Calcio etico
Episodi di fraternizzazione militare durante il Primo Conflitto Mondiale: la partita franco-tedesca del Natale 1914 fra l’utopia della pace e l’ostracismo degli alti Comandi. Riflessioni in chiave attuale

Una pagina di storia poco nota, anche nell’ambito della storiografia militare, è quella che riguarda gli episodi di fraternizzazione tra opposti schieramenti che ebbero luogo in concomitanza con la festa di Natale, e in misura minore con quella di Capodanno, in specie nel primo anno della Grande Guerra, tra la fine del 1914 e l’inizio del 1915. All’epoca, l’Italia era ancora neutrale, sebbene investita dall’aspro confronto fra interventisti e neutralisti, mentre gli Imperi Centrali di Austria-Ungheria e di Germania dovevano fronteggiare il nemico su due fronti diversi, combattendo contro Francia e Gran Bretagna su quello occidentale, e contro la Russia e i suoi alleati su quello orientale.

Le sorti del conflitto erano oltremodo incerte, ma si era già compreso che sarebbe stato lungo, richiedendo un alto contributo di sacrifici e di sangue, anche fra le popolazioni civili. Il Santo Padre Benedetto XV aveva già iniziato la sua «crociata» contro la guerra che più tardi lo avrebbe portato a coniare la celebre definizione di «inutile strage», ma i suoi appelli erano rimasti inascoltati, come sarebbe accaduto per quelli successivi.

In questo clima non fu casuale che nel dicembre di quel primo anno si registrassero episodi di fraternizzazione destinati a scuotere le coscienze e a diventare celebri: ciò, con particolare riguardo alle tregue sorte spontaneamente sul fronte occidentale a iniziativa principale di Inglesi e Tedeschi (molto meno di Francesi). Al riguardo, è rimasta emblematica la partita di calcio a cui costoro diedero vita nelle Fiandre con un pallone di cencio, e che avrebbe avuto diversi tentativi d’imitazione, quasi a suggellare i sentimenti autentici delle parti in causa, lontani dall’odio promosso dai «media» e dagli ufficiali superiori, e certamente in preda a una struggente nostalgia per le famiglie lontane e per il focolare domestico. Non fu un momento ludico, ma una protesta comune contro la crudeltà di una guerra che anche dal punto di vista tecnico aveva compiuto un progresso esponenziale proprio nell’ottica della strage.

I Comandi cercarono di cancellare la notizia dell’accaduto, e comunque di minimizzarla, anche quando dalle lettere dei combattenti emerse con chiarezza quanto si era verificato, unitamente alle motivazioni che avevano sorretto gli episodi di fraternizzazione, tra cui le partite di calcio ebbero un ruolo importante, ma pur sempre integrativo. Infatti, le intese per la tregua, talvolta di poche ore, ma in altre occasioni anche di giorni, furono motivate dalla necessità di dare sepoltura ai caduti dell’una e dell’altra parte, proponendo nuovamente l’antica prassi di «pietas» cantata da Omero; ma poi, anche dallo scambio di modesti doni di trincea e da quello dei rispettivi canti natalizi. Del resto, in parecchi casi la distanza che separava gli opposti schieramenti era di poche decine di metri, dando luogo a una zona di nessuno altrettanto ristretta: quindi, gli stessi contatti verbali ne risultavano facilitati. Alla fine l’atmosfera natalizia, assieme al coraggio di coloro che scavalcarono la trincea per andare incontro al «caro nemico», fece il miracolo di rompere il ghiaccio e di dar vita a un episodio destinato a suscitare sconcerto ma anche condivisione, anzitutto nei Paesi neutrali come l’Italia, dove le interpretazioni erano più libere.

La diffusione delle fraternizzazioni fu un richiamo anche per gli Stati Maggiori e i Comandi Supremi delle forze in campo che si guardarono bene dal calcare la mano con provvedimenti punitivi, limitandosi a minacciare forti sanzioni qualora il fatto si fosse ripetuto. In effetti, i potenziali contenuti anti-militaristi di quelle iniziative rimasero sulla carta più o meno dovunque, essendo noto a tutti che sarebbero stati stroncati, in caso di importanti recidive, dalla durissima legge dei tribunali di guerra, come si sarebbe visto anche in Italia sin dagli inizi del conflitto, sotto il Comando di Luigi Cadorna. Avrebbe prevalso la paura, ma spesso e volentieri, con il contributo di una progressiva diffusione di valori nazionali e popolari, di cui restano esempi palesi la difesa italiana sul Grappa e sul Piave, e il «sole» di Vittorio Veneto.

Sembra che la vittoria «sportiva» di quella partita natalizia abbia arriso di stretta misura alla squadra tedesca: eppure, mai come in questa fattispecie il risultato è stato privo di qualsiasi importanza. Al contrario, ciò che ancor oggi bisogna porre in evidenza è il sottinteso anelito all’amicizia reciproca, ben oltre i confini e le motivazioni cui le maggiori Potenze avevano fatto ricorso per giustificare la propria discesa in campo: in nessun caso, tali da escludere la possibilità di un negoziato e di una soluzione condivisa, sia pure compromissoria, ma ancora inaccettabile per le suggestioni «lato sensu» patriottiche, o presunte tali, di non pochi leader. Senza contare quelle, straordinariamente numerose, dell’uomo della strada.

In favore della pace, assieme al Papa, si erano mossi in tanti, ivi comprese quelle donne inglesi che avevano scritto alle madri e alle mogli dell’Austria e della Germania raccogliendo attenzioni non effimere, ma messe prontamente a tacere da una volontà politica incapace di ascoltare fino in fondo il vero «spirito del popolo». Proprio per questo, la fraternizzazione del Natale 1914 sarebbe rimasta un episodio, destinato ad avere seguito minore negli anni successivi, con la grande eccezione di quanto accadde sul fronte orientale dove la spinta rivoluzionaria della Rivoluzione Sovietica avrebbe impresso una svolta travolgente in favore dell’armistizio con gli Imperi Centrali, peraltro non decisivo per gli effetti globali del conflitto europeo, destinato a protrarsi sino al novembre 1918. Ma questa è un’altra storia.

A proposito del Papa, è il caso di aggiungere che, nonostante gli appelli provenienti dall’altissima Cattedra di Pietro, la propensione ad ascoltare il richiamo – innanzi tutto al buon senso – proveniente dalla Città Leonina pervenne a nuovi minimi storici. Tutti riconoscevano l’autorità morale del Pontefice ma all’atto pratico anche la cattolicissima Austria si sarebbe ben guardata dall’accogliere tali appelli: quella del Vaticano stava diventando una «vox clamans in deserto» anticipatrice di quanto sarebbe accaduto un trentennio più tardi, quando Stalin avrebbe minacciato di portare i cavalli dei suoi cosacchi ad abbeverarsi davanti alla Basilica di San Pietro, chiedendosi quante divisioni corazzate avesse il Papa. Davvero, con la Grande Guerra Mondiale andava a compiersi una svolta storica.

Tornando al calcio «etico» di quella partita, quasi a sottolineare il ruolo maieutico che le manifestazioni sportive possono assumere in ogni ardua congiuntura umana, vale la pena di aggiungere che in tempi successivi si è registrata una frequente proliferazione di iniziative benefiche, e talvolta persino pacifiste, collegate al pallone. Nulla a che vedere, in ogni caso, con quella del 25 dicembre 1914, il cui ricordo – a ogni buon conto – non si è mai spento nell’inconscio collettivo e nella stessa memoria storica, sino a riemergere come un fiume carsico al momento opportuno. Ecco un buon motivo in più per rammentare i protagonisti di quell’incontro a tutti gli uomini di buona volontà.

Il ricordo di quelle fraternizzazioni, al di là di ogni motivazione, dalla sepoltura dei caduti al legittimo desiderio di allontanare almeno per qualche ora lo spettro della morte, fino all’affermazione di alti valori morali, consente un riferimento conclusivo all’antica invettiva poetica di Tibullo, quando si chiedeva chi fu tanto «ferreo e crudele» da avere inventato le «orribili armi», in un implicito richiamo alla convivenza civile, tanto più degna di nota nel mondo precristiano (Albio Tibullo visse nella seconda metà del primo secolo avanti Cristo, dividendosi fra Roma e la tranquilla vita di campagna). Domanda retorica, ma sempre attualissima in un mondo come quello contemporaneo in cui il volume d’affari collegato alle armi – come emerge da cifre dell’Istituto Internazionale di Ricerche per la Pace con sede in Svezia – ammonta a circa 1.740 miliardi di dollari, non senza ascrivere nuovi primati assoluti da un anno all’altro: una realtà sconvolgente, su cui riflettere con opportune attenzioni.

(febbraio 2020)

Tag: Carlo Cesare Montani, partita franco-tedesca del Natale 1914, inutile strage, calcio etico, Prima Guerra Mondiale, Papa Benedetto XV, fraternizzazione militare, Omero, Luigi Cadorna, Josip Stalin, San Pietro, Albio Tibullo, partita franco-tedesca, Natale 1914 Grande Guerra, Istituto Internazionale di Ricerche per la Pace.