Il massacro che pose fine all’Ottocento
Il tragico evento che divise il periodo della Belle Epoque dalla nostra società di massa

Fu la Prima Guerra Mondiale a far finire l’Ottocento, nell’orrore di eventi bellici distruttivi crollò tutto l’edificio del vecchio secolo. Fu come se si fosse spalancato un immenso cratere in cui scomparvero Imperi plurisecolari: la Russia zarista, l’Impero Ottomano, la Cina, l’Austria-Ungheria, forme di organizzazione politica e statale, modi di vivere.

Ma da quelle rovine affiorò anche una nuova realtà totalmente novecentesca, destinata a durare fino ai nostri giorni. Il mondo della produzione di massa, dell’automobile, del petrolio, dell’elettricità e il mondo del cinema e della radio.

La dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia (28 luglio 1914) innescò un dramma di proporzioni colossali. Fu nella Prima Guerra Mondiale, infatti, che le operazioni belliche si estesero a tutti i continenti della Terra. Il cuore degli eventi militari, come di quelli politici, restò comunque, ancora, la vecchia Europa. Gli Imperi Centrali, Germania e Austria-Ungheria erano impegnati ad Est contro la Russia zarista, ad Ovest contro Francia e Inghilterra, a Sud, nei Balcani, contro la Serbia e in seguito anche contro l’Italia.

Fronti della Prima Guerra Mondiale

L’Europa nel 1914 e i fronti della guerra

Le ostilità cominciarono sul fronte occidentale con una travolgente offensiva tedesca che, violando la neutralità del Belgio, si arrestò soltanto sul fiume Marna, in una grande battaglia (6-15 settembre 1914) trasformatasi in una orrenda carneficina. Dopo la battaglia delle Fiandre, 15 ottobre-15 novembre, il fronte si stabilizzò in una guerra di logoramento: 800 chilometri di trincee e di filo spinato, dal canale della Manica alla Svizzera, segnavano la linea su cui i due eserciti si sarebbero confrontati negli anni successivi.

Anche sul fronte orientale l’iniziativa dell’attacco fu presa dai Tedeschi, che nei primi giorni di guerra fecero registrare due importanti vittorie contro l’esercito russo nelle battaglie di Tannenberg (27-30 agosto) e dei Laghi Masuri (8-10 settembre); i Russi invece ebbero la meglio sugli Austriaci in Galizia. Nella primavera del 1915 proprio dalla Galizia partì una poderosa offensiva degli Imperi Centrali che costrinse l’esercito zarista ad arretrare fino alla Beresina, con immense perdite di uomini e materiali. Il cedimento, tuttavia, non si trasformò in crollo e anche questo fronte si stabilizzò.

Le truppe italiane iniziarono le ostilità contro l’esercito austro-ungarico il 24 maggio 1915, attaccando sul fiume Isonzo e sull’altipiano del Carso. Costrette ad avanzare dalla pianura verso la montagna si logorarono in una serie di assalti che ottennero, per tutto il 1915, scarsissimi risultati.

Il 15 marzo 1916 un’offensiva austriaca (la Strafexpedition) condotta verso la strettoia fra il lago di Garda e il fiume Brenta, dopo la conquista di Asiago esaurì ben presto il suo slancio iniziale, ripristinando un sostanziale immobilismo rotto, sull’Isonzo, soltanto da alcuni parziali successi italiani che portarono all’occupazione del monte Michele, del monte Sabotino e, in agosto, di Gorizia.

Il 1917 fu l’anno decisivo. L’evento più tragico fu il tracollo russo a cui seguì la «Rivoluzione di Ottobre». A controbilanciare la defezione russa ci fu l’intervento degli USA a fianco dell’Intesa (il 1° aprile 1917). Già allora gli Stati Uniti avevano un potenziale di dimensioni impressionanti: producevano il 38,6% del carbone estratto in tutto il mondo, con spettacolari margini di incremento (nel 1914 varavano appena l’8% mondiale delle nuove navi, nel 1918 il 55,6%).

In Italia, il 1917 fu segnato dalla gravissima sconfitta militare di Caporetto. Il 24 ottobre 1917, le truppe austriache dilagarono in profondità per centocinquanta chilometri verso la Pianura Padana, in una travolgente offensiva che si arrestò soltanto sulla linea del fiume Piave. In un sol colpo si persero tutti i vantaggi territoriali faticosamente strappati in due anni di guerra. Per organizzare la resistenza il nuovo governo di Vittorio Emanuele Orlando fece grandi promesse ai contadini in armi (assegnazioni di terre, assistenza alle famiglie, facilitazioni su licenze), aumentò il vitto, rinnovò l’equipaggiamento. L’industria lavorò a ritmo serrato per colmare i vuoti delle perdite subite. E gli Austriaci furono fermati. Piano piano le truppe italiane diedero segni di ripresa. Questi divennero evidenti tra la primavera e l’autunno del 1918, con la battaglia del Piave (giugno) e l’offensiva finale scatenata il 24 ottobre, proprio in occasione dell’anniversario di Caporetto e conclusasi vittoriosamente con la rotta generale delle truppe austriache a Vittorio Veneto e su tutto il fronte. Il 4 novembre fu firmato l’armistizio che pose fine alla guerra.

Fronte italiano

La Prima Guerra Mondiale sul fronte italiano

Aviazione italiana contro gli Austriaci

L’aviazione italiana mitraglia gli Austriaci in ritirata sul Piave

Lo stesso andamento si registrò sul fronte occidentale. Qui, dopo la battaglia di Amiens (8-11 agosto) le speranze tedesche di vittoria si dileguarono definitivamente. Sotto l’urto delle sconfitte militari il primo a disgregarsi fu l’Impero Ottomano; poi fu la volta dell’Impero Asburgico. Solo la Germania, il cui territorio non era stato ancora invaso e il cui esercito era sostanzialmente intatto, restava ancora in piedi. Furono i rivolgimenti interni a sancirne il crollo definitivo. Il Kaiser fuggì in Olanda e, il 9 novembre, a Berlino fu proclamata la repubblica. Il nuovo governo, guidato dal partito socialdemocratico, firmò l’armistizio l’11 novembre 1918.

La guerra era finita: erano morti quasi 9 milioni di soldati, con più di 21 milioni di feriti e di mutilati, mentre il totale delle spese belliche ammontò a 600 miliardi di dollari (dodici volte il reddito annuo degli Stati Uniti nel 1916).

Merita ricordare la vita di trincea. Scavate nella roccia, nel fango, nella sabbia, protette da pochi metri di filo spinato o da imponenti fortificazioni in cemento armato, le trincee furono il simbolo della Prima Guerra Mondiale. Nelle altre guerre non c’era mai stato niente di simile: chilometri di buche e fossati in cui centinaia di migliaia di uomini si ammassavano, vivevano e soprattutto morivano. Sulla testa dei soldati si schiantavano granate, obici, proiettili di cannoni di grosso calibro che portavano ad una «tormenta allucinatoria» provocata da stimoli sensoriali potenti, violenti, incessanti; si abbatteva sui fanti-contadini abbarbicati sulle pietraie e nel fango delle trincee, determinando in chi sopravviveva annichilimento totale, sordità, mutismo, perdita di coscienza per periodi più o meno lunghi.

In tre anni di guerra caddero 16.800 ufficiali e 571.000 soldati italiani (saliranno a 652.000 nel 1925 contando quelli morti successivamente in seguito alle ferite riportate). Era morto un ufficiale ogni trentaquattro soldati, mentre in linea era stato schierato un ufficiale ogni ventisei soldati e nelle retrovie questo rapporto saliva fino a uno a sette.

Tra il 1915 e il 1918 i processi per renitenza alla leva furono 470.000; 340.000 furono i procedimenti promossi contro i militari per reati commessi sotto le armi e i due terzi si conclusero con condanne, solo un migliaio quelli contro gli ufficiali (con due terzi di assoluzioni finali); si tennero inoltre 60.000 processi contro civili per reati militari. In compenso l’Italia aveva ampliato il suo territorio (passando da 286.000 a 310.000 chilometri quadrati), aumentando così anche la sua popolazione da 36,1 a 38,8 milioni di abitanti.

Europa dopo la Prima Guerra Mondiale


Italia, nuovo confine orientale

Il confine orientale italiano dopo la Prima Guerra Mondiale
(anno 2005)

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