La Banca Romana: il primo scandalo dell’Italia unita
Una speculazione edilizia, una morte sospetta, oscure manovre di Governo: un «giallo» del XIX secolo

L’istituto bancario venne fondato nel 1825 e garantiva l’afflusso all’interno dello Stato della Chiesa di ingenti capitali provenienti dalla Francia. Dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia del 1870, l’istituto aveva la funzione di emissione e stampa di banconote, insieme ad altre sei banche: Banco di Napoli, Banca Nazionale del Regno d’Italia, Banco Toscano di Credito, Banco di Sicilia, Banca Nazionale Toscana. La legge Minghetti-Finali del 1874 imponeva a ciascun istituto di stampare un numero di banconote che non avrebbe dovuto superare il triplo del capitale sociale della banca.

Per tutto il decennio degli anni Ottanta dell’Ottocento, sotto la presidenza del principe Giuseppe Torlonia e la direzione operativa di Bernardo Tanlongo, la Banca Romana emise un numero sproporzionato di banconote nel mercato che eccedeva di molto il limite fissato dalla normativa. Questa diffusione, non regolata, serviva a finanziare una sfrenata speculazione edilizia che si stava attuando in quegli anni a Roma, che consisteva anche nel pagamento delle tangenti ai diversi uomini politici dell’amministrazione romana e a finanziare i quotidiani per evitare che interferissero tramite le inchieste giornalistiche sulla speculazione in atto. Emblematica fu la concessione di un prestito da parte della banca avvenuta nel 1889, tramite l’autorizzazione diretta di Tanlongo, di diverse cambiali mai pagate al quotidiano «La Riforma» il cui editore era Francesco Crispi, all’epoca Presidente del Consiglio.

Sul finire del 1889 diverse imprese edili romane dichiararono bancarotta. Questo fu dovuto al fallimento della Banca Tiberina.

Luigi Miceli, Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, decise di istituire una commissione d’inchiesta coadiuvata dal Senatore Giacomo Alvisi e da un funzionario del Ministero del Tesoro, Gustavo Biangini, che avrebbe dovuto verificare tutte le emissioni di banconote di ogni istituto di credito. L’indagine fu determinante per scoprire lo scandalo. Emerse in modo eclatante che la Banca Romana avesse duplicato e messo in circolazione moltissime banconote che avevano lo stesso numero di serie. Alvisi eseguì una relazione dettagliata dell’inchiesta e la consegnò a Crispi in persona. Lo stesso Alvisi chiese al Primo Ministro di rendere pubblico il contenuto della relazione, ma Crispi decise di apporvi il segreto di Stato. Qualche giorno dopo l’incontro con Crispi, Alvisi morì in condizioni misteriose. Alvisi, forse rendendosi conto del pericolo che stava correndo, prima di morire aveva reso noti i contenuti della relazione a un suo amico economista, Leone Wollenburg, il quale appena saputo della morte del suo amico, informò un suo collega, Maffeo Pantaleoni, che a sua volta trasmise gli atti della relazione a un parlamentare d’opposizione repubblicano, Napoleone Colajanni, strenuo oppositore della politica del governo crispiano.

Nel frattempo Giovanni Giolitti era subentrato alla guida del Governo a Francesco Crispi. Durante la designazione dei diversi dicasteri, Giolitti aveva pensato di nominare al Ministero del Tesoro Tanlongo, al quale lo legava un legame di amicizia, ipotesi che poi scartò in favore di Ellena.

Durante l’udienza alla Camera dei Deputati del 20 dicembre del 1892, Napoleone Colajanni prese la parola e denunciò pubblicamente lo scandalo della Banca Romana, fornendo tutti i dettagli della relazione che aveva stilato Alvisi. Tutti i parlamentari dell’opposizione, radicali, repubblicani e i socialisti gridarono allo scandalo, e chiesero le dimissioni «in toto» dell’attuale Governo. Il giorno seguente tutti i quotidiani nazionali misero come articolo di apertura la denuncia dello scandalo. Il Parlamento istituì una commissione parlamentare d’inchiesta «ad hoc», presieduta da Antonio Mondini, un collaboratore di Garibaldi durante l’impresa dei Mille. In quegli stessi giorni il Parlamento creò una legge in cui veniva stabilito che le emissioni di denaro sarebbero state effettuate da un nuovo istituto, la Banca d’Italia, e solamente i banchi di Napoli e Sicilia avrebbero avuto una deroga per un tempo limitato per la stampa delle banconote.

La mattina del 15 gennaio, Tanlongo e il responsabile della ragioneria dello Banca Romana vennero arrestati. Govanni Giolitti, tirato in causa per i suoi rapporti con Tanlongo dai giornali, fu costretto a dimettersi. Il 28 novembre del 1893 Giolitti consegnò al Presidente della Camera un plico contenente dei documenti che provavano i rapporti tra la Banca Romana e lo stesso Francesco Crispi. Alcuni documenti riguardavano le vicende private di Crispi e dei suoi famigliari e la commissione parlamentare prese in consegna i documenti. Crispi negò qualsiasi tipo di rapporto con i dirigenti della banca. A seguito delle dimissioni di Giolitti, l’8 dicembre del 1893, il Re affidò l’incarico a Crispi per la formazione di un nuovo Governo. Giolitti, per paura di una ritorsione di Crispi a causa della divulgazione dei documenti, si trasferì a Berlino dove era residente sua figlia. Nel 1894 Tanlongo venne assolto dall’accusa del reato di emissione di banconote false e corruzione e misteriosamente la documentazione dell’inchiesta svanì nel nulla e dello scandalo non se ne parlò più.

(gennaio 2020)

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