Il salvataggio dell’Esercito Serbo (1915-1916) ad opera dell’Italia
Cooperazione umanitaria e militare

Gli esempi di cooperazione internazionale in campo umanitario, spesso con adeguati supporti militari, si sono rapidamente moltiplicati, in specie negli ultimi decenni; ma non mancano quelli d’epoca, tra cui spicca il salvataggio dell’Esercito Serbo, compiuto fra il 1915 ed il 1916, grazie all’Italia e soprattutto alla sua Marina da guerra. È una storia gloriosa che a suo tempo fece il giro del mondo, e che oggi è stata troppo spesso dimenticata.

Nell’estate del 1914, lo scoppio del grande conflitto che avrebbe coinvolto tutta l’Europa, e più tardi anche gli Stati Uniti, venne innescato dagli spari di Sarajevo con cui il cittadino bosniaco Gavrilo Prinzip uccise l’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, assieme alla moglie Sofia; e dalla conseguente dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria alla Serbia.

Sulla carta, avrebbe potuto essere un conflitto militarmente impari, ma la resistenza serba fu assai valorosa, tanto da cedere dopo oltre un anno, quando la discesa in campo della Bulgaria fece la differenza decisiva.

L’Esercito Serbo, lungi dall’essere travolto in una possibile rotta rovinosa, iniziò una lunga e sofferta anabasi, con perdite naturalmente elevate, verso il Montenegro e l’Albania, dove l’Intesa ne organizzò il salvataggio, affidato in larga misura alla Marina Militare Italiana. L’operazione ebbe luogo tra la fine del 1915 e la primavera del 1916, permettendo di trasferire attraverso l’Adriatico circa 150.000 superstiti, con l’aggiunta di 23.000 prigionieri austriaci (destinati all’Asinara) e di un numero straordinario di profughi. Furono imbarcati sulle navi italiane persino diecimila cavalli, e parecchi armamenti importanti, fra cui cinquanta pezzi di artiglieria: cosa che avrebbe permesso la ricostituzione dei reparti, e la loro significativa partecipazione alla Vittoria del 1918.

Non si trattò di un semplice salvataggio, ma di una programmazione efficace anche sul piano strettamente organizzativo e militare, che consentì di circoscrivere al massimo gli effetti dell’offensiva austriaca, nonostante il vantaggio offerto al nemico dalla disponibilità di una rada inespugnabile come quella di Cattaro, e di una forza aerea apprezzabile. Ciò, con particolare riguardo allo sganciamento degli ultimi trasporti in partenza dall’Albania, grazie all’eroico impegno della retroguardia, cui le forze italiane diedero un contributo essenziale, contrassegnato dal sacrificio di alcune centinaia di caduti.

L’epopea di quella stagione plumbea ma gloriosa ebbe un rilievo importante anche dal punto di vista ingegneristico, perché la costa albanese, dove ebbero luogo gli imbarchi, non aveva approdi significativi, in grado di accogliere le navi di grosso tonnellaggio. Quindi, fu indispensabile costruire le opere necessarie, in specie a Durazzo ed a Valona, non senza organizzare un numero rilevante di trasbordi intermedi.

Nel 1917, ad operazione conclusa, la Marina Italiana diede alle stampe un suggestivo volume commemorativo a firma di Paolo Giordani, corredato da una ricchissima e commovente documentazione iconografica, e subito diffuso anche all’estero, che oggi è stato oggetto di ristampa a cura di Mila Mihajlovic, per iniziativa del Ministero della Difesa, e sotto l’Alto Patronato di Alessandro II Karageorgevich (Stato Maggiore della Difesa, Per l’Esercito Serbo: una storia dimenticata, Roma 2014, pagine 128). Nell’ampia introduzione, dovuta al Capo di Stato Maggiore Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, si mette giustamente in luce il costante contributo alla cooperazione dato dal Governo di Roma; e nella presentazione è stato sottolineato come l’Italia sia troppo propensa a ricordare i disastri militari, a cominciare da Caporetto, mentre le pagine positive e spesso gloriose della sua storia sono quasi sempre dimenticate, come quella del salvataggio serbo (per non dire di Gorizia, del Grappa, del Piave, di Vittorio Veneto, o delle imprese eroiche dei nostri incursori di Marina).

L’impresa italiana del 1915-1916 è stata paragonata a quella di Dunkerque, che nel 1940 permise di condurre a salvamento un numero ancora più alto di soldati inglesi e francesi accerchiati dalle forze tedesche nell’omonima sacca. Tuttavia, numeri a parte, bisogna ricordare che ciò fu reso possibile dall’opzione del Quartier Generale Germanico, favorevole alla «guerra-lampo» ed a puntare immediatamente sul cuore della Francia, mentre l’Esercito Serbo e quello Italiano dovettero difendersi sino all’ultimo dalla martellante offensiva austriaca. Va aggiunto che il salvataggio di Dunkerque venne organizzato «in proprio» da Inglesi e Francesi; che il braccio di mare da percorrere nella Manica era assai più stretto del Canale d’Otranto; e che le infrastrutture ed i mezzi disponibili erano certamente superiori.

Nondimeno, si deve porre nella massima evidenza un risultato straordinario: nelle operazioni di carico e di trasbordo, che permisero di trasferire in Italia un numero eccezionale di persone, dal Sovrano agli ultimi dei soldati e dei profughi, non si ebbe a registrare alcuna vittima serba, mentre non fu trascurabile, come si è detto, la cifra dei caduti italiani, non solo nelle battaglie di sganciamento, ma anche in alcuni affondamenti, tra cui quello del dragamine Marechiaro che valse la Medaglia d’Argento al Valore per il capitano medico Samuele Gnasso (nell’ambito di un’antica tradizione risorgimentale che si sarebbe protratta nel tempo – una squadra della Sanità Militare Italiana intervenne persino nella guerra di Corea – fino ai giorni nostri).

Il rapporto di amicizia fra l’Italia e la Serbia sorto un secolo fa è rimasto nelle relazioni diplomatiche ed in rapporti di buon vicinato che permisero di risolvere in un clima di cooperazione la lunga e complessa vicenda di Fiume, e diedero vita nel 1937 al patto di amicizia con la nuova Jugoslavia, i cui effetti sarebbero stati travolti quattro anni dopo dal colpo di Stato di Belgrado e dalla conseguente discesa in campo dell’Asse. Tuttavia, quel rapporto è sopravvissuto nel tempo, come un fiume carsico, fino a riemergere prepotentemente all’inizio degli anni Novanta, quando, disfatta la ex Repubblica Federativa, il Governo Serbo fece intendere all’Italia che non avrebbe avuto eccezioni da sollevare, a fronte di un possibile recupero dell’Istria, o quanto meno, della sua costa occidentale. È una pagina che meriterebbe di essere approfondita, anche nelle motivazioni – non escluse quelle di natura economica – per cui da parte italiana quella disponibilità venne lasciata cadere; ma nello stesso tempo, è una pagina che la dice lunga sul rapporto preferenziale italo-serbo iniziato nella Prima Guerra Mondiale.

La cooperazione è un valore che coinvolge tutti gli aspetti della vita associata e si estende persino a quelli militari, nel quadro di una doverosa tutela da ogni prevaricazione, e quindi, da ogni negazione dei diritti. Proprio per questo, ricordare l’episodio più significativo della Prima Guerra Mondiale, in questa specifica ottica, non costituisce soltanto una pur commendevole opera storica, tanto più doverosa nell’approssimarsi del Centenario, ma s’inquadra in un’azione etico-politica rivolta al perseguimento della giustizia e della civiltà.

(luglio 2014)

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