Gli ultimi Asburgo
Carlo e Ottone d’Asburgo

A 10 anni dalla scomparsa di Ottone d’Asburgo, il figlio dell’ultimo Sovrano che s’illuse di avere «ereditato» la memoria del Sacro Romano Impero, ha trovato qualche nuova luce nella ribalta dell’interpretazione storica l’attenzione per una Casa che ha lasciato segni indelebili nella vicenda mitteleuropea e, sia pure indirettamente, negli attuali assetti geopolitici del Vecchio Continente. Ottone[1], l’ultimo erede al trono, e Carlo, spentosi ancor giovane nell’amarissimo esilio confortato soltanto dall’amata consorte e dal piccolo figlio[2], furono uomini di notevole altezza morale da cui ha tratto origine una parziale rivalutazione degli Asburgo, il cui prestigio era stato già compromesso, non solo in Italia, dalle forche dell’avo «impiccatore» e prima ancora da quelle che il Feldmaresciallo Josef Radetzky aveva fatto innalzare in Lombardia e nel Veneto, nell’illusione che il principio di nazionalità, base ideologica e politica del Risorgimento, potesse essere impunemente strozzato.

Carlo, cui sono state dedicate non poche pagine di approfondimento storiografico ma nello stesso tempo di forte simpatia per i valori cristiani di fede e di speranza che seppe esprimere in un’epoca plumbea come quella dell’ultimo crepuscolo imperiale, fu vittima di colpe non sue, al pari di quanto era accaduto nel secolo precedente all’infelice Massimiliano, manifestando soprattutto nella sventura il tratto inconfondibile di una regalità che aveva il proprio fondamento primigenio nella volontà divina. Dal canto suo, Ottone è stato sempre fedele all’esempio, suggellando il rifiuto dell’autocrazia con la rinuncia a qualsiasi rivendicazione temporale e la condivisione, convinta a consapevole, dei principi su cui si fonda l’Europa democratica.

Ottone e Carlo appartengono alla storia, o meglio alla vita, perché hanno offerto testimonianze di un impegno civile non sempre riscontrabile nel complesso mondo delle teste coronate e dei loro eredi, ma nello stesso tempo appartengono al mito, perché esaltano, assai meglio di quanto avessero saputo o potuto fare i loro predecessori, una sintesi obiettivamente importante di nobile sentire e di conseguente agire.

Particolarmente amaro fu il destino di Carlo, Sovrano di alta fede religiosa. Per alcuni aspetti, legati alla scomparsa in età giovanile, nell’esilio di Madera, non è azzardato assimilarlo a tanti altri esuli dal vecchio Impero, a cominciare dai Dalmati che, al termine della Grande Guerra, furono costretti ad abbandonare la loro «Piccola Patria» – con la sola eccezione di Zara – per non dire dei Fiumani, Istriani e Giuliani che dopo il Secondo Conflitto Mondiale affermarono la propria fedeltà ai valori della giustizia civile e di un sano patriottismo lasciando all’usurpatore, e per giunta «infoibatore ed assassino», gli affetti, i beni, le tombe avite, e affrontando una dolorosa diaspora per le vie del mondo. Non basta: sorte analoga fu riservata ad altri popoli dell’arcipelago ex asburgico, quasi a enfatizzare la fragorosa catarsi del disegno assolutista, che in tempi più recenti si sarebbe ripetuta con quella del comunismo.

Gli spiriti moralmente e politicamente più attenti avevano già compreso che la fine dell’Impero Austro-Ungarico era nella logica del progresso e nella forza trainante del principio di nazionalità, per cui tanti patrioti avevano fatto olocausto della vita. A più forte ragione, alla dignità di Carlo, e poi dello stesso Ottone, si deve la salvezza del salvabile, sia pure limitatamente all’immagine e alla fama di una dinastia epocale.

La storia ha fatto il suo corso: oggi, Italia, Austria e Ungheria fanno parte dell’Unione Europea, assieme agli altri Stati Nazionali sorti sulle ceneri di una realtà che aveva visto la presenza di una dozzina di popoli sotto la medesima Corona. Ciò significa che ragione ed esigenze della cooperazione hanno finalmente prevalso, e che l’affermazione delle nazionalità è stata in grado di elidere buona parte delle tensioni, sebbene l’aggravamento dei problemi economici e sociali non consenta di proporre previsioni ottimistiche sul futuro dell’Europa e del mondo.

L’assolutismo, compreso quello cosiddetto illuminato, è stato superato dalla «religione della libertà» che Benedetto Croce aveva definito nei suoi valori fondamentali[3]. Ciò non vuol dire che della stagione asburgica non si debbano ricordare anche in Italia taluni aspetti positivi come l’oculatezza amministrativa e la capacità organizzativa di cui sono rimaste tracce nella prassi tuttora in essere in alcuni distretti del Nord-Est: ad esempio, in materia catastale. In ogni caso, è troppo poco per alimentare un rimpianto che non sia meramente romantico.

D’altro canto, non è un caso che il plebiscito per l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, che ebbe luogo dopo la terza Guerra d’Indipendenza, avesse espresso una maggioranza del 99,8% (!) mentre quelli che si erano tenuti in precedenza in altri distretti non diedero, almeno in alcuni casi, risultati altrettanto «bulgari»; tanto è vero che a Firenze si era avuto il 5% di suffragi per il Regno separato. Ecco una differenza che – nonostante tutto – dice ancora qualcosa e conferma le ragioni che indussero, sia pure con l’apporto della Grande Guerra, la fine di un lunghissimo Impero.

In effetti, non bisogna dimenticare che prima della «Quarta Guerra d’Indipendenza» del 1915-1918, l’Italia era stata protagonista di un avvicinamento all’Austria e alla stessa Germania, sia pure motivato da prevalenti ragioni politiche, e in primo luogo dallo «schiaffo» di Tunisi, ricevuto da parte francese[4]. Con gli Imperi Centrali le affinità ideologiche non erano prevalenti, nonostante qualche tentativo reazionario come quelli di Francesco Crispi o di Luigi Pelloux, e tanto meno sussistevano quelle spirituali: la Triplice corrispose piuttosto a una comprensibile «opinio necessitatis» legata all’obbligo non solo diplomatico di garantirsi supporti di peso adeguato in una situazione internazionale complessivamente sfavorevole. Molta acqua avrebbe dovuto scorrere sotto i ponti prima che, con la sofferta scelta di campo del maggio 1915, peraltro non condivisa dalla maggioranza parlamentare se non con la ratifica «in extremis»[5], si potesse finalmente dare voce alle attese dell’irredentismo, contribuendo in misura prioritaria al crepuscolo asburgico.

Le residue nostalgie per la «benemerita» che ogni tanto tornano alla ribalta non hanno oggettiva ragione di esistere, a prescindere dal rispetto dovuto all’ultimo Imperatore Carlo, allo stesso Ottone e se si vuole, persino a Francesco Giuseppe[6] che per lo meno – pur avendo sulla coscienza tanti Martiri – fu nemico leale dell’Italia. Lo volle dimostrare agli inizi del 1909, quando non accolse la tentazione dei suoi militari, e in primo luogo di Conrad, volta a liquidare i «giri di valzer» del Governo di Roma, approfittando dell’immane tragedia che poche settimane prima aveva cancellato Messina e Reggio Calabria. Nonostante gli illustri precedenti, mai come nel suo caso era accaduto che le glorie del passato, o presunte tali, conducessero solo alla Cripta dei Cappuccini e alla solitaria rosa rossa che Katharina Schratt fu autorizzata a posare sul suo feretro.


Note

1 Ottone d’Asburgo (1912-2011) diversamente dal padre Carlo ebbe lunga e poliedrica vita. Ultimo Arciduca ereditario del trono d’Austria e di Ungheria, espulso dal territorio ex imperiale assieme al padre, alla madre Zita e agli altri familiari dopo aver subito anche la confisca dei beni, conseguì la laurea in Scienze politiche e sociali a Lovanio, fu esemplare cittadino europeo e deputato della CDU al Parlamento di Strasburgo per un ventennio (1979-1999) non senza avere formalizzato la dichiarazione di rinuncia al trono; coerentemente, non volle mai essere definito Sovrano esule. Parlava sette lingue, ebbe un’educazione severa conforme allo stile asburgico e fu fortemente impegnato contro il nazismo, al pari di Zita, avendo modo di assicurare al Presidente Roosevelt in persona (in occasione del soggiorno a Washington durante il Secondo Conflitto Mondiale) che i sentimenti del vero popolo austriaco non erano quelli hitleriani: in effetti, fu anche grazie a lui e alla stessa Zita se all’Austria furono riconosciuti gli aiuti del Piano Marshall. Nondimeno, la legislazione anti-asburgica fu riesumata nel nuovo dopoguerra e seguita da altre espulsioni, che per Zita, paradossalmente, sarebbero rientrate solo nel 1982. Presidente dell’Unione Paneuropea fino al 2004 e propugnatore di una Federazione dei Paesi Danubiani, peraltro mai realizzata, Ottone, dopo avere finalmente rinunciato a qualsiasi pretesa sia pure formale di restaurazione monarchica (1961), fruì della revoca del bando due anni dopo, si spese attivamente per promuovere l’adesione all’Europa unita da parte di Ungheria, Slovenia e Croazia, e come Patrono del «Three Faiths Forum» per la cooperazione interreligiosa fra Cristianesimo, Giudaismo e Islamismo.

2 Per una compiuta analisi della figura di Carlo, ultimo Sovrano sul trono di Vienna, si veda la pertinente silloge di Romana de Carli Szabados, Finis Austriae: la santità dell’ultimo Imperatore, Edizioni Fede & Cultura, Verona 2011, 184 pagine. Con la scomparsa di Carlo (1877-1922), come ha commentato l’Autrice, «il freddo sole degli Asburgo si spegneva, ma era stato un sole». In effetti, la sua vita fu breve, avventurosa e tragica: diventato erede al trono per l’assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo, avvenuto nel 1914 e causa scatenante della Grande Guerra, fu destinato al fronte orientale, divenne Maggior Generale nell’anno successivo, Feldmaresciallo agli inizi del 1916, e infine Imperatore, alla scomparsa di Francesco Giuseppe nel novembre dello stesso anno, durante il quale aveva guidato la cruenta offensiva austriaca sull’Altipiano di Asiago. Salito al trono, avviò trattative segrete di pace separata, poi smentite ma confermate definitivamente nel 1918 da Georges Clemenceau. In ottobre, con la sconfitta ormai nell’aria, fu firmatario del proclama che avrebbe dovuto cambiare la struttura imperiale concedendo l’indipendenza alla Polonia e promuovendo una soluzione federale per gli altri gruppi nazionali, oltre allo statuto speciale per Trieste, con successiva concessione dell’indipendenza agli Slavi del Sud (29 ottobre). Tutto inutile: dopo la resa, il 12 novembre fu costituita la Repubblica Austriaca, mentre Carlo rinunziava al potere ma non al trono perché «assegnato da Dio». La condizione politica degli Asburgo divenne sempre più insostenibile, dando luogo alla fuga in Svizzera sotto protezione inglese (marzo 1919) e alla legge austriaca del 3 aprile che condannava tutta la famiglia imperiale all’esilio perpetuo: Carlo fece un estremo tentativo per salvare almeno il trono ungherese, non andato a buon fine, cui fece seguito la deportazione a Madera dove sarebbe giunto con la famiglia il 19 novembre, e dove scomparve dopo poco più di due anni a seguito di polmonite e complicazioni respiratorie (1° aprile 1922). Nel 1954 ebbe inizio il processo di beatificazione, completato il 3 ottobre 2004 durante il Pontificato di Papa Giovanni Paolo II, in ossequio alle doti di uomo di pace e di forti aperture sociali che erano state proprie dell’ultimo Imperatore.

3 Benedetto Croce, Storia d’Europa nel secolo decimo nono, Giuseppe Laterza & Figli, Bari 1953, 364 pagine (per la teoria della libertà intesa come religione e per le cosiddette «fedi religiose opposte» tra cui cattolicesimo e democrazia, confronta soprattutto i primi due capitoli, pagine 3-42).

4 La tesi del «Risorgimento lungo» iniziato sin dal Settecento, come traspare da alcuni pensieri di Gian Rinaldo Carli, e concluso soltanto con la Grande Guerra, ha trovato crescenti consensi nella storiografia contemporanea: in tal senso, un contributo prioritario deve essere considerato quello di Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la nascita dell’Italia contemporanea (1770-1922), Bruno Mondadori, Milano 1999, 464 pagine. In un’ottica divulgativa ma sulla stessa lunghezza d’onda, è di utile consultazione: Riccardo Basile, Cronologia essenziale della storia d’Italia e delle terre giulie al confine orientale, Edizioni Italo Svevo, Trieste 2010, 128 pagine.

5 La «discesa in campo» dell’Italia, avvenuta a 10 mesi dalla dichiarazione di guerra alla Serbia da parte austriaca, firmata da Francesco Giuseppe nella residenza estiva di Bad Ischl nel luglio 2014, fu assunta dal Governo di Antonio Salandra d’intesa con Vittorio Emanuele III di Savoia e gli ambienti di Corte, dopo il Patto di Londra del 26 aprile con cui l’Italia si era legata definitivamente all’Intesa. Il Parlamento non fu coinvolto ma circa 300 deputati espressero un chiaro dubbio sul fatto ormai compiuto, lasciando all’abitazione di Giovanni Giolitti, uomo di spicco dell’opposizione, il proprio biglietto da visita in segno di solidarietà e di muto dissenso dalla decisione di vertice poi rientrato, in buona parte, alla vigilia della dichiarazione di guerra. Per le complesse vicende del «maggio radioso» e per il ruolo delle «pressioni di popolo sopra il Paese legale» (fatte proprie anche da Gabriele d’Annunzio nei celebri discorsi di Quarto dei Mille e di Roma) è di fondamentale importanza l’apporto storiografico di Ivanoe Bonomi, La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto (1870-1918), Einaudi, Torino 1966, 350 pagine (con particolare riferimento al Capitolo XXVII: Il Patto di Londra e le giornate di maggio).

6 Sull’argomento, confronta Carlo Cesare Montani, Nel centenario della scomparsa: Francesco Giuseppe, in «Nuova Antologia», anno CLI, fascicolo 2.280, Fondazione Spadolini, Casa Editrice Felice Le Monnier, Firenze 2016, pagine 299-305.

(ottobre 2021)

Tag: Carlo Cesare Montani, Otto d’Asburgo, Carlo I d’Asburgo, Josef Radetzky, Massimiliano d’Asburgo, Benedetto Croce, Francesco Crispi, Luigi Pelloux, Francesco Giuseppe, Franz Conrad von Hoetzendorff, Katharina Schratt, Zita d’Asburgo, Franklin Delano Roosevelt, Romana de Carli Szabados, Francesco Ferdinando, Georges Clemenceau, Giovanni Paolo II, Gian Rinaldo Carli, Gilles Pécout, Riccardo Basile, Antonio Salandra, Vittorio Emanuele III di Savoia, Giovanni Giolitti, Gabriele d’Annunzio, Ivanoe Bonomi, Lombardia, Veneto, Europa, Madera, Zara, Italia, Austria, Ungheria, Firenze, Messina, Reggio Calabria, Lovanio, Strasburgo, Washington, Slovenia, Croazia, Vienna, Sarajevo, Asiago, Polonia, Trieste, Svizzera, Serbia, Bad Ischl, Quarto dei Mille, Roma, Sacro Romano Impero, Grande Guerra, Terza Guerra d’Indipendenza, Quarta Guerra d’Indipendenza, Triplice Alleanza, Piano Marshall, Unione Paneuropea, Three Faiths Forum, Patto di Londra, Nuova Antologia.