contrario, non manca di continuare a proporre, con singolare perseveranza, le antinomie e gli errori del passato che bisogna condannare senza riserve prescindendo da ogni conato di giustificazionismo o riduzionismo, se non altro per coltivare la speranza di Giambattista Vico nell’avvento di un’epoca in cui gli uomini vogliano «ragionare con mente pura», e per onorare la fede dell’eroico Vescovo di Trieste, Monsignor Antonio Santin, pestato a sangue dagli Slavi ma convinto che «le vie dell’iniquità non possono essere eterne».


Note

1 L’oltraggio al «Campo della Memoria» perpetrato ai danni di un Sacrario dall’alto significato simbolico come quello dedicato ai Caduti della Decima e del Battaglione «Barbarigo» che caddero in agro di Nettuno durante l’epica battaglia contro l’invasore, è stato particolarmente grave, ben oltre qualche episodio precedente, essendosi tradotto nella forzatura violenta di quattro sepolcri con distruzione delle opere in marmo, e nell’asportazione di quattro feretri: di qui, la cerimonia di riconsacrazione che si è tenuta il successivo 23 ottobre con ampio e commosso concorso popolare, con il significativo intervento di Onorcaduti ai massimi livelli interregionali, e con le riparatrici benedizioni di rito, impartite al termine della Santa Messa in suffragio dei Caduti.

2 Le voci dello sdegno si erano fatte sentire in modo alto e solenne sin dal giorno del vile attentato. Fra le tante si ricordano, a titolo esemplificativo, quella del Senatore Fabio Rampelli, volta a confermare «il diritto di riposare in pace» che deve essere riconosciuto a tutti i Caduti; e quella del Generale C. A. Mario Bertolini, Presidente dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia, per cui ciò che «sorprende è il silenzio» di chi avrebbe avuto il dovere di parlare, a cominciare dalle «autorità che non mancano mai di far tuonare la propria indignata condanna in altre meno gravi circostanze».

3 Giova ricordare che – secondo alcune fonti – il Comandante Supremo degli Alleati, Generale Dwight Eisenhower, avrebbe affermato che la vicenda dell’8 settembre era stata «uno sporco affare»: fermo restando che «tutte le Nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e perse, l’Italia è la sola ad avere perso questa guerra con disonore» eliso in parte dal «sacrificio dei Combattenti della Repubblica Sociale Italiana». Al riguardo, il riferimento deve essere corretto, nel senso che la frase non è citata nelle memorie del Generalissimo ma soltanto nella prima edizione di quelle del suo aiutante navale (1946) ed espunta nelle successive (confronta Acta, Istituto Storico della Repubblica Sociale Italiana, anno XXIII numero 3, settembre-novembre 2009). In ogni caso, il giudizio di Eisenhower non avrebbe potuto essere coevo ai fatti perché la Repubblica Sociale Italiana fu costituita in tempi successivi alla data dell’armistizio: qualora sia stato effettivamente oggetto di una pronunzia sia pure a posteriori (cosa verosimile perché altrimenti quella del suo aiutante sarebbe stata un’estensione personale oggettivamente improbabile) resta un riconoscimento comunque ragguardevole.

4 L’estremo sacrifico della martire istriana, infoibata nella voragine di Villa Surani dopo ripetute e allucinanti violenze, ebbe luogo nella notte del 5 ottobre 1943. Le spoglie mortali, unitamente a quelle di tante altre vittime, furono esumate dopo breve tempo dalla squadra dell’eroico Maresciallo Arnaldo Harzarich, grazie alla momentanea riconquista del comprensorio da parte delle forze dell’Asse.

(dicembre 2021)

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