Il sindacalismo rivoluzionario
Un movimento estremista decisamente anomalo che contribuì alla nascita del fascismo

La storiografia italiana ha spesso trascurato il sindacalismo rivoluzionario e i gruppi sindacali dei primi del Novecento diversi dalla CGdL (oggi CGIL), sebbene abbiano avuto una consistenza rilevante e siano stati al centro di eventi importanti. L’Usi e in parte la UIdL (oggi Uil) condivisero le idee del sindacalismo rivoluzionario, lotte aspre con scarso ricorso alla trattativa, progetto di un cambiamento radicale del mondo politico, scarsa collaborazione col partito socialista ritenuto un organismo burocratico e invadente e infine ampia autonomia delle singole sezioni. Il sindacalismo rivoluzionario fu un movimento decisamente atipico, vicino alle posizioni anarchiche, ma a un certo punto ebbe importanti punti di contatto con il nazionalismo, il futurismo, il dannunzianesimo e il fascismo. Il fatto è meno incredibile di quello che si potrebbe ritenere, dobbiamo infatti considerare due elementi, il sindacalismo fu un movimento spinto più da questioni emotive che razionali, in secondo luogo il collegamento fra nazionalismo e socialismo è meno singolare di quello che in apparenza si può ritenere. Possiamo ricordare il nazionalsocialismo tedesco, i movimenti socialisti che si ispiravano al fascismo in America Latina, i numerosi movimenti socialisti nazionalisti dei paesi afroasiatici del periodo successivo alla decolonizzazione. Uno stato forte e un’economia accentrata diretta dall’alto sono concetti che presentano caratteri comuni, Giovanni Gentile, Sergio Pannunzio e diversi altri intellettuali condividevano pienamente tali ideali. I sindacalisti rivoluzionari presi dai loro miti, ebbero posizioni politiche ondivaghe e contrastanti al loro interno, il loro contributo alla nascita del fascismo fu essenziale e molti di loro arrivarono ad alti livelli dirigenziali del nuovo movimento.

Il fondatore almeno sul piano teorico del sindacalismo rivoluzionario (o anarco-sindacalismo) fu il francese George Sorel, lui stesso un personaggio passionale che assunse nel corso degli anni posizioni antitetiche. Fu sempre contrario alla democrazia, al progressismo e a quello che considerava il mediocre mondo borghese, come anche all’idea marxista leninista di una classe operaia diretta da un partito che gestisse il movimento in maniera verticistica. Fu invece sostenitore oltre che dell’anarchismo, del nazionalismo di stampo popolare, del leninismo e del fascismo. Uno di quei pensatori che anteponeva i miti alle costruzioni intellettuali. Il personaggio fu tipico dell’epoca, tramontava la fiducia nel progresso, nella razionalità e si affermava l’ideale di una vita spregiudicata ed eroica. Le sue teorie ebbero vasta influenza in Francia, ma soprattutto in Italia e Spagna.

I sindacalisti rivoluzionari furono gli artefici del primo sciopero generale del 1904, atto che portò tre anni dopo all’uscita degli stessi dal partito socialista e alla fondazione nel 1912 dell’Unione Sindacale Italiana (Usi), sindacato che ebbe un certo successo (mezzo milione di aderenti contro i due milioni della CGdL) nelle campagne e nelle zone industriali del Nord. Alternarono agitazioni che portarono a risultati economici ad altre prive di utilità o degenerate nella violenza come la Settimana Rossa del 1914. Per avere un quadro della situazione dobbiamo ricordare che nel periodo giolittiano gli operai del Nord ottennero generalmente molti riconoscimenti, ma alcune categorie particolarmente del Sud vennero invece trascurate.

Ben presto si ebbe una profonda spaccatura all’interno dell’estrema sinistra e del sindacalismo rivoluzionario, sulla questione coloniale, considerata da alcuni una politica positiva, data la sovrabbondanza di lavoratori agricoli rispetto alle terre coltivabili, da altri un’impresa militarista da respingere. Arturo Labriola e Angelo Olivetti fecero parte dei primi e ciò portò alla singolare collaborazione coi nazionalisti di Enrico Corradini. Alceste De Ambris e Filippo Corridoni, come anche il futuro quadrumviro Michele Bianchi furono contrari anche se nel 1914 divennero interventisti. Mussolini non aderì al sindacalismo rivoluzionario in quanto riteneva che il partito dovesse avere un ruolo superiore, tuttavia ebbe contatti intensi con loro e si schierò in maniera molto accesa contro l’impresa libica. Anche sulla questione della gestione del sistema produttivo i sindacalisti rivoluzionari si trovarono divisi, alcuni statalisti, altri (Olivetti, De Ambris) temevano una gestione dell’economia da parte dello stato allora saldamente in mano della borghesia. Anche il grande numero di sigle adoperate dai sindacalisti rivoluzionari confermava l’eterogeneità delle loro posizioni. Comitato Nazionale dell’Azione Diretta, Comitato della Resistenza, Unione Sindacale Italiana, Unione Italiana del Lavoro.

Nel congresso di fondazione dell’Usi del 1912 venne affermata la forte avversione al riformismo: «Noi non avremo quella società di liberi ed eguali ch’è il nostro sogno radioso; ma una società ancor composta da servi. Con la sola differenza che in luogo degli attuali padroni, il proletariato avrebbe sul collo una oligarchia di funzionari sindacali e di politicanti con l’etichetta sindacalista… lo sciopero generale è uno dei mezzi più efficaci di difesa e di conquista per i lavoratori, miranti alla vittoria definitiva della classe lavoratrice con l’espropriazione della classe capitalistica… le organizzazioni aderenti sono permeate di un rigido spirito antimilitarista ed antipatriottico e che anche in questo campo è necessario esercitare energicamente la missione antistatale del proletariato… Il sindacalismo rivoluzionario antipoliticante, decentratore, autonomista, libertario, non burocratico, combattivo, non idolatra dei mezzi finanziari, forma nel presente un’organizzazione ricca di iniziativa, vigile, audace, con un forte sentimento di classe, fiduciosa delle proprie forze, senza illusioni parlamentaristiche; e pel futuro prepara l’avvento di una società in cui non vi siano nuovi padroni in sostituzione degli attuali; ma una uguaglianza, una libertà che non siano soltanto parole vuote di significato; ma realtà concrete».

Alceste De Ambris che pure aveva in precedenza bollato la guerra di Libia come «brigantaggio coloniale» si espresse nel 1914 a favore di un intervento in guerra e con Filippo Corridoni, nonché gli esponenti che successivamente ebbero un ruolo di primo piano nel fascismo, Cesare Rossi e Michele Bianchi, fondò nell’ottobre di quell’anno il Fascio d’Azione Internazionalista. Il manifesto di fondazione esprimeva un apprezzamento nei confronti dei futuristi che per un certo periodo si erano interessati alla politica e riportava: «Così la guerra è oggi una tragica realtà della quale non possiamo essere spettatori indifferenti senza tradire la causa stessa della rivoluzione, senza rinnegare i nostri principî socialisti che parlano ai popoli in nome della civiltà e della libertà. E allora giova domandarsi se gli interessi più vitali della classe lavoratrice dei diversi paesi, se la causa della rivoluzione sociale, siano meglio tutelati dall’atteggiamento di rigorosa neutralità voluto per l’Italia dal Partito socialista ufficiale, in pieno accordo cogli elementi clericali, e a tutto vantaggio delle armi tedesche, o non piuttosto dall’intervento a favore degli Stati che rappresentano in Europa la causa della libertà e della pace… I neutralisti ad oltranza appaiono oggi i veri amici della guerra. Noi, combattendo a lato dei rivoluzionari di Francia, di Russia, del Belgio e dell’Inghilterra per la causa della libertà e della civiltà contro quella dell’autoritarismo e del militarismo teutonico, per la ragione contro la forza». Un paio di mesi dopo gli stessi insieme a Mussolini diedero origine al Fascio d’Azione Rivoluzionaria con caratteristiche sostanzialmente simile al precedente, gruppo che diede successivamente vita alla Uidl nel 1918 e ai Fasci di Combattimento nel 1919.

Il fallimento e la degenerazione della Settimana Rossa spinsero Alceste De Ambris, uno dei maggiori esponenti dell’Usi, su posizioni relativamente più moderate, ma tale comportamento non fu seguito da molti, l’Unione Sindacale (almeno la parte maggioritaria) si fece sostenitrice della Rivoluzione d’Ottobre e la protagonista dell’agitazione insurrezionale passata alla storia come Occupazione delle fabbriche dell’estate 1920. Tali posizioni estremiste non impedirono che una parte dell’Usi e della Uidl si avvicinasse ai Fasci di Combattimento e vari esponenti aderissero in tempi successivi al regime fascista. Dopo il sostanziale fallimento della Occupazione delle fabbriche tutte le organizzazioni sindacali entrarono in una profonda crisi confermata anche dai risultati dei partiti di sinistra nel periodo immediatamente successivo.

Generalmente quando si parla di fascismo si pensa a un movimento molto vicino al mondo degli industriali, ma vi furono sindacati fascisti che ebbero un discreto consenso fra quei lavoratori che avevano visto le agitazioni del Biennio Rosso (1919-1920) come un’imposizione finalizzata non al beneficio dei lavoratori ma alla realizzazione di uno stato sul modello sovietico. Nacque così nel novembre 1920 la Confederazione Italiana Sindacati Economici e due anni dopo la Confederazione Nazionale delle Corporazioni Sindacali.

Un breve sguardo ai protagonisti del movimento aiuta a comprendere il fenomeno. Alceste De Ambris, socialista e fondatore dell’Usi, aderì per un breve periodo al fascismo, partecipò molto attivamente all’impresa di Fiume e costituì nel 1921 la Federazione dei Legionari Fiumani, ma progressivamente si allontanò dal nuovo regime. Filippo Corridoni partecipò a manifestazioni operaie interventiste insieme a Mussolini ed ebbe il sostegno del futuro leader comunista Giuseppe Di Vittorio. Fu volontario come molti del suo gruppo e morì in guerra. Dopo la sua morte venne considerato precursore del fascismo da alcuni e potenziale antifascista da altri. Cesare Rossi divenne il braccio destro di Mussolini anche se in seguito all’omicidio di Matteotti lanciò accuse contro il capo. Arturo Labriola, professore di economia, fu forse l’esponente che fece maggiori cambiamenti di collocazione politica di tutti. Fu leninista ma fra il 1920 e il 1921 fu ministro del lavoro nell’ultimo gabinetto Giolitti. Scrisse negli anni fra le due guerre libri in cui l’idea di popolo e di comunità coesa intendeva superare lo schema marxiano delle classi sociali e dell’antagonismo. Nel 1935 entusiasmato dall’impresa abissina sostenne il regime fascista, nel dopoguerra aderì ai demolaburisti e successivamente al Pci. Enrico Leone, professore di economia, fu liberista in economia, antinterventista e per un breve periodo leninista. Paolo Orano insieme ad altri del Partito Sardo d’Azione aderì al fascismo e nel 1937 si impegnò nell’antiebraismo.

Due personaggi andrebbero considerati a parte perché dal sindacalismo rivoluzionario passarono gradualmente su posizioni opposte, il produttivismo e il corporativismo, che prevedeva la conciliazione di opposti interessi di classe in nome dello stato e della nazione. Edmondo Rossoni, già fondatore ed esponente di rilievo della Uidl fu leader dei sindacati fascisti contrari alla lotta di classe e con il sostegno di Roberto Farinacci arrivò a minacciare direttamente Confindustria e Confagricoltura se non avessero accettato di integrarsi nelle nuove istituzioni statali. L’altro esponente fu Angelo Oliviero Olivetti, tra i fondatori del Partito Socialista Italiano nel 1892 e condannato più volte dai tribunali italiani per attività sovversiva. Fu il fondatore de «La Patria del popolo», settimanale che aveva come sottotitolo «settimanale sindacalista-dannunziano». Nei primi anni del governo Mussolini sostenne: «Il sindacalismo riconosce il fatto e l’esistenza della nazione come realtà storica immanente che non intende negare, ma integrare. La nazione stessa anzi è concepita come il più grande sindacato». Fu sostenitore del «sindacato integrale» così definito: «Moto stesso della trasformazione sociale, una specie di nuova cristallizzazione dei gruppi sociali in formazione segnanti il trapasso dalla società individualistica dominata intieramente dal principio della concorrenza borghese, alla società dei produttori di domani dominata soprattutto da due principî etici superiori: quello della solidarietà dei produttori e quello della Nazione concepita come il sindacato dei sindacati».

Il sindacalismo rivoluzionario anche a causa dei suoi contrasti interni si disperse in un periodo tempo relativamente breve, ma indubbiamente segnò un’epoca e con i suoi proclami (almeno in parte astratti) confermò le teorie sui miti come elementi trascinatori della società e sul ruolo di rilievo dei personaggi in grado di suggestionare le masse, teorie condivise da illustri studiosi come Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto.

(dicembre 2020)

Tag: Luciano Atticciati, sindacalismo rivoluzionario, anarco-sindacalismo, George Sorel, Arturo Labriola, Alceste De Ambris, Filippo Corridoni, Michele Bianchi, Cesare Rossi, Edmondo Rossoni, Angelo Olivetti, Benito Mussolini, Gabriele d’Annunzio, fascismo, dannunzianesimo, interventismo, futurismo, Fascio d’Azione Rivoluzionaria, Fascio d’Azione Interventista, Comitato Nazionale dell’Azione Diretta, Comitato della Resistenza, Unione Sindacale Italiana, Unione Italiana del Lavoro, Usi, Unione Sindacale Italiana, Uil, Uidl Unione Italiana del Lavoro, Enrico Leone, Paolo Orano, Giuseppe Di Vittorio.