Marostica, 1902: lei ama lei... ed uccide il marito
Un macrabo delitto, intrecciato alla vicenda d’un amore impossibile, scosse la pace di un piccolo paese vicentino

Nel gelido febbraio del 1902 un grave fatto turbò la quiete di Pianezze di Marostica, un paesino di 930 abitanti adagiato ai piedi delle colline vicentine: un contadino, mentre lavorava per drenare l’acqua piovana sulla sua proprietà, aveva notato un qualcosa di biancastro emergere e, pensando si trattasse di un gatto annegato, lo aveva raccolto con un badile.

Avvicinatosi, fece però un’orribile scoperta: si trattava di una gamba, orrendamente mutilata sopra il ginocchio.

Subito avvertì i carabinieri ed il pretore (il conte dal Bovo) i quali, sopraggiunti con una folla di curiosi, scoprirono ben presto anche l’altro arto inferiore di un uomo.

Il medico legale, dottor Gardellin, dopo un’analisi sommaria dichiarò che i lugubri resti erano in acqua da almeno due mesi ed immediatamente ci si ricordò della scomparsa presunta di un agricoltore del paese di 28 anni, Vittorio Parise.

Già dal 27 dicembre dell’anno prima la moglie, la trentenne Angela Celli, aveva denunciato la scomparsa del congiunto, e in molti avevano ipotizzato una sua improvvisa partenza per la Germania o per la Prussia, dove di tanto in tanto si recava per lavorare.

Un ex commilitone del Parise, notando una cicatrice rossastra posta sopra la caviglia di uno degli arti recisi, confermò i sospetti, ovvero che essi appartenevano al corpo dell’amico.

A questo punto Angela Celli, se non indiziata, era quanto meno sospettata di sapere qualcosa di più sulla sorte del marito; la stessa sera venne accompagnata nella caserma dei carabinieri a Bassano per fornire chiarimenti.

Si trattava di una donna abbastanza attraente, che le chiacchiere del paese volevano sposata alla vittima solo per interessi economici:

«Angela Celli è una donnetta sui 30 anni, essendo nata a Molvena il 17 luglio 1872; piccola di statura, bionda, discretamente piacente. Tempo addietro essa fu per due anni in un convento di monache a Bassano, da dove uscì chi dice per ragioni molto delicate e incompatibili con l’austerità del convento, chi per ragioni di salute, non convenendo alla Celli la vita monastica.

Un anno circa dopo l’essere uscita dal convento, la Celli si maritò, il lunedì grasso dello scorso anno – 6 febbraio – con Parise Vittorio – la vittima di oggi –, un uomo di 27 anni di Pianezze, che esercitava il mestiere di bottaio nella bottega di Lovison Pietro detto Rossetto. Si disse allora che la Celli contraesse il matrimonio per puro calcolo di interesse, avendo il Parise un piccolo gruzzolo di 2.000 lire circa.

Compiuto il matrimonio col solo rito religioso, cominciò pel Parise una vita di triboli e di litigi.

Quando ancora si trovava nella dolce luna di miele, la Celli dichiarò di non poter soffrire il marito, che diceva brutto, privo di gentilezza e grossolano. La moglie faceva frequenti scenate al pover’uomo perseguendolo persino all’osteria.

In paese si parlava da taluno di certe scappatelle poco coniugali nei riguardi della Celli; per altri invece che sul suo conto, da questo lato, nulla le si poteva censurare.

La Celli, che da ragazza esercitava il mestiere di trecciaiuola per la fabbricazione dei cappelli di paglia, durante l’anno di matrimonio rimase a casa, per disimpegnare le faccende domestiche. Pur avendo certe pretese di eleganza nel vestire, essa si mostrava in giro con aria da santerella, dedicandosi frequentemente alle pratiche religiose»[1].

Già il giorno successivo Angela Celli venne indiziata quale autrice dell’orribile delitto ma, dal momento che non avrebbe potuto agire da sola, si pensò alla complicità di un suo zio, Nicolò Celli, e dei nipoti Ludovico e Giovanni, che vennero prontamente arrestati ed interrogati.

Tutti mantenevano un atteggiamento impenetrabile e nessuno di loro sembrava avere intenzione di confessare.

Nella rete degli inquirenti cadde anche la ventiduenne Libera Battaglin, un’operaia conosciuta in paese come «Marinella», la quale, sottoposta a un duro interrogatorio, affermò di aver dormito negli ultimi due mesi presso la casa di Angela Celli.

La cosa, dopotutto, non era di certo strana, se si pensa che l’amica Angela era rimasta sola e sosteneva di non avere da tempo notizie del marito.

A suo dire la stessa Celli l’avrebbe scongiurata di non abbandonarla, perché «dopo quel fatto non avrebbe più potuto dormire sola»[2].

Aggiunse che Angela di notte si svegliava di soprassalto gridando: «Eccolo ch’el vien. Senti, senti ch’el camina!...»[3].

Gli inquirenti capirono di aver fiutato la pista giusta e spremettero in un susseguirsi di interrogatori Marinella, la quale crollò e confessò di sapere che Angela Celli aveva assassinato il marito.

Con un misto di cronaca e di giallo, il quotidiano «La Provincia di Vicenza» riassunse così la testimonianza della giovane:

«La notte del 27 dicembre – i lettori ricorderanno che da quell’epoca appunto la scomparsa del Parise – la Celli si coricò a letto insieme al marito. Ma la Celli non pensava a dormire: essa aveva già macchinato il suo orribile piano e attendeva il momento di metterlo in opera.

Spiò il momento in cui il marito era finalmente addormentato e allora improvvisamente gli balzò addosso come a una tigre; gli avvinghiò le mani potentissime dall’istinto brutale e lo strangolò dopo una disperata e inutile lotta del marito, che passò dal sonno al sonno eterno della morte [si scoprirà poi che in realtà la vittima era stata prima narcotizzata, ndr.].

Compiuto il delitto, silenziosamente e con ogni precauzione la Celli avvolse il cadavere del marito in un lenzuolo, e chiamò sommessamente colui che ella aveva destinato a complice, e che era nascosto in casa.

Era Parise Bortolo, nipote materno della Celli, un giovanetto appena diciottenne! Aiutata dal nipote, la Celli trasportò il cadavere da basso in cucina, passando per l’angusta scala di legno, e là avvenne il terribile squartamento»[4].

I resti di Vittorio Parise vennero gettati in una fossa presso la località Colombara, vicino alla chiesetta di San Nicolò ma, temendo che col tempo sarebbero riaffiorati, vennero recuperati la testa, le braccia ed il tronco, ma non le gambe, che non si riuscirono a trovare.

Toccò quindi al giovane Bartolomeo Parise essere tratto in arresto e «quando egli passò per Marostica in mezzo ai carabinieri, la popolazione raccapricciata per la giovinezza dell’assassino e terrorizzata dal fatto che un giovanetto avesse potuto prestarsi a un così orribile delitto, lo fischiò scagliandogli al suo indirizzo fischi e imprecazioni»[5].

«È un giovane alto e robusto, imberbe, biondo, con un ciuffetto di capelli capricciosamente rizzati sulla fronte. Al momento dell’arresto vestiva assai pulitamente; calzava un paio di stivaletti gialli nuovi, quelli acquistatigli a Bassano dalla zia Celli in compenso... dell’aiuto nell’orribile delitto!»[6].

Il giovane, impressionato, fornì immediatamente una dettagliata confessione; raccontò di come erano andate le cose ed ammise di aver occultato presso la cava di sassi dove lavorava i resti ripescati del cadavere.

Man mano che le indagini proseguivano, i tasselli del mosaico iniziavano a trovare la loro collocazione e a far apparire un’immagine sempre più nitida del misfatto. Vennero arrestati altri parenti di Angela Celli, accusati di partecipazione nell’occultamento del cadavere o delle prove.

Anche la posizione di «Marinella» cominciava ad essere messa in discussione: si trattava semplicemente di persona informata sui fatti o era, ipotesi che andava irrobustendosi, complice attiva nell’omicidio?

Il mormorio popolare prese presto forma sulle pagine dei quotidiani e divennero così di pubblico dominio le voci sulla strana convivenza fra le due donne, quasi a voler dar corpo al sospetto dell’esistenza di un legame più profondo tra le due, causa di un possibile movente.

Si disse che «la causa del delitto si deve ricercare in ragioni di carattere intimo.

La Celli, una pervertita sessuale, non poteva materialmente soffrire il contatto del marito e da ciò litigi aspri e terribili»[7].

Si aggiunsero sospetti e particolari:

«E si ritiene che essa [Marinella, ndr.] conosca la verità, tanto più che va formandosi il sospetto che anche essa abbia preso parte al delitto o quanto meno al nascondimento del cadavere. Si crede anzi al suo imminente arresto, gravissime accuse risultano a suo carico.

Forse la Celli ha architettato con questa sua amica e confidente il delitto. Ed il movente? Questo terribile movente che sfugge alla perspicacia d’ognuno? “Amori lesbici” fu una delle prime frasi lanciate e sembra che ciò venga provato dalle risultanze.

Il povero Parise nello scorso anno, accortosi tosto d’aver sposato una degenerata, partì in aprile disperato per la Prussia.

Le due amiche poterono quindi sfogare i loro malvagi istinti sino al settembre, fino cioè all’epoca del suo ritorno.

Le due donne furono deluse e spiacentissime quando seppero in lui fermo il proposito di non più tornare all’estero; veniva tolto loro ogni mezzo per darsi liberamente ai tristi loro amori. Da qui la truce idea di togliere di mezzo in qualsiasi modo colui che era la causa della loro separazione»[8].

Il giorno successivo intervennero ulteriori fatti, fra i quali un particolare curioso e drammatico allo stesso tempo: pochi giorni prima dell’efferato assassinio, le due si erano recate in chiesa senza troppo dare nell’occhio e, davanti all’altare, si erano giurate reciproco amore e fedeltà in eterno.

Ne parlò «La Provincia di Vicenza»:

«In questi giorni ci siamo ripetutamente occupati degli intimissimi rapporti che correvano fra la Angela Celli e la Libera Battaglin, la notissima Marinella, amica e confidente di lei. Ieri abbiamo data notizia della nefanda passione che teneva avvinte queste due donne.

Siamo oggi in grado di poter aggiungere su questo argomento particolari interessantissimi e affatto nuovi.

Da esattissime informazioni assunte ci risulta che queste due donne – le quali nell’assenza durata sei mesi del marito della Celli si erano date alle più raffinatamente perverse azioni sessuali – si amavano d’un amore così tenace e terribile da oscurare per esse qualunque altro affetto, tanto che la Marinella era giunta a dire questo: “Io voglio così bene ad Angela, che per essa rinnegherei tutti, padre, madre, sorelle... la religione stessa!”.

A proposito di questo inaudito caso di pervertimento sessuale, abbiamo precisato un particolare di un’anormalità così assoluta da far pensare che si possa trattare di un romanzo intessuto dalla più sbrigliata fantasia di uno scrittore di avventure inverosimili. E invece quello che narriamo non è altro che la pura e scrupolosa verità.

Poco tempo addietro le due donne, pazzamente innamorate l’una dell’altra, celebrarono tra esse in chiesa il loro matrimonio, giurandosi dinnanzi ad un altare fede eterna ed eterno reciproco amore! La incredibile, ma vera cerimonia ebbe il suo corollario in una specie di verbale che le due stesero tra di esse apponendovi la propria firma e nel quale si vincolarono d’essere sempre l’una per l’altra.

Ed a questa dichiarazione appose la propria firma, come testimonio, il nipote diciassettenne della Celli, Bortolo Parise che oggi è in carcere accusato di complicità nell’assassinio»[9].

Con giugno arrivò l’epoca del processo e degli incredibili colpi di scena. Tutti gli accusati vennero condotti a turno in aula per essere interrogati dal giudice.

Per «Marinella» la vita si era trasformata in un vero inferno. All’arrivo al tribunale, lei e le due sorelle che l’accompagnavano «vennero fatte segno a fischi, a insulti e a esclamazioni di scherno. Le tre ragazze furono circondate dalla folla urlante, e avvilite e confuse, riuscirono a mala pena a farsi largo per sottrarsi a quell’accerchiamento ostile»[10].

Anche la stampa descriveva il suo sentimento per Angela come una «mostruosa storia d’amore», ma ella si confortava del fatto di avere la coscienza a posto, in quanto non aveva preso parte né al delitto, né all’occultamento del cadavere di Vittorio Parise.

La stessa Angela Celli aveva cercato di attenuare la propria grave posizione scaricando responsabilità e colpe sulla giovane amante, accusandola apertamente di essere lei la mente del delitto e di averla quindi istigata a compierlo.

Da quel momento il loro amore si trasformò in un feroce odio reciproco, tanto che «Marinella», soffermatasi nell’anticamera dell’aula del tribunale, rispose alle pressanti domande della stampa gridando: «Se io le voglio ancora bene? Ma che! Se potessi le sputerei in faccia!»[11].

L’avvocato Girotto, difensore della Celli, parlò al giovane Bartolomeo Parise per convincerlo a sostenere l’accusa contro «Marinella», ma lui, su consiglio del suo difensore, non si prestò al diabolico piano e, scegliendo di raccontare la verità, dichiarò che Libera Battaglin era sempre stata all’oscuro del piano diabolico della Celli.

L’11 giugno del 1902 si svolse a Vicenza l’udienza finale.

Il presidente del tribunale, il cavalier Castegnaro, acconsentì finalmente a che il rito si celebrasse a porte aperte e, in men che non si dica, la folla gremì l’aula.

Angela Celli conservava la sua impenetrabilità ed i suoi modi contenuti, mentre Bartolomeo Parise era visibilmente demoralizzato.

Il pubblico ministero cavalier Oppizzi chiese per la Celli la pena della detenzione a vita, mentre per il giovane Parise la reclusione a 16 anni e otto mesi; essendo evidenti ed inoppugnabili i fatti, gli avvocati difensori si rimisero alla clemenza della corte.

Il verdetto della giuria stabilì che entrambi gli imputati erano lucidi sia al momento della premeditazione che dell’esecuzione dell’omicidio e quindi vennero riconosciuti colpevoli.

Il giudice Castegnaro condannò Angela Celli all’ergastolo e Bartolomeo Parise alla pena di 15 anni di reclusione.

I parenti dell’omicida, accusati in un primo momento d’aver ostacolato le indagini, vennero prosciolti da ogni accusa e con essi anche «Marinella» che, tutto sommato, era colpevole solo di aver creduto troppo in un amore davvero impossibile.

Come fa notare la studiosa Nerina Milletti, l’uxoricidio di Pianezze divenne anche di interesse per il noto antropologo e criminologo Cesare Lombroso[12], il quale vedeva nelle cause del «tribadismo»[13] componenti di carattere ambientale, sociale e biologico, compresa la maturità e la vecchiaia[14]:

«E per una certa Celli, di 30 anni, cappellaia e uxoricida, il movente del reato era un morboso affetto per certa Battalini (sic), conosciuta pochi anni prima in un convento di Bassano, donde poi la Celli, per analoghe sconcezze sulle compagne, era stata scacciata»[15].

Certamente fu che il fattaccio scosse nelle profondità la coscienza e la pace del villaggio vicentino: accanto all’orrore di una moglie che uccise e squartò il marito, vi fu anche lo scandalo di una storia d’amore lesbico, il quale era percepito dalla società agricola del primo Novecento come un peccato indelebile che avrebbe marchiato le due donne per sempre.


Note

1 Il delitto di Pianezze di Marostica – Un uomo tagliato a pezzi, «La Provincia di Vicenza», 21 febbraio1902.

2 L’uomo tagliato a pezzi dalla moglie – Le rivelazioni della «Marinella», «La Provincia di Vicenza», 24 febbraio 1902.

3 L’uomo tagliato a pezzi dalla moglie – Le rivelazioni della «Marinella», «La Provincia di Vicenza», 24 febbraio 1902.

4 L’uomo tagliato a pezzi dalla moglie – Le rivelazioni della «Marinella», «La Provincia di Vicenza», 24 febbraio 1902.

5 L’uomo tagliato a pezzi dalla moglie – Le rivelazioni della «Marinella», «La Provincia di Vicenza», 24 febbraio 1902.

6 L’uomo tagliato a pezzi – Le confessioni del complice, «La Provincia di Vicenza», 25 febbraio 1902.

7 L’uomo tagliato a pezzi – Le confessioni del complice, «La Provincia di Vicenza», 25 febbraio 1902.

8 L’uomo tagliato a pezzi – Il delitto commesso in otto, «La Provincia di Vicenza», 27 febbraio 1902.

9 Il tranello fatale – Un matrimonio fra due donne, «La Provincia di Vicenza», 28 febbraio 1902.

10 L’uomo tagliato a pezzi dalla moglie, «La Provincia di Vicenza», 6 giugno 1902.

11 L’uomo tagliato a pezzi dalla moglie, «La Provincia di Vicenza», 6 giugno 1902.

12 Cesare Lombroso, psichiatra, antropologo e criminologo (1838-1919). Sosteneva che la delinquenza aveva origini ed aspetti di carattere biologico ed ereditario oltre che sociale.

13 Così il Lombroso definisce il rapporto lesbico.

14 Cesare Lombroso, La donna delinquente – «Natura e cause del tribadismo», 3° edizione, Bocca, Torino 1915, pagine 254-260.

15 Nerina Milletti, 1994, Analoghe sconcezze. Tribadi, saffiste, invertite e omosessuali: categorie e sistemi sesso/genere nella rivista di antropologia criminale fondata da Cesare Lombroso (1880-1949), DWF, 24 (ottobre-dicembre): 50-122 e Cesare Lombroso, 1903, Psicologia di una uxoricida tribade. In: «Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale», 23: pagine 338-339.

Da: Enrico Oliari, L'omo delinquente. Scandali e delitti gay dall'Unità a Giolitti, Prospettiva editrice, 2006. Articolo pubblicato in media partnership con www.oliari.com/libri/librimiei.html
(aprile 2018)

Tag: Enrico Oliari, delitto di Marostica, 1902, dottor Gardellin, Vittorio Parise, Pianezze di Marostica, Angela Celli, Libera Battaglin, Marinella, Bartolomeo Parise, Cesare Lombroso.