Carlo Collodi, il papà di Pinocchio
Le vere vicende personali di un mazziniano che costruì con i suoi scritti l’Unità Nazionale

Tutti conosciamo Le Avventure di Pinocchio, libro tradotto in 260 tra lingue e dialetti e pubblicato in 187 edizioni. Ma poco si conoscono le reali vicende personali e politiche del «padre» di Pinocchio, il quale non riuscì a godersi il meritato successo perché morì improvvisamente il 26 ottobre del 1890 a Firenze, sua città natale.

Si chiamava Carlo Lorenzini e ivi era nato il 24 novembre 1826. La mamma Angelina Orzali, nonostante fosse diplomata maestra elementare, faceva la cameriera per la prestigiosa famiglia toscana dei marchesi Garzoni Venturi. La tenuta di questa famiglia di Collodi, presso Pescia, rimarrà un importante ricordo per Carlo Lorenzini. Qui infatti fece le scuole elementari e visse buona parte della sua infanzia.

Suo padre Domenico era mite di carattere e di estrazione sociale ancor più umile della madre. Egli era cuoco presso la stessa famiglia Garzoni Venturi Ginori, dove Angelina Orzali prestava servizio.

Primogenito di una sfortunata famiglia, di cui ben sei dei dieci figli morirono in tenera età, egli rimase da piccolo presso una zia materna proprio in Collodi e la sua educazione fu affidata al buon cuore dei marchesi.

Carlo era vivace, inquieto, non proprio disciplinato. La sua educazione fu poi avviata verso gli studi ecclesiastici dagli stessi marchesi presso il Seminario della Val d’Elsa e successivamente presso i Padri Scolopi di Firenze, quegli stessi Padri che educarono in Genova il futuro rivoluzionario Mazzini, al cui credo politico il nostro aderì in età giovanile.

Solo quando il fratello Paolo Lorenzini divenne un dirigente della manifattura Ginori, l’intera famiglia Lorenzini poté acquistare una qualche agiatezza e Carlo iniziare la carriera d’impiegato e di giornalista, visto che non era portato a continuare gli studi ecclesiastici e mai vestì l’abito talare.

Abbracciando in quegli anni le idee mazziniane, partecipò alle rivolte risorgimentali del 1848-1849. Fu così che negli anni Cinquanta del XIX secolo, nel suo ruolo di giornalista, prese a descrivere la realtà toscana individuandone quei tratti spiritosi e un po’ originali, traendone poi il materiale necessario, anche di natura linguistica, per costruire il suo capolavoro diversi anni dopo. Ossia Le Avventure di Pinocchio.

Furono quelle esperienze da giornalista che lo indirizzarono a una intensa attività di scrittore, con una poetica originale che descriveva le novità della vita a lui contemporanea. Ricordiamo perciò i suoi primi romanzi Un romanzo in vapore e Da Firenze a Livorno, pubblicati intorno al 1856, dove egli descrisse quelle novità tecnologiche apportate dalle ferrovie che tanto peso ebbero nella trasformazione economica e sociale del periodo.

Essendo egli versatile e creativo nonché particolarmente spiritoso, proseguì la sua attività letteraria, scrivendo sul periodico «Il Lampione», il cui titolo da solo prefigurava la necessità di far luce a chi brancolava nelle tenebre.

Dopo che il Granducato cedette alla Restaurazione, qualche anno dopo i fatti rivoluzionari, «Il Lampione» chiuse i battenti per riaprirli addirittura dopo dieci anni. Fu allora che Carlo Lorenzini scrisse sul giornale «Scaramuccia» che si occupava particolarmente di critica teatrale, e soprattutto sul «Fanfulla».

Qualche anno dopo Lorenzini tradusse le favole di Perrault e lavorò a vari libri per la scuola. Quella rappresentò la vera palestra che lo portò a scrivere e pubblicare il capolavoro Le Avventure di Pinocchio. Questo apparve per la prima volta sul «Giornale dei bambini» nel 1881 con il titolo La storia di un burattino. Sappiamo che terminava col quindicesimo capitolo, quando Pinocchio moriva impiccato alla Grande Quercia. Grazie alle proteste dei suoi piccoli lettori Lorenzini, che nel frattempo aveva adottato lo pseudonimo di Collodi, proseguì la narrazione, trasformando il burattino in un bambino per bene. Siamo nel 1883 e i vari capitoli vengono raccolti in un volume unitario dall’editore Felice Paggi di Firenze. In breve tempo il libro e il personaggio riscossero un successo così universale che, come ricordavo sopra, quel libro venne tradotto in molteplici lingue e ottenne un riconoscimento planetario, riconoscimento che da quel momento in poi non è mai cessato.

Le carte di Carlo Lorenzini sono conservate alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

Fin qui si è descritta l’ufficialità del «papà» di Pinocchio. Avrò modo nella restante parte dell’articolo di descrivere la reale portata sociopolitica del personaggio, molto legato a Lucca, la mia città, realtà sociopolitica poco conosciuta e trattata.

Di recente ho scritto a uno storico locale lucchese noto, il Dottor Roberto Pizzi, su Carlo Lorenzini, che era amico del protagonista della mia tesi, il Professore Sacerdote Gioacchino Prosperi.

Roberto Pizzi mi ha chiesto spiegazioni, gliene ho date e proverò anche in questa sede a chiarire la vicenda. Come? Un mazziniano giornalista, editorialista fiorentino come Carlo Lorenzini, amico di un sacerdote di stampo rosminiano? Ebbene, sì.

Carlo Lorenzini era cresciuto in casa del marchese Garzoni di Lucca. Sua madre Angelina Orzali era la figlia del fattore dei marchesi Garzoni Venturi Ginori.

Le vicende. Ippolito Venturi (1752-1817), di nobile famiglia ascritta al patriziato fiorentino fin dal 1751, era figlio del senatore Neri Venturi e di Marietta Fridolfi. Si occupò di studi di economia rurale in Firenze e introdusse in Toscana l’estrazione dell’olio dalla sansa di oliva e dai semi di lino, che tanta fortuna hanno fatto a partire dal XIX secolo in ambito industriale. Vicino alle sue proprietà, sparse in tutta la Toscana (la fattoria Lecchi, a Poggibonsi; quella di Belmonte all’Antella, Firenze; quella di Carmignano e di Collegalli, per citare le più note), aprì anche fornaci di laterizi e vasellami. Un grande industriale, un precursore della moderna industria nazionale italiana. Particolarmente legato alla Francia per i suoi viaggi, e per il matrimonio con la Francese Marianna Testard, essendo ultimo del suo casato e privo di discendenza, adottò con atto del 10 marzo 1792 Carolina Colon, figlia di primo letto della moglie e di Pietro Colon. Nel 1801 la dava in sposa al marchese Paolo Garzoni di Lucca che aggiungeva il cognome Venturi al proprio. Paolo Garzoni (Lucca 1762-Pisa 1842) era il rampollo di una antica e ricca famiglia lucchese, aveva studiato al Collegio Nazareno di Roma e aveva iniziato la sua attività pubblica come diplomatico: lo troviamo nel 1790 presso l’Imperatore Leopoldo II d’Asburgo e, dal 1796 al 1797, impegnato in diverse missioni diplomatiche in Francia presso Napoleone. All’arrivo dei Francesi a Lucca all’inizio del 1799, entrò a far parte del nuovo Governo, il Direttorio, insieme ad altri che si erano messi al servizio dei Francesi, con l’intento di conservare l’autonomia lucchese, cosa che avvenne poiché Napoleone trasformò la Repubblica in Principato, mettendovi sul trono la sorella Elisa e suo marito, il Principe Baciocchi.

Garzoni divenne uomo di fiducia di Gioacchino Murat, anch’egli cognato dell’Imperatore e soprattutto uomo chiave durante il Primo Risorgimento, quando si pose come obiettivo quell’Unità Nazionale Italiana che poi verrà negata a Genova da Lord Bentick, dietro emissario della Corona Inglese, nel 1815, proprio a un agente di Gioacchino Murat, che qui l’aveva raggiunto, il Napoletano Macirone. Quest’ultimo aveva però fatto da sostituto a un amico di Paolo Garzoni, anch’egli agente di fiducia di Murat, e fermato dalla polizia austriaca mentre stava recandosi a Genova da Bentick per lo stesso motivo.

La figlia di Paolo Garzoni sposerà il marchese Ginori di Firenze ma vivrà quasi sempre nella splendida tenuta paterna di Collodi, a diretto contatto con la sua cameriera di fiducia, Angelina Orzali appunto, la mamma di Carlo Lorenzini.

Di fatto furono i marchesi Garzoni Venturi Ginori a indirizzare il giovane Carlo verso gli studi ecclesiastici, prima nella Val d’Elsa, luogo elettivo dei Padri Francescani, cari ai marchesi, poi a Firenze presso i Padri Scolopi, altrettanto amati dalla famiglia dei marchesi Garzoni Venturi.

Sul piano politico sia i Padri Francescani che i Padri Scolopi dettero il meglio di se stessi per assecondare la causa nazionale italiana. Giuseppe Mazzini studiò presso i Padri Scolopi Genovesi e fu sempre in contatto con gli ambienti curiali lucchesi. Sua cara amica, e cara amica dei Garzoni Venturi, fu Cleobulina Cotenna. Vincenzo Cotenna, padre di Cleobulina, fu con Paolo Garzoni un membro del Direttorio Napoleonico e facente parte con lo stesso Garzoni della delegazione che si recò a Parigi nel 1799 per salvare l’indipendenza della Repubblica Lucchese.

Perché dunque Carlo Lorenzini ebbe contatti col protagonista della mia tesi, un religioso rivoluzionario francescano di stampo rosminiano?

Garzoni rimase sempre in contatto per i suoi studi di agronomia con un altro eminente personaggio lucchese, che sarà legato a Cosimo Ridolfi e al moderatismo toscano dello stesso Lambruschini e di Gino Capponi, Fiorentini doc: il marchese Antonio Mazzarosa. Insieme al Duca Carlo Ludovico, che sostituì in Lucca la sorella di Napoleone Bonaparte, Elisa, dopo la Restaurazione, si produssero in svariati studi di agronomia. Il marchese Mazzarosa era amico intimo del protagonista della mia tesi. Ma soprattutto non fu così moderato come le carte ufficiali propongono. Era fratello del Segretario di Stato Lucchese del periodo, Ascanio Mansi. Il Mazzarosa era un Mansi adottato alla nascita dai marchesi Mazzarosa che non avevano eredi diretti, come spesso capitava all’epoca in queste casate che si scambiavano i figli con accordi familiari, cosa per noi del tutto impensabile e inusuale.

Come suo fratello Ascanio dunque, divenuto quest’ultimo Segretario di Stato del Duca Carlo Ludovico, se ufficialmente si mostravano dei moderati, e nel caso del Segretario di Stato addirittura dei conservatori, in realtà perseguivano per opportunità politica sottobanco finalità sovversive, come appare dalla lettura delle carte. E trasmettevano ai loro accoliti e pargoli certi valori non conformi a quanto l’Austria proponeva con la sua politica reazionaria.

Carlo Lorenzini crebbe in questo clima e con questo tipo di educazione, per cui il nostro Pinocchio è un po’ figlio della Rivoluzione Francese, di Napoleone Bonaparte, di Gioacchino Murat e dei suoi valori rivoluzionari, ma soprattutto è figlio di Giuseppe Mazzini, e di un concetto di Patria allargata a una Europa dei popoli, che negli ultimi tempi, in nome di una globalizzazione sfrenata, senza regole, senza alcun freno inibitorio, ma soprattutto mossa esclusivamente dal vile denaro, si è un po’ persa.

Dico questo perché una rilettura attenta dei valori del burattino e degli ambienti che egli propone ci porta con la mente non solo ai nostri più autentici valori nazionali, ma soprattutto in Europa e di conseguenza nel resto del pianeta, dove il burattino ha avuto così tanto successo nei suoi due secoli di vita.

La cosa sconvolgente è che quella globalizzazione che a cui il burattino ci invita a nozze con i suoi valori universali, tanto da essere stato tradotto pressoché in tutte le lingue del pianeta, non esiste più. Perché non era intesa solo una globalizzazione economica «tout court», come oggi viene proposta, ma una promozione di quei valori di progresso sociale e civile, che sono andati scemando nell’Europa di oggi. Valori che apprezzavano la diversità senza qualunquismi di sorta, senza volere perdere le identità nazionali che ebbero care personaggi come Pinocchio in Italia, ma anche contemporaneamente Alice in Inghilterra (Alice nel Paese delle Meraviglie). E che i personaggi di Perrault, personaggio chiave della cultura mitteleuropea, di cui Pinocchio e Alice erano figli (Lorenzini a esempio tradusse e si ispirò alle favole di Perrault prima di scrivere Pinocchio), proponevano un’idea di Europa molto diversa dall’attuale.

Credo che una riflessione attenta sulla vita e sul personaggio di Carlo Lorenzini possano avvicinarci oggi, più che mai, a rivisitare la nostra storia sia nazionale che legata al restante contesto europeo. E il «papà» di Pinocchio l’Europa, quella autentica, che anche la mia generazione, bontà sua, ha parzialmente conosciuto, possiamo ben capire dalle sue vicende personali, ce l’aveva nel DNA.

(giugno 2019)

Tag: Elena Pierotti, Carlo Collodi, Pinocchio, Napoleone, Murat, Rivoluzione Francese, Europa, Carlo Lorenzini, globalizzazione, Le Avventure di Pinocchio, Alice nel paese delle Meraviglie.