Memorie dell’Italia Irredenta
Le Medaglie d’Oro della Grande Guerra per i Volontari di Venezia Giulia e Dalmazia

Al colle di San Giusto compete la definizione di luogo più «sacro» nella città di Trieste perché ospita le memorie di tanti Caduti e in quanto tale risulta caro al cuore di tutti gli Italiani degni di questo nome. È cosa buona e giusta che dieci anni or sono (2009) vi sia stato scoperto un cippo in pietra carsica andato ad aggiungersi a tutte le altre Rimembranze diffuse in prossimità della Cattedrale per onorare le Medaglie d’Oro giuliane e dalmate della Prima Guerra Mondiale, che non esitarono ad accogliere l’invito della Patria rischiando il capestro sulle forche dell’Austria: accadde realmente ad alcuni di loro, fra cui il capitano di vascello Nazario Sauro, invitto Eroe di Capodistria impiccato a Pola il 10 agosto 1916; il sottotenente Fabio Filzi da Pisino, giustiziato a Trento come «disertore» assieme a Cesare Battisti, il 12 luglio dello stesso anno; il Dalmata Francesco Rismondo che si diede la morte in agro di Gorizia il 10 agosto 1915 per non cadere prigioniero dell’Austria ed essere vittima del suo boia. Ecco tre storie molto simili da cui emerge che nei grandi Spiriti la legge della coscienza e dell’onore trascende il diritto positivo fino al sacrificio estremo.

Quegli Eroi erano figli dell’Italia Irredenta e combattevano per un alto ideale etico ancor prima che politico: forse è proprio per questo che il cippo dedicato al loro esempio e alla loro memoria storica sia stato oggetto di sfregio nel pur breve periodo intercorso dall’installazione, conservando qualche segno di un oltraggio destinato a ritorcersi nei soli confronti del vile esecutore e dei suoi probabili mandanti.

Al giorno d’oggi ricordare l’epopea dell’irredentismo non è molto agevole, perché una parte rilevante dell’Italia ufficiale non lo ritiene politicamente «corretto» senza pensare che la costruzione della Casa Comune Europea è stata possibile anche per il contributo di coloro che si immolarono sull’Isonzo e sul Piave nella lotta della giovane e libera Italia per raggiungere i confini naturali e affrancare Venezia Giulia, Istria e Dalmazia dagli ultimi vincoli dell’autoritarismo assolutista che si richiamava ai principi della Santa Alleanza, ormai esautorati dal principio di nazionalità e dalle lotte di liberazione dei popoli oppressi.

A dieci anni da quella meritoria scopertura, ecco un buon motivo in più per porre in evidenza il valore etico e politico dell’iniziativa che venne assunta dalla Federazione Grigioverde di Trieste con il supporto plebiscitario delle sue 37 Associazioni d’Arma, quasi a sottolineare una continuità ideale espressa con nobili parole nell’allocuzione del Presidente, il compianto Generale Riccardo Basile, richiamatasi ai valori di civiltà e di solidale giustizia propri dei Volontari, quale sintesi di pensiero e di azione forgiata sull’esempio di Gabriele d’Annunzio e dell’epopea di Fiume; ma nello stesso tempo, all’assenza di qualsiasi interferenza partitica, come quella promossa con lucida consapevolezza nella nobile idea del Triestino Scipio Slataper, un altro dei dodici Irredenti decorati di Medaglia al Valor Militare, caduto sul Calvario il 3 dicembre 1915, quando affermava di essere «fedele soltanto alla Patria».

L’elenco di questi Volontari si completa coi gloriosi nomi dei Triestini Giulio Brunner (caduto sul Monte Fior – 8 giugno 1916), Guido Corsi (Monte Grappa – 13 dicembre 1917), Ugo Pizzarello (Monte Ortigara – 21 luglio 1917), Ugo Polonio (Basso Isonzo – 21 ottobre 1915), Carlo Stuparich (Monte Cengio – 30 maggio 1916), Giacomo Venezian (Castelnuovo del Carso – 20 novembre 1915) e Spiro Tipaldo Xidias (Basso Isonzo – 14 agosto 1916), cui deve aggiungersi quello di Giani Stuparich, fratello di Carlo e unico Volontario irredento insignito di Medaglia d’Oro (Basso Piave – 2 luglio 1918) sopravvissuto al conflitto.

La lista deve estendersi, per naturale analogia, ai Giuliani e Dalmati che «in tutte le guerre» fecero dono del proprio impegno, e spesso della propria vita, «per liberare il suolo patrio da ogni straniero»; e nello stesso tempo, deve coinvolgere un intero popolo che seppe dare testimonianze incancellabili del suo amore patrio e della sua capacità di sacrificio, suffragata dalle Foibe, dal grande Esodo plebiscitario dei 350.000 e da una diaspora senza ritorno.

Desumerne l’invito a non dimenticare e a onorare tutti coloro che furono puniti senza colpe non è una conclusione di circostanza ma un imperativo categorico sulle orme della legge morale, volto – secondo le parole di Basile – a tramandare la memoria di un «agognato compimento del disegno risorgimentale» come quello conseguito nel 1918; e conseguentemente, a perpetuare il ricordo ancora più struggente delle «ingiuste mutilazioni territoriali» subite nel 1947 a Parigi e nel 1975 a Osimo. Il tutto, nel riferimento esplicito a una fede che trascende le apparenze e sa guardare all’avvenire con la certezza, suffragata dalla fede e lungi da ogni retorica, di avere dalla propria parte il conforto del buono e del giusto.

Nel nuovo millennio governato dal relativismo e dal politicamente corretto questi valori non risultano condivisi da tutti ma il cippo di San Giusto, monito per gli immemori e nello stesso tempo anche per coloro che sanno ma non sono alieni dall’affievolire il ricordo, è motivo di speranza, tanto più che la Federazione Grigioverde, diversamente dall’uomo della strada e dagli stessi Soggetti istituzionali, con quella nobile iniziativa diede prova di agire all’insegna dell’unità in modo convinto, analogamente a quanto avrebbe fatto a distanza di breve tempo con la stele in memoria della strage di Vergarolla del 18 agosto 1946 in cui caddero oltre cento Vittime dell’OZNA, la polizia politica di Tito. Non a caso, questo monumento è contiguo al cippo per gli Irredenti, quasi a sottolineare una continuità ideale di sacrifici all’insegna della fede che hanno insanguinato per troppo tempo le zone del confine orientale.

Nonostante le apparenze e i giudizi antistorici formulati in chiave negazionista, il valore dei Volontari irredenti non è stato affatto vano, al pari dell’olocausto di Vergarolla, dove a cadere in significativa maggioranza furono donne e minori: in entrambe le fattispecie, l’assunto deve essere condiviso in termini inequivocabili alla luce di un sistema di potere che non è azzardato definire perverso e che è stato condannato dalla storia, sia nel caso dell’assolutismo asburgico sia in quello del comunismo di marca titoista, falsamente edulcorato dall’inganno del cosiddetto «non allineamento».

Oggi ne scaturiscono riflessioni che lo scorrere del tempo ha reso più consapevoli e mature, unitamente alla speranza che da quei sacrifici possano scaturire effetti positivi. A oltre cento anni dall’epopea dei Volontari irredenti, e a tre quarti di secolo dai 20.000 Caduti infoibati o altrimenti massacrati, tante coscienze sono state illuminate dalla verità e le vie dell’Inferno non hanno prevalso.

(dicembre 2019)

Tag: Carlo Cesare Montani, memorie dell’Italia Irredenta, Nazario Sauro, Fabio Filzi, Cesare Battisti, assolutismo asburgico, comunismo, Francesco Rismondo, Riccardo Basile, Gabriele d’Annunzio, Scipio Slataper, Foibe, Giulio Brunner, Guido Corsi, Ugo Pizzarello, Ugo Polonio, Irredenti, Carlo Stuparich, Giacomo Venezian, Spiro Tipaldo Xidias, OZNA, strage di Vergarolla, Giani Stuparich, Josip Broz detto Tito.