La Diva Imperiale
Francesca Bertini, un alone di leggenda

Francesca Bertini

Francesca Bertini in Assunta Spina, 1915

Non mi sono mai occupata espressamente di storia del cinema, ma ho sentito il bisogno di approfondire la figura di Francesca Bertini, omaggiata più come leggenda del cinema che come donna.

Un interessante ritratto che di lei ha dato Costanzo Costantini[1] ce la descrive come una personalità forte, una sorta di Rodolfo Valentino al femminile. Ma sono le origini di Francesca Bertini, o quantomeno le presunte origini, che dovrebbero, a mio avviso, attirare l’attenzione, almeno sul piano storico.

Esistono diverse versioni sulla biografia della «Diva del muto». Ricorda giustamente Costantini che «addentrarsi nella vita di Francesca Bertini è come inoltrarsi in una nebulosa, in una “nebulosa stellare” […]. Bisogna dipanare [per descrivere il personaggio] la bibliografia più confusa, contraddittoria e approssimativa con la quale l’intera storia del cinema muto italiano ci metta alle prese»[2]. A questo punto Costantini fa una rassegna delle varie «ipotesi biografiche».

«L’attrice dialettale napoletana Francesca Bertini», scrive Ettore M. Margadonna, «ha iniziato la sua carriera nel 1909, presso la “Film d’arte italiana”, una delle prime case cinematografiche del nostro Paese, fondata dalla società francese che faceva capo a Charles Pathé».

«Francesca Bertini», scrive Francesco Soro, uno degli avvocati dell’attrice e del produttore Giuseppe Barattolo, «è Elena Vitiello, napoletana, ma nata a Firenze, da padre napoletano e da madre toscana. Francesca Bertini è dunque un nome d’arte. Vitiello non suonava bene. Il pubblico vuole, oltre che belle attrici, anche bei nomi sonori, eufonici. Quindicenne appena, fu portata al cinematografo da una Casa romana, la “Film d’arte”, allora diretta dal Pathé di Parigi e dal compianto avvocato Gerolamo Lo Savio […]».

Altra versione sulle origini della grande attrice ce la propongono Consiglio e Debenedetti. «Nata per caso a Firenze», scrivono, «questa napoletanissima ragazza trascorse a Napoli l’infanzia, figlia adottiva d’un certo Vitiello. Si chiamava Elena, prima che una inspiegabile fantasia le suggerisse di ribattezzarsi Francesca. Si chiamava ancora Elena quando la madre, donna di teatro, la introdusse in una compagnia dialettale napoletana […]».

Potremmo proseguire questa carrellata, costituita da una fitta serie di dati incerti e contrastanti, di notizie vaghe e imprecise, di informazioni non controllate, di iperboli, di locuzioni convenzionali e maldestre[3].

Ma è soprattutto nel terzo paragrafo della biografia dell’artista pubblicata da Costantini che, a partire dal titolo, Un caos totale, si esprimono a tutto tondo le difficoltà dell’ambiente cinematografico nazionale nel raccontare in maniera genuina le origini di Francesca Bertini.

Riporto di seguito quanto Vico d’Incerti, nel suo conosciuto Vecchio cinema italiano – le dive, editore Ferrania 1951, scrive su di lei: «Francesca Bertini è nata a Firenze, nella villa del Cucù al viale dei Colli, nel 1896. Il suo vero nome è Elena Seracini Vitiello. Il padre, commerciante napoletano ritiratosi dagli affari, viveva agiatamente di rendita; la madre era invece toscana, di ottima famiglia senese: bionda e bella, tanto che la gente la chiamava “la rosa di Firenze”. Burrascose vicende economiche portarono la famiglia a Napoli, quando la bimba aveva otto anni […]».

Le varie versioni spesso si contraddicono. La stessa Francesca Bertini, nello scrivere la sua autobiografia, del tutto romanzata, altera sempre la prima persona con la terza persona, cita personaggi che fanno a gara per ritrarla o incontri decisivi con figure delicate come quella del poeta napoletano Salvatore Di Giacomo. Ma chi era davvero Francesca Bertini?

In un racconto fattomi da una mia cara amica lucchese, di cui celerò il nome, vista la complessità del contesto[4], ebbi una descrizione ancora diversa, seppur sommaria, sull’origine dell’attrice. Secondo tale versione Francesca Bertini sarebbe lucchese, di buona famiglia. La sorella dell’artista, in amicizia con la nonna della mia amica (nata nel 1904) avrebbe conosciuto dall’interno le vicende della Bertini che, presentandosi in famiglia con le ricchezze accumulate, veniva emarginata; e sempre questa «ipotetica» famiglia d’origine avrebbe impedito alla di lei sorella di scriverle, con grande dispiacere della stessa.

Ulteriore versione rispetto alle molte circolanti che, peraltro suffragabile per l’attendibilità della fonte, mi ha lasciato un certo sconcerto. Sicuramente l’ambiente lucchese, cattolico e «riservato» circa i propri risvolti «privati», avrebbe potuto non tollerare che un membro di una famiglia borghese in vista tenesse un comportamento non consono ad una donna borghese dei primi anni del Novecento. Intervistata sulle molte bugie riferite in merito al suo privato, la Diva rispose: «Ma perché avrei dovuto dire la verità? Perché avrei dovuto dire agli altri i miei affari privati?»[5].

Di fatto è interessante valutare proprio il proseguo delle sue vicende private, soprattutto legate al matrimonio col conte Paul Cartier nel 1921 e ad una successiva presunta relazione con il grande regista del muto Vincenzo Leone, padre di Sergio Leone. Perché tali vicende imprimono una connotazione particolare al periodo storico in cui visse Francesca Bertini, soprattutto in contesti borghesi, ancor più se contesti borghesi di provincia. Caratterizzati, fra l’altro, da una certa mania per la nobiltà, da un bisogno di personalizzazione ed emersione.

Si è voluta presumibilmente celare per molto tempo la reale identità di colei che oggi viene descritta da taluni come la madre di Sergio Leone. Le biografie ufficiali hanno indicato il regista di Giù la testa e C’era una volta in America come figlio del regista Vincenzo Leone e della di lui consorte Edvige Valcarenghi (peraltro rivale artistica della Bertini). Ma Martin Scorsese, grande regista statunitense e storico del cinema, ha sostenuto in una conferenza stampa, parlando di Sergio Leone, un parallelismo tra lo sguardo della compianta «madre» di Leone [Francesca Bertini, in questo caso] e la carica espressiva dei primi e primissimi piani del regista[6]. Del resto Sergio Leone ha comunque omaggiato la Regina del muto chiamando sua figlia come la «nonna»: Francesca.

Qualunque sia la verità storica, certamente si è trattato di una sorta di oltraggio alla figura di una donna libera ed allo stesso tempo coraggiosa e battagliera, che ha saputo e voluto valorizzare le sue indiscutibili qualità artistiche. Credo che sulla donna andrebbe fatta maggiore chiarezza. Tra vero e falso, siamo in presenza di una donna unica, definita fra l’altro come «profumo della primavera».

«Sono le cinque del pomeriggio, e Francesca Bertini non è donna che possa dimenticare che l’abbigliamento deve andare in armonia con l’ora del giorno, o della notte. Indossa pantaloni marroni su mocassini neri, una camicetta di seta verde e nera a fiori bianchi sotto un golf verde bottiglia, al collo brillano due fili di perle bianche coltivate, all’anulare della destra rifulge un topazio, all’anulare della sinistra rifulge un rubino»[7].

L’artista Bertini ha certamente avuto il posto che le spetta di diritto quale autentica primavera dell’arte, in qualità di «fenomeno» del cinema. Forse non così sul piano privato, inteso come analisi storica e sociale in cui inquadrare una donna che, in quanto donna, ha dovuto fare i conti con le discriminanti del caso. Racconta Francesca Bertini in Il resto non conta: «Iniziai così, con Verdi, il mio nuovo destino [di attrice cinematografica]. L’ordine del giorno della “Film d’arte italiana Pathé” era il seguente: tutti pronti alle sei del mattino per girare. Dicevano che il primo sole fosse il più propizio per una bella fotografia. È inutile dire che fremevo per quell’inizio. I giorni di attesa mi sembrarono eterni. Finalmente vennero ad avvertirmi in albergo che mi trovassi pronta l’indomani mattina alle cinque. Infatti un “coupé” personale a due cavalli venne a prendermi prima che albeggiasse. Il cielo era ancora scuro. Un gran silenzio ovunque e tremolii di stelle che impallidivano. Tutto ciò mi piacque, mi parve bello e misterioso…».

Mistero e azione, potremmo così definirla. Tre sono le serie di film con cui è possibile fare una classificazione del repertorio complessivo di Francesca Bertini. Tra i film inclusi nella prima serie (interpretati tra il 1910 ed il 1912 per la «Film d’arte italiana Pathé» e per la «Cines») non rimangono giudizi degni di nota. Il vero e proprio successo dell’attrice incomincia con i film della seconda serie (1912-1914 per la «Celio» film) ed esplode con quelli della terza (1914-1921 per la «Caesar» e per la «Bertini – Film»), molti dei quali diretti da Roberto Roberti (alias Vincenzo Leone, padre di Sergio Leone).

Umberto Barbaro, critico cinematografico, parlando di lei così si espresse: «Francesca Bertini è stata senza dubbio un’attrice eccezionale e non soltanto una bella donna; e il suo talento naturale le ha fatto raggiungere a volte un alto livello artistico. Quelli che ne hanno scritto di recente non sono certo i critici che le profetizzava il non certo indulgente Delluc, quando ancora nel 1919 scriveva: “Ma solo più tardi si saprà che bisognava studiare le opere complete di Francesca Bertini”».

Perché spesso tanta difficoltà nel rilevarne la grandezza? Forse il suo privato «arruffato»? La reticenza tutta borghese di qualcuno? Incuria sul piano storico?

Segnaliamo che tra i film della terza serie, particolarmente apprezzati furono Nelly la Gigolette, Assunta Spina, La signora delle camelie e Odette. Dopo il matrimonio con Paul Cartier ed il momentaneo trasferimento in Francia, seguirono sei film, girati fra il 1927 ed il 1935. Ma il matrimonio avrà vita breve ed effimero sarà anche il suo successo d’oltralpe. Dopo Odette, ivi girato ed omaggiato, i film successivi non avranno alcuna eco, né potrà ella trovar lavoro in Italia. Il nuovo cinema italiano, quello della «Cines», il cinema di Camerini, Blasetti, dei giovani, non sarà in grado di offrirle più nulla.

Deceduta nel 1985, possiamo così ricordarla: Francesca Bertini, la «grande Diva dell’età giolittiana e dannunziana, protagonista assoluta del cinema muto italiano dal 1910 al 1920 e prima star internazionale (ebbe profferte anche in America); bellissima ed elegante nell’aspetto, personalità fuori dal comune, attrice intensa, tragica per eccellenza, seppe affermare con sorprendente modernità la sensualità femminile, sia in languide pose da eroina decadente, sia interpretando ruoli da popolana».


Note

1 Costanzo Costantini, La Diva Imperiale, ritratto di Francesca Bertini, Milano, edizioni Bompiani 1982.

2 Costanzo Costantini, La Diva Imperiale, ritratto di Francesca Bertini, Milano, edizioni Bompiani 1982, pagina 12.

3 Costanzo Costantini, La Diva Imperiale, ritratto di Francesca Bertini, Milano, edizioni Bompiani 1982, pagine 12-15.

4 La nonna di questa persona era membro della famiglia Barsanti di Lucca, lontani parenti del padre scolopio Eugenio Barsanti, l’inventore del motore a scoppio.

5 Costanzo Costantini, La Diva Imperiale, ritratto di Francesca Bertini, Milano, edizioni Bompiani 1982, pagina 56.

6 Recente pubblicazione sulla rivista on line di cinema Persinsala.it.

7 Costanzo Costantini, La Diva Imperiale, ritratto di Francesca Bertini, Milano, edizioni Bompiani 1982, pagina 52.

(dicembre 2011)

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