Influenza Spagnola
Come se non fosse bastata la guerra!

Oggi si continua a patire l’isolamento e la quarantena imposti dalle autorità sanitarie per difendere la popolazione dal Covid-19, che da parecchio tempo attacca ferocemente il mondo intero. Guardandoci attorno, ci rendiamo conto che le cose stanno migliorando in merito ai contagi dell’epidemia e alle sue vittime. Al 27 settembre 2021, i morti accertati dal suo inizio sono 4.746.620, mentre i contagi sono stati 203.703.120, secondo i dati ufficiali: cifre veramente impressionanti. Sono numeri che fanno paura, anche perché la pandemia non è ancora del tutto debellata, essendo ancora attive la variante delta e altre forme. Un cauto ottimismo fa sperare per il meglio. Indubbiamente, sono cifre che fanno rabbrividire, ma se si vogliono fare confronti con ciò che è accaduto nel passato nel mondo intero, c’è da rilevare che, in diverse occasioni, i risultati furono talmente disastrosi da fare impallidire chi se li trova sotto gli occhi. Si sta parlando, per esempio, della grande peste, la Peste Nera, per intenderci, che scoppiò nel 1346 e durò per ben sette anni, fino al 1353, causando la quantità imprecisata di vittime (le statistiche erano piuttosto vaghe, allora) che va dai 75 ai 200 milioni, e dell’Influenza Spagnola, diffusa nel primo ventennio del XX secolo, che infettò circa 500 milioni di persone in tutto il mondo e causò la perdita di circa 50 o 100 milioni di vite umane. E non si deve dimenticare che allora gli abitanti della Terra erano molti meno di oggi. Si disse che quella influenza uccise più della peste del XIV secolo e più della Grande Guerra, che fu forse la causa scatenante.

Un fatto si ritiene utile evidenziare. La Spagna, contrariamente agli altri Paesi Europei, per ragioni sue, non partecipò alle operazioni della Prima Guerra Mondiale, rimanendo neutrale, per cui non era legata all’imposizione di non divulgare notizie che avrebbero potuto recare danno alle truppe, quale quella che ne riportava le perdite in soldati a causa del virus. Gli Spagnoli erano gli unici che potevano liberamente divulgare le notizie in loro possesso, compresa quella dell’Influenza, che così fu denominata «Spagnola» («Gripe Española»). Tantissimi furono i contagiati, fra cui figura il Re Alfonso XIII.

In questa nota, ci si propone di esaminare ciò che accadde nel triennio 1918-1920, con quell’influenza, scoppiata in sordina in Europa nella primavera del 1918 per diventare mortale nella piena estate, coinvolgendo e sconvolgendo per primi soprattutto i Paesi belligeranti. Secondo gli storici, a causare tutte le vittime alla fine dell’estate è stata una micidiale variante di quella della primavera trascorsa, apparsa con tutte le caratteristiche di una malattia stagionale, pur se contagiosa, affrontabile con i giusti medicinali. C’è da ritenere che l’epidemia, scoppiata verso la fine della Prima Guerra Mondiale, sia da addebitare alle condizioni igienico-ambientali in cui si dibattevano i combattenti al fronte, soggetti a temperature rigide e a piogge battenti, malnutriti, sporchi, se del caso ricoverati in ospedali e in campi sovraffollati per lunghe degenze, che la favorirono.

Solitamente, come in questo caso, le epidemie influenzali colpiscono e stroncano persone anziane, magari fisicamente indebolite da tubercolosi o malaria, per esempio. Ciò che lascia perplessi è il tasso di mortalità che ha caratterizzato la Spagnola che ha colpito senza pietà gente giovane e sana, di età fra i 15 e i 35 anni, in ambienti dove si ha contatto diretto con il pubblico (ospedali, scuole, collegi, uffici, officine, caserme militari, conventi religiosi).

Da dove sia partita con esattezza non è noto, anche se sembra che sia stata portata in Europa dagli Stati Uniti: del resto, le ipotesi sono tante e tutte con una maggiore, minore o nulla credibilità. Comunque essa si diffuse in maniera oltremodo veloce in tutti i cinque continenti.

Si evidenziava, per lo più, con emorragie nel naso e nei polmoni, portando alla morte i malati anche nel breve giro di tre giorni. Sicuramente, la diffusione del virus è stata favorita dai movimenti spesso caotici delle truppe alla conclusione della guerra e dal loro ritorno in patria.

Statisticamente negli USA uno dei primi casi riscontrati riguarda il soldato-cuoco Albert Gitchell, che fu colpito dalla malattia, quando era nel Camp Funston nel Texas. Fu ricoverato in ospedale con una febbre da cavallo. Il virus trovò libera circolazione, aggredendo l’intero contingente; alla fine, si contarono 1.500 soldati infettati e ricoverati in corsia e 38 morti, dopo la complicazione dello stato di salute, per sviluppo di polmonite.

Intanto, continuava la sua diffusione che si stava dimostrando incontrollabile, non essendoci la possibilità di contrapporle ripari; in effetti, era letteralmente sfuggita di mano. Ovunque giungessero navi, si verificava immediatamente l’infezione nei porti, per diffondersi poi rapidamente nell’interno dei Paesi. Negli USA, appunto, i contagi partirono dalla costa orientale per diffondersi rapidamente nel resto del Paese. Qui, l’epidemia fu micidiale, perché i sanitari erano impreparati ad affrontare un’epidemia del genere; forse perché i progressi raggiunti dalla batteriologia erano stati tali da ritenere di poter affrontare con serenità gli attacchi delle malattie infettive normali.

Grandi reparti dell’esercito furono decimati. Secondo i dati a disposizione, la città maggiormente colpita è stata Filadelfia, dove, dopo una parata tenuta il 28 settembre, si riscontrarono migliaia di infetti e presto il conto dei morti fu di circa 12.000. E a questo punto sorsero le maggiori difficoltà, giacché l’obitorio cittadino era programmato per contenere solamente 36 salme (più che sufficienti in tempi normali, ma di certo non nel caso di un’influenza del tipo di quella in atto), mentre erano circa 500 i corpi in attesa di seppellimento; così, furono aperti altri sei obitori e le salme furono sistemate in impianti di conservazione del freddo, ma non mancò il caso di defunti gettati in fosse comuni, scavate da macchine funzionanti a vapore. Le vittime erano un migliaio al giorno, quando l’influenza assassina era al massimo. Le autorità civili coinvolsero la ditta J. G. Brill Company, produttrice di tram, affinché costruisse migliaia di contenitori destinati a ricevere i corpi dei morti.

Secondo quanto riportato da sanitari della Croce Rossa, fra l’altro essi avevano il compito di andare casa per casa per raccogliere le vittime; raccontarono che talora vi trovavano i vivi insieme con i defunti, spesso conservati nel ghiaccio, in attesa che la morte prendesse pure loro. La situazione era divenuta in nessun modo controllabile. Gli addetti alle pompe funebri, i becchini e i fabbricatori di bare si trovarono in difficoltà spesso insuperabili, impegnati a tempo pieno nell’eliminazione dei corpi, anche per non aggiungere agli effetti dell’epidemia quello dei miasmi per la loro putrefazione. Non si deve dimenticare, oltretutto, che si dovevano sistemare anche le salme dei soldati morti per l’epidemia o per azioni belliche, durante la Guerra Mondiale appena conclusa, riportate in patria. A Boston, i becchini addetti al New Calvary Cemetery dovevano fare in modo di recuperare le bare per riutilizzarle, il che significa inumazione senza cassa. Il War Industries Board (Consiglio delle Industrie Belliche) raccomandò ai costruttori di bare di farle semplici, per guadagnare tempo, e di dimensioni ridotte, per risparmiare in materiale, che stava scarseggiando.

Insomma, bisognava affrontare le avversità il più in fretta possibile. E non era un’eccezione vedere i parenti dei defunti scavare per loro la fossa, perché i becchini non erano sufficienti a inumare tutti i corpi sia per l’eccezionalità dell’evento, sia perché molti restavano rintanati a casa per paura di essere contaminati o erano rimasti colpiti dalla malattia, sia perché molti erano fra i morti. Pertanto, poteva capitare che le bare fossero accatastate ovunque ci fosse disponibilità di spazio, in attesa della sistemazione definitiva. Fa un certo effetto il racconto di un ragazzo di New Haven, città del Connecticut, che raccontò di essersi divertito con i suoi amici a scalarne mucchi, come se si fosse trattato delle piramidi, per fortuna senza conoscerne il contenuto.

La pratica della cremazione, che avrebbe potuto dare una mano accelerando i tempi di smaltimento dei corpi, non era ancora entrata nell’uso comune, per cui non era molto gradita, essendo preferita l’inumazione o la tumulazione. Ma, comunque, si faceva il possibile per fare presto. Naturalmente, in un caos simile, non si poteva concedere ai familiari di fare veglie e funerali, e perciò si accresceva il dolore dei superstiti per la dipartita dei loro cari.

Si faceva come si poteva, cercando di coinvolgere tutti per sistemare tutte le salme che giorno per giorno erano sempre in numero maggiore. Anche dei detenuti furono impiegati nella bisogna: è accaduto nel New Jersey, dove a 15 di loro fu dato il badile per scavare fosse. A Baltimora, i dipendenti pubblici furono chiamati in servizio quali becchini, mentre a Mount Auburn Cemetery furono incaricati di seppellire 175 morti, che rappresentavano l’arretrato di quasi un mese, i soldati di Fort Meade.

Attualmente, per combattere la pandemia si usano vaccini e, per evitare i contagi, si vietano gli assembramenti e si indossano le mascherine. Fu la stessa strategia messa in atto negli Stati Uniti. Innanzitutto, pur con differenze fra Stato e Stato, furono chiusi le scuole e i luoghi di divertimento pubblico e di culto, si impose di «non sputare» (sic!), si consigliò alla popolazione di usare fazzoletti (meglio se «usa e getta») e si ordinò di indossare la maschera quando ci si trovava fra la gente. Qualcuno si adeguò, mentre altri o bucavano la maschera per poter fumare o non la indossavano proprio.

Chiaramente, le maschere di allora erano molto lontane da quelle che si usano oggi. Le maschere chirurgiche erano di garza, così come quelle antinfluenzali. Addirittura, molti giornali riportarono le modalità da seguire per farle in casa, per se stessi e, perché no?, per donarle alle truppe.

L’ordinanza che imponeva l’uso delle maschere fu mal digerita da molte persone, che ritenevano che fossero scomode, inutili e, soprattutto nel mondo degli affari, nettamente dannose. Pertanto, non era raro il caso in cui i funzionari delle ditte fossero trovati in affollamenti senza la protezione della maschera e, naturalmente, vennero sanzionati. Si giunse pure a pene detentive e alla pubblicazione sui quotidiani dei loro nomi. La cronaca riporta che a San Francisco un funzionario della sanità abbia sparato a una persona che si era rifiutata di indossare la maschera e ferito due passanti.

Alla fine della guerra, si era giunti alla convinzione che le maschere, indossate per mantenere la popolazione e le truppe al sicuro dall’epidemia, non fossero più necessarie, per cui erano da buttare. Questo al punto che alcuni dissenzienti a San Francisco formarono il gruppo denominato «Anti-Mask League».

A proposito dell’uso delle mascherine, i Paesi del Terzo Mondo furono abbandonati a se stessi, per cui dovettero arrangiarsi come poterono, con gli scarsi, se non nulli, mezzi di cui essi disponevano.

Gli Stati Uniti persero dai 500.000 ai 675.000 abitanti, dopo che il 28% della popolazione fu contaminata. Le notizie riguardanti tutto il mondo non furono migliori. In Gran Bretagna, le vittime furono 228.000, in Giappone 400.000. In Africa, nella Sierra Leone, il porto lavorava a singhiozzo essendo l’80% dei lavoratori ammalato; in quel continente morì l’1,5% della popolazione, mentre in Asia si raggiunse il 3,5%; a Thaiti, nel giro di tre settimane, morì il 10% dell’intera popolazione; nelle isole Samoa, nell’Oceano Pacifico del Sud, la mortalità fu del 23,6%. In India, si ritiene che i morti siano stati dai 12 ai 17 milioni. L’Australia, non appena ebbe notizia della pandemia in atto nel resto del mondo, impose la quarantena a coloro che rientravano, ma ciò non evitò che pure là avvenissero diverse migliaia di morti.

Si sono riportati i decessi, approssimati, di alcuni Paesi del mondo, ma tutti furono toccati dalla mano fredda della morte.

Un bilancio esatto dei morti causati dalla pandemia, malgrado tutti i tentativi fatti da esperti, non è stato possibile farlo: solamente un calcolo approssimativo, con ampi margini, è potuto emergere dagli studi fatti a proposito. In diverse parti del mondo il sistema dell’anagrafe non era regolarmente aggiornato, come avveniva nei Paesi Occidentali, anche se la mancanza della possibilità di distinguere le morti dovute al virus o ad altre cause non ha reso possibile risalire al numero esatto prodotto dal primo.

Pertanto, nessuno è in grado di dire esattamente quante furono le sue vittime, se non che esse si trovano nel grande intervallo da 20 a 50 milioni secondo l’OMS, e da 50 a 100 milioni secondo altri, facendo le dovute ipotesi e gli improbabili conteggi; in definitiva, dal 3 al 5% fu quanto pagò in vittime la popolazione mondiale. La letalità riscontrata è stata valutata fra il 2 e il 3%.

Sicuramente, l’Influenza Spagnola mandò al Creatore più persone della Peste Nera e più della Grande Guerra, la quale ultima forse fu la causa del suo insorgere.

Del resto, un centinaio di anni fa non esistevano tamponi in grado di diagnosticare la malattia e, non avendo i giusti mezzi per isolarne il virus, ci si doveva accontentare di riconoscerlo solamente considerando i sintomi denunciati dai pazienti: chiaramente, non poteva esserci niente di più nebuloso. Inoltre, molte persone decedevano a casa, spesso senza la diagnosi di un medico.

E in Italia, quante furono le vittime? La Spagnola, non essendone stato previsto l’insorgere, non era nella lista delle malattie obbligatoriamente denunciabili alle autorità sanitarie; si sa solo che ufficialmente le morti avvenute negli 11 che vanno dal luglio 1918 al maggio 1919, sono state 526.918, però di queste non è detto quante siano da addebitare alla Spagnola oppure ad altre cause, quali polmonite o altre patologie. Se a queste si aggiungono i soldati deceduti non in combattimento fuori dall’Italia, un numero ragionevole può essere quello di circa 600.000 nostri connazionali, con un’incidenza attorno all’1,5% della popolazione di 40 milioni di abitanti, poco meno dei 650.000 caduti nel conflitto 1915-1918.

Come ricordato più sopra, l’influenza partì in sordina nella primavera del 1918, aumentando piano piano la sua virulenza, per diventare sempre più potente e aggressiva nell’estate, forse anche a causa di una variante avvenuta in quel mese. I primi casi di morte, dopo complicazioni polmonari, scoppiarono proprio allora, stranamente fuori stagione, giacché si trattava di una malattia non certo estiva, nel paese di Limbadi in provincia di Vibo Valentia. Naturalmente, le autorità sanitarie furono allarmate, tanto da procedere a esami autoptici per cercare di capire che cosa stesse succedendo. Secondo altre fonti, invece, è stato per primo un dirigente del servizio sanitario di Sossano in provincia di Vicenza che, preoccupato di ciò che si stava verificando nelle scuole, invitò il sindaco a chiuderle, avendo ritenuto, però, che si trattasse di tifo. In agosto molti soldati del centro di preparazione alla guerra di Parma furono furiosamente aggrediti ed eliminati in massa. Alla fine del mese, tutta l’Italia viveva sotto l’incubo della pandemia.

La Spagnola andò piano piano perdendo di efficacia e scomparve quando, secondo il parere degli esperti del settore, le popolazioni avevano raggiunto l’immunità nei suoi confronti attraverso lo sviluppo di anticorpi.

La gente, che aveva tanto sofferto per la guerra e per lo stillicidio di morti a lei attribuibili insieme con il virus, dimenticò il tutto con prontezza e riprese a pieno ritmo una vita basata sul «carpe diem», sperando che il domani fosse foriero di bene e felicità: come si dice, «tutto è bene finché tutto finisce bene», ma forse sarebbe il caso di aggiungere «fino alla prossima!»

Insomma, oggi, guardandosi intorno, si vede che nulla è cambiato e che pertanto si può affermare una volta ancora, prendendo in prestito una locuzione latina della Bibbia, «Nihil novi sub sole» («Niente di nuovo sotto il sole»). Il che si commenta da solo!

(novembre 2021)

Tag: Mario Zaniboni, Influenza Spagnola, Covid-19, Peste Nera, Grande Guerra, Prima Guerra Mondiale, Spagnola, Alfonso XIII, epidemie influenzali, Stati Uniti, Albert Gitchell, Filadelfia, J. G. Brill Company, War Industries Board, pandemia, vaccini, mascherine chirurgiche, Anti-Mask League, Spagnola in Italia.