Halifax
Quando domina la confusione

Durante la Prima Guerra Mondiale, il Canada faceva parte del Commonwealth Britannico, per cui partecipava attivamente al suo sforzo bellico, rifornendolo di tutto ciò che potesse servire (truppe, mezzi, materiali, esplosivi) ai fronti di guerra del Vecchio Continente, vale a dire a quelli della Gran Bretagna, della Francia, del Belgio.

Halifax era una piccola città di porto situata sulla costa orientale dell’Oceano Atlantico. Dal momento dell’inizio delle ostilità, quale porto marittimo divenne il fulcro per quel traffico militare. La sua baia è una delle più profonde ed estese dell’Atlantico e, pur essendo a una latitudine molto elevata (44° 38′ 43″ Nord), ha il pregio di non essere mai bloccata dai ghiacci invernali. Essendo, inoltre, il principale ingresso per i nuovi immigrati, era diventata economicamente molto florida.

Aumentando le necessità, il porto, che era stato progettato per servire un traffico navale abbastanza ridotto, divenne il maggiore centro d’approdo per la flotta mercantile, con conseguente sovraffollamento di mezzi; e ciò soprattutto dal 1917, quando, per poter meglio contrastare l’opera devastatrice dei sommergibili tedeschi, si decise di fare attraversare l’Oceano a navi raggruppate in convogli, con la scorta di cacciatorpediniere e incrociatori britannici. Pertanto, i mercantili si riunivano alla base di Bedford, nell’estremità nord-occidentale del porto, che era difeso da reparti dell’esercito con fortificazioni, batterie di cannoni e reti antisommergibili, e sorvegliato da navi di pattugliamento della «Royal Canadian Navy».

Così Halifax, che fu pure punto di arrivo delle navi ospedaliere cariche di feriti in guerra per ricoverarli nell’ospedale militare costruito a proposito, divenne quello di raccolta delle navi mercantili per formare i convogli, appunto. Chiaramente, la situazione del piccolo porto divenne caotica, con problemi di manovra dei grossi mezzi tutt’altro che trascurabili. Si contavano a decine le navi alla fonda od ormeggiate ai moli; di queste molte battevano la bandiera degli Stati alleati.

La sera del 5 dicembre, era giunta al porto di Halifax la nave mercantile militare norvegese Imo, che era riuscita a entrare e a caricare materiale con destinazione Belgio.

Il mattino presto del giorno 6 dicembre 1917, come consuetudine, il porto era trafficato e intasato a non finire di navi mercantili militari. Numerose di queste navi erano in attesa che giungesse la scorta navale militare, che avrebbe avuto il compito di difendere il convoglio nelle acque atlantiche contro i potenziali attacchi dei sommergibili tedeschi. L’Imo si apprestava a uscire dal porto, per raggiungere il convoglio in partenza per l’Europa, attraversando lo stretto che lo separa dall’Oceano, mentre nello stesso tempo stava entrando la nave francese Mont Blanc, partita qualche giorno prima da New York, per aggregarsi a un altro convoglio navale alleato. Quest’ultima era carica di benzina e di materiali esplosivi di vario tipo per ben 2.653 tonnellate (una polveriera nel vero senso della parola, le cui le sostanze primarie erano TNT – trinitrotoluene –, più noto come tritolo, acido picrico e nitrocellulosa, cioè fulmicotone, usato per preparare esplosivi).

Il comandante della nave, conscio che da qualche tempo i sottomarini tedeschi affondavano le navi alleate che si trovavano sulla loro rotta, per non farsi riconoscere come trasportatori di materiale esplosivo, lungo la navigazione fra il porto di partenza e quello di arrivo aveva ammainato la bandiera che li identificava come tali (in contrasto con il regolamento che imponeva di farsi riconoscere) e se l’era dimenticata.

La navigazione per entrare nel bacino di Bedford o per uscire verso l’Oceano avviene attraverso una via obbligata nello stretto canale di Narrows. È prassi normale che, quando due navi si muovono in senso contrario in spazi ristretti, stiano il più vicino possibile alla costa che si trovi sulla loro «dritta» («destra»), al fine di evitare di entrare in contatto, e mantengano una velocità limitata, attorno ai cinque nodi (poco meno di dieci chilometri).

Forse, ignorando che la Mont Blanc era imbottita di esplosivi e di sostanze altamente infiammabili, non ci fu molta cura da parte dell’equipaggio della Imo nel tenersi alla larga il più possibile. Oltre a quelle, nello stretto erano pure altre due navi. Pare che, per confusione nell’interpretare le intenzioni dei comandanti e per malintese comunicazioni fra gli equipaggi, si siano fatte manovre del tutto confuse per evitare la collisione, tanto che, per quanto si è potuto appurare, a seguito di una manovra errata, l’Imo andò violentemente a sbattere contro la Mont Blanc, procurandole un grosso squarcio nello scafo, dal quale uscì una buona parte del carico, insieme con la benzina. Erano le ore 8:45. L’Imo, che non aveva subito gravi danni, tentò di liberarsi e di staccarsi dalla Mont Blanc, riuscendoci quasi subito. Le cose andarono peggio per quest’ultima, il cui ponte, bagnato di benzina, immediatamente prese fuoco e in poco tempo la nave fu in balia delle fiamme, tanto che, vedendo l’impossibilità di spegnere l’incendio, il comandante fece mettere in mare le scialuppe e diede l’ordine di abbandonare la nave, lasciandola, immane rogo, alla deriva. Molte navi presenti tentarono inutilmente di spegnere il fuoco, mentre la corrente piano piano spostò la nave in fiamme, facendola sbattere contro il molo numero 6 dell’area urbana del porto, incendiandone la struttura. Anche da terra le squadre antincendio della città tentarono invano di spegnere quel fuoco che, anzi, tendeva ad aumentare. L’incendio divenne visibile in tutta la città, e la gente, curiosa come sempre, invece di starsene rispettosamente alla larga, cominciò ad accalcarsi nei moli più vicini da dove fosse possibile godersi lo spettacolo. Poco più di un quarto d’ora dopo (esattamente alle ore 9:04:35), la temperatura raggiunse valori critici tali da fare scoppiare, in un solo botto, tutto l’esplosivo accatastato nella stiva. Si trattò di un fenomeno caratterizzato da una potenza infernale; forse qualcuno lo assimilò all’esplosione del vulcano Krakatoa, situato fra le isole di Giava e Sumatra in Indonesia, il 27 agosto del 1883.

Quando più tardi gli USA fecero esplodere le bombe atomiche in Giappone, si coniò l’unità di misura dello scoppio relativo: ebbene, si ritenne che l’esplosione di Halifax abbia avuto la potenza di 2,9 chilotoni (un chilotone vale mille tonnellate di tritolo).

L’effetto dell’esplosione fu catastrofico e devastante: la Mont Blanc fu sbriciolata, molti suoi pezzi furono sparati a notevole distanza; una parte di ancora, del peso di 500 chilogrammi, volò in un parco a più di quattro chilometri di distanza, mentre un cannone raggiunse i cinque chilometri e mezzo. Più di 500 vagoni ferroviari furono danneggiati dall’onda d’urto, molte navi ormeggiate ai moli subirono lo «tsunami» dovuto allo scoppio, fra cui l’Imo, che fu scaraventata sulle rive di Dartmouth, opposte a quelle di Halifax, rimanendo qui arenata; il suo equipaggio fu quasi tutto ucciso. L’onda d’urto fu tale da distruggere qualsiasi struttura si trovasse sul suo percorso, fino a più di un chilometro e mezzo di distanza. Le persone uccise dall’esplosione, dagli incendi, dai detriti volanti, dagli edifici crollati furono almeno 2.000, anche se non si è mai pervenuti alla cifra conclusiva. I feriti hanno superato le 9.000 unità. Molte ferite furono debilitanti in modo permanente, come furono quelle causate dai frammenti di vetro volanti e dal lampo dell’esplosione: si riporta che quasi 6.000 persone siano rimaste ferite agli occhi, mentre più di 40 abbiano perduta la vista in modo permanente. Le abitazioni, prevalentemente di legno, furono distrutte dallo scoppio o incenerite a causa del fuoco acceso per il calore, lasciando circa 25.000 senzatetto. I danni occorsero fino a 16 chilometri di distanza, mentre lo scoppio dell’esplosione si fece sentire fino a 360 chilometri. Questa produsse una grande nube a fungo, che, quando iniziò a diradarsi, consentì ai sopravvissuti al disastro di valutare ciò di cui erano stati testimoni: una buona parte delle borgate settentrionali di Halifax era stata rasa al suolo; solamente le strutture in cemento avevano resistito allo scoppio.

Il giorno stesso, iniziarono a giungere gli aiuti dalle province canadesi della Nuova Scozia e del New Brunswick, e gli ospedali si riempirono rapidamente.

Il giorno seguente la natura si accanì contro gli sforzi posti nel soccorso, mettendolo in difficoltà: ci fu, infatti, una tremenda bufera di neve che coprì la città con un manto di oltre 40 centimetri di spessore. I collegamenti ferroviari fra Stati Uniti e Canada furono bloccati. Le linee telegrafiche erano fatiscenti, dopo i danni subiti a causa dell’esplosione. La grave situazione impedì di continuare la ricerca di eventuali sopravvissuti. Halifax era isolata. Unico fatto positivo fu che la bufera di neve impedì nuovi incendi.

Nonostante il maltempo, i sopravvissuti poterono essere assistiti nel migliore dei modi, ricoverati in luoghi sicuri, nutriti con pasti caldi e, si fa per dire, poterono riprendere la vita normale, mentre si stava operando per fornire loro un tetto.

Subito si cercò di capire come sia potuto accadere un disastro del genere. Si pensò pure a un attacco da parte di un gruppo d’assalto tedesco, specializzato in spedizioni di sabotaggio. Proprio per questo, i Canadesi di origine tedesca, che erano sopravvissuti all’esplosione, furono arrestati e tenuti sotto custodia per diversi giorni. Ma le difese costiere e navali, oltre alle reti antisommergibile stese ogni notte, fecero decadere la possibilità di un coinvolgimento militare germanico.

Pertanto, si cercò di comprendere se ci fossero state delle colpe attribuibili a qualcuno, ma alla fine, ogni accusa fu smontata e le colpe furono attribuite equamente a tutti quelli che direttamente o indirettamente parteciparono al verificarsi della collisione. Si è quantificato che i danni materiali subiti da Halifax e dintorni abbiano superato i 35 milioni di dollari di allora (più di 600 di oggi).

Comunque, la città è stata ricostruita interamente, eliminando le reminiscenze del disastro che aveva subito, facendola diventare uno dei più importanti porti sull’Oceano Atlantico e una delle più rilevanti basi della «Royal Canadian Navy».

(agosto 2021)

Tag: Mario Zaniboni, Prima Guerra Mondiale, Canada, Commonwealth, Halifax, Oceano Atlantico, Bedford, guerra sottomarina tedesca, Royal Canadian Navy, Imo, 6 dicembre 1917, Mont Blanc, canale di Narrows, Dartmouth, disastro di Halifax.