La Chiesa di fronte al genocidio armeno
Le azioni di Papa Benedetto XV per cercare di fermare il massacro attuato dai Giovani Turchi

Un secolo fa avvenne uno dei più tragici massacri della Storia: il genocidio degli Armeni conosciuto anche come «Metz Yeghern» («Grande Male»). L’«Olocausto» di questo popolo accade nel contesto della Prima Guerra Mondiale, dopo che nel novembre del 1914 l’Impero Ottomano entrò nel conflitto insieme alla Germania e all’Impero Austro-Ungarico[1]: dopo le sconfitte subite contro l’esercito russo, il gruppo dei «Giovani Turchi» dell’Ittihad (Comitato di Unione e Progresso) iniziò infatti un feroce sterminio rivolto verso la popolazione armena, percepita come una possibile «Quinta Colonna» in combutta con il nemico[2]. Questo comportò inizialmente l’arresto dei principali dirigenti politici e dei soldati che militavano nell’esercito, mentre nel maggio del 1915 fu emanata una «legge temporanea di deportazione», che pur nominando espressamente gli Armeni, autorizzava la deportazione dei popoli sospettati di tradimento. I convogli dei deportati furono quindi obbligati ad effettuare delle vere e proprie «marce della morte» durante le quali furono decimati dalla fame, dalle malattie e dagli stenti, oltre che dalle uccisioni da parte di tribù curde e dai guardiani che guidavano le carovane. Non si conosce esattamente il numero delle persone che perì durante questa tragedia, ma le stime calcolate dagli storici si aggirano attorno ad 1.200.000 persone assassinate. Nonostante vi sia una corrente storiografica (minoritaria, va detto) che sostiene la mancanza di un disegno genocida da parte del gruppo dei Giovani Turchi, in realtà vi sono molte prove che dimostrano, invece, che da parte delle autorità ottomane vi era l’intenzione di eliminare gli Armeni[3].

Numerosi sono stati all’epoca gli interventi della Santa Sede per cercare di fermare il massacro, anche se la sua influenza sugli avvenimenti era assai scarsa non solo per il contesto del conflitto[4] (la Francia, tradizionale potenza protettrice dei Cattolici dell’Impero Ottomano, si trovava in guerra contro quest’ultimo), ma anche perché lo stesso genocidio avvenne in un clima di avversione verso i Cristiani. Infatti nonostante i Giovani Turchi fossero, secondo le parole dell’Ambasciatore Americano Henry Morgenthau, «praticamente tutti atei», erano tuttavia coscienti che le motivazioni nazionaliste non sarebbero bastate a mobilitare la popolazione, e per farlo occorreva invece richiamarsi alla comune fede islamica[5]: elemento determinante a questo proposito fu la dichiarazione della «jihad» che sebbene fosse rivolta contro i Governi dell’Intesa, finì per abbattersi contro i «giaur»[6] residenti nell’Impero. La lotta contro gli Armeni, nonostante fosse stata concepita dal Governo Ottomano con motivazioni politiche e nazionali, assunse infatti i caratteri di una «guerra santa»[7], e ciò lo si può notare anche dal fatto che molto spesso ai deportati fu proposta la conversione all’Islam.[8]

La linea tenuta all’epoca da Papa Benedetto XV fu quella di intervenire per fermare le stragi e le deportazioni degli Armeni, indipendentemente dalla loro fede religiosa[9]. La Santa Sede effettuò diverse azioni per tentare di impedire il massacro: tramite il delegato apostolico Angelo Maria Dolci trattò con il Governo la sicurezza dei Cristiani all’interno dell’Impero, stimolò l’Austria e la Germania ad intervenire presso il loro alleato[10], e lo stesso Pontefice si rivolse direttamente al Sultano per bloccare il genocidio. Nel settembre del 1915 il Papa, accogliendo l’invito di molti Cattolici Orientali, inviò infatti una lettera al Sultano Maometto V, con cui gli chiedeva di avere pietà e di intervenire a favore di un popolo «il quale per la religione medesima che professa, è spinto a mantenere fedele sudditanza verso la persona della stessa Maestà Vostra»; invitandolo inoltre a fare distinzione tra gli armeni traditori e quegli invece innocenti. La risposta del Sultano Maometto V alla la lettera del Papa fu però negativa: nel colloquio con Dolci, giustificò infatti la misura della deportazione dichiarando che era impossibile «poter fare distinzione tra l’elemento tranquillo e quello perturbatore».

Papa Benedetto parlò nuovamente del genocidio nel Concistoro del 6 dicembre del 1915 ricordando le sorti del «popolo armeno gravemente afflitto, condotto sulla soglia dell’annientamento». Le stragi di civili armeni perpetrate dalle milizie turche o curde furono inoltre trattate in diverse occasioni, sotto incoraggiamento del Papa, dai giornali «Osservatore Romano» e «Civiltà Cattolica». Benedetto XV si rivolgerà direttamente al Sultano in favore degli Armeni anche quando – a seguito del crollo dell’esercito zarista nel 1918 – le truppe ottomane occuparono altre regioni abitate dagli Armeni abbandonandosi a nuovi massacri: nella missiva chiese «che si risparmino e si proteggano popolazioni disarmate e innocenti […] possano i poveri Armeni vedere scendere su di loro in abbondanza la pietà e la clemenza sovrana». La risposta del Governo Ottomano fu però ancora una volta negativa in quanto quest’ultimo sosteneva che persistevano nella regione le attività di bande armate armene che massacravano la popolazione turca.

In definitiva, gli interventi pontifici ebbero scarsi risultati. È vero che il Governo Turco, a seguito della lettera del Pontefice del 1915 (che ebbe grande pubblicità tra la stampa europea), mostrò maggior riguardo nel trattare la questione dei Cattolici dell’Impero e che, in seguito anche alle pressioni tedesche, le misure antiarmene subirono una temporanea battuta d’arresto nello stesso autunno. Tuttavia, questi provvedimenti non potevano fermare il massacro degli Armeni (e, più in generale, dei Cristiani dell’Impero), e la fine del genocidio fu dovuta alla sconfitta subita dagli Ottomani nella guerra[11]. L’azione di Benedetto XV fu comunque importante perché, come hanno affermato alcuni giornali armeni nell’immediato dopoguerra, senza queste prese di posizione la situazione di quel popolo avrebbe potuto essere anche più grave[12].

Posizioni molto importanti riguardo lo sterminio degli Armeni saranno prese anche da Papi successivi come Giovanni Paolo II e Papa Francesco che parlarono apertamente del genocidio, scatenando per questo le dure reazioni della Turchia la quale, nonostante avesse firmato nel 1948 la Convenzione sul genocidio, ha assunto su questi avvenimenti storici una posizione negazionista[13] al punto da arrivare, ancora oggi, a punire con il carcere gli autori che osano mettere in dubbio la tesi ufficiale del Governo riguardante il massacro subito da questo popolo cristiano durante la Prima Guerra Mondiale.


Note

1 Persecuzioni e massacri verso la popolazione armena si verificarono, in realtà, anche nei decenni precedenti: basta pensare ai «Massacri Hamidiani» del 1894-1896 durante la quale morirono circa 200.000 Armeni. Vedendo ciò, alcuni storici hanno portato l’ipotesi che lo sterminio degli Armeni fosse stato concepito già diversi anni prima del conflitto, e che l’entrata in guerra venne attuata proprio per avere l’occasione opportuna per risolvere definitivamente la «Questione Armena». Tuttavia, il fatto che inizialmente i Giovani Turchi avessero preso contatto con il movimento rivoluzionario armeno per cercare di convincerlo ad attuare disordini nei territori dell’Armenia Russa rende improbabile questa ipotesi. Indubbio, però, che il genocidio fu reso possibile dal contesto del conflitto.

2 Questo nonostante la maggior parte degli Armeni si sia mantenuta leale durante il conflitto come dimostrato dall’alto numero di volontari che si arruolarono nell’esercito o dal fatto che i prelati armeni celebrassero servizi religiosi per la vittoria della patria ottomana. Molti diplomatici e militari austriaci e tedeschi erano consapevoli di questa situazione, e difatti deplorarono le autorità turche perché invece di punire i pochi Armeni colpevoli di tradimento, si accanivano contro l’intera popolazione.

3 In alcuni telegrammi inviati ai governatori provinciali vi era scritto che «deportazione» significava in verità «massacro»; alle missioni straniere venne proibito di fornire generi alimentari alle persone stremate dalla fame; i beni dei deportati vennero confiscati e venduti dopo la loro partenza (cosa che smentisce la tesi che la deportazione fosse un trasferimento temporaneo); i funzionari che intendevano effettivamente «reinsediare» gli Armeni furono sostituiti o, in alcuni casi, persino uccisi; e testimonianze o resoconti di diplomatici, giornalisti e missionari danno un’ulteriore conferma della volontà dell’«èlite» ottomana di sterminare gli Armeni (ad esempio, alla domanda dell’Ambasciatore Americano Henry Morgenthau, che chiedeva se fosse giusto distruggere un’intera razza per colpa di pochi traditori, il Ministro dell’Interno Mehmed Talaat Pascià rispose: «Queste cose sono inevitabili»).

4 Durante il conflitto Benedetto XV assunse una posizione di neutralità e lanciò famosi appelli contro la guerra definita nei suoi discorsi come «inutile strage» o «orrenda carneficina». Questi pronunciamenti furono tuttavia spesso male accolti dai contendenti che accusarono il Pontefice di disfattismo e di favorire il nemico.

5 L’atteggiamento della popolazione turca verso il genocidio ha dato luogo a diverse interpretazioni anche per i diversi comportamenti assunti all’epoca in quanto si contarono persone che parteciparono attivamente e con entusiasmo allo sterminio, e altre invece che si prodigarono, anche a rischio della propria vita, al salvataggio degli Armeni. Ad ogni modo, il coinvolgimento diretto della popolazione nello sterminio fu scarso perché questo fu principalmente attuato da forze militari e paramilitari in quanto l’obiettivo delle autorità era quello di procedere velocemente, e possibilmente in segreto, per evitare eventuali reazioni negative o resistenze.

6 Epiteto infamante che designa i non musulmani. Effettivamente, in quel periodo stragi e deportazioni colpirono anche altre minoranze non islamiche dell’Impero Ottomano (Assiri, Greci, Caldei, Ebrei, Maroniti...). In alcune regioni, tuttavia, furono colpiti, in un secondo momento, anche i Curdi nonostante la popolazione fosse di fede musulmana e molte tribù curde avessero partecipato al massacro degli Armeni. Questo sta ad indicare che alla base del disegno genocida dei Giovani Turchi vi era l’obiettivo di rendere etnicamente omogeneo lo Stato così da eliminare le basi per future secessioni nazionaliste o interventi stranieri. Ciò fornisce una prova eloquente che spesso, sotto massacri effettuati con motivazioni ufficialmente religiose, si nascondono in realtà interessi politici.

7 Paradossalmente, l’arma della «jihad» finì per rivoltarsi contro lo stesso Impero Ottomano quando, nel marzo 1917, lo Sceicco della Mecca, per incitare gli Arabi alla rivolta, dichiarò «la guerra santa contro l’oppressore turco».

8 Vi furono alcuni episodi in cui i convertiti furono ugualmente uccisi; tuttavia, la conversione all’Islam garantiva spesso un modo sicuro per avere salva la vita in quanto, secondo l’ottica dei Giovani Turchi, ciò avrebbe significato per gli Armeni la perdita dell’identità nazionale. Bisogna aggiungere che vi furono non pochi Cristiani, sia Cattolici che Ortodossi, che subirono il martirio rifiutando l’abiura della propria fede per aver salva la vita. Come afferma infatti la dichiarazione congiunta sottoscritta nel 2000 da Papa Giovanni Paolo II e dal Catholicos Karekin II in riferimento al massacro degli Armeni: «Questi innocenti massacrati ingiustamente non sono canonizzati, ma molti di essi furono certamente confessori o martiri nel nome di Cristo».

9 Nel settembre del 1915 il Patriarca Armeno di Costantinopoli, Zaven I Der Yeghiayan, inviò un rappresentante al delegato Dolci per ringraziare lui e la Santa Sede per i loro interventi a favore del suo popolo, auspicando inoltre la speranza «che questo sangue sarebbe stato il cemento per riunire le due Chiese».

10 La Germania e l’Austria sollevarono solamente lievi proteste verso il genocidio in quanto il loro obiettivo principale era quello di assicurarsi l’aiuto in guerra da parte dell’Impero Ottomano; per contro, le denunce dei massacri armeni da parte dei Governi dell’Intesa furono dettate da motivazioni più propagandistiche che umanitarie.

11 La fine del genocidio non significò però la fine della persecuzione degli Armeni. La salita al potere di Mustafa Kemal Atatürk (il cui Governo era composto in buona parte da funzionari che avevano aderito al Comitato di Unione e Progresso) fu infatti segnata da un processo di «turchizzazione» forzata volta ad eliminare il carattere multietnico e multireligioso della società. I pochi Cristiani rimasti in Turchia, dopo il genocidio dei Giovani Turchi e lo scambio di popolazione con la Grecia stabilito dal Trattato di Losanna, ebbero a subire negli anni diverse discriminazioni socioeconomiche: ad esempio, nel 1942 il Governo impose ai non musulmani un’esorbitante tassa sui capitali con aliquote corrispondenti al 159% per i Greci, al 179% per gli Ebrei e al 232% per gli Armeni. Chi non poteva permettersi di pagare, veniva condannato ad effettuare dei lavori obbligatori in campi dove le condizioni di vita erano particolarmente dure.

12 Si può essere tentati di fare un paragone tra l’atteggiamento assunto da Papa Benedetto XV nei confronti del genocidio degli Armeni, e quello invece tenuto da Pio XII verso il genocidio degli Ebrei. Occorre comunque ricordare che i contesti in cui i due Pontefici agirono furono differenti come diversi furono i regimi con cui i due Papi dovettero confrontarsi.

13 La storiografia turca riconosce che centinaia di miglia di Armeni morirono durante il conflitto, ma fanno risalire queste morti al contesto della «guerra civile»: alle azioni terroristiche armene, facevano seguito le azioni repressive dei Turchi. Dei circa 300.000 morti armeni generalmente riconosciuti, 200.000 sarebbero morti in «scontri armati»; mentre gli altri sarebbero periti durante i trasferimenti, non per intenzione del Governo ma per denutrizione o epidemie, come accadde in quel periodo anche alla popolazione musulmana. Inutile dire che questa visione non tiene conto di diversi elementi, in particolare del fatto che le sporadiche rivolte armene ebbero un carattere di autodifesa (come quella di Van, considerata dalla storiografia turca la «prova» del tradimento armeno), oltre che dall’enorme disparità delle due forze in campo in questa presunta «guerra civile». In aggiunta, anche nel caso in cui fosse vera l’ipotesi che gli Armeni fossero stati una quinta colonna nemica pronta a scendere in armi contro l’Impero Ottomano, resta comunque valida l’osservazione che fece all’epoca l’Arabo Fayez El Ghossein, testimone dei massacri, che si chiedeva: «Ammettiamo per un momento che gli uomini abbiano meritato quella sorte per i crimini loro attribuiti. Di quali crimini si possono accusare donne e bambini innocenti?».


Bibliografia

Yves Ternon, Gli Armeni, BUR, Bologna 2007

Vahakn N. Dadrian, Storia del genocidio armeno, Guerrini e Associati, Milano 2003

Marcello Flores, Il genocidio degli Armeni, Il Mulino, Bologna 2006

Andrea Riccardi, La strage dei Cristiani. Mardin, gli Armeni e la fine di un mondo, Laterza, Bari 2015

Giovanni Sale, Il Novecento tra genocidi, paure e speranze, Jaka Book, Milano 2006

Bernard Bruneteau, Il secolo dei genocidi, Il Mulino, Bologna 2005

Andrea Riccardi, Benedetto XV e la crisi della convivenza multi religiosa nell’Impero Ottomano, in Benedetto XV e la pace – 1918, a cura di Giorgio Rumi, Morcelliana, Brescia, 1990.

(marzo 2018)

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